(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Alessandro Di Medio

La scorsa settimana la catechesi di Papa Francesco sul discernimento è tornata a trattare della consolazione, e in particolare della necessità di osservare il processo dei pensieri che la consolazione ispira, così da poterne individuare la vera natura: “C’è una vera consolazione, ma anche ci sono delle consolazioni che non sono vere. E per questo bisogna capire bene il percorso della consolazione: come va e dove mi porta? Se mi porta a una cosa che va meno, che non è buona, la consolazione non è vera, è ‘finta’, diciamo così.”

“Discernere” significa anzitutto imparare a collegare pensieri e sentimenti ai fatti: in questa triangolazione tra pensieri, sentimenti ad essi associati, e fatti che avvengono contestualmente, posso trovare la mia reale posizione nella vita, posso individuare la tendenza del mio cammino: verso me stesso, in un avvitamento sempre più stretto nel mio ombelico, o verso Dio e gli altri, in un crescendo di apertura alla vita di comunione, la vita filiale.

Sant’Ignazio di Loyola, citato da Papa Francesco nella catechesi, invita a fare molta attenzione al corso dei pensieri, ovvero a quali sentimenti possono sopraggiungere, e in relazione a cosa: “Se nei pensieri tutto è buono, il principio, il mezzo e la fine, e se tutto è orientato verso il bene, questo è un segno dell’angelo buono. Può darsi invece che nel corso dei pensieri si presenti qualche cosa cattiva o distrattiva o meno buona di quella che l’anima prima si era proposta di fare, oppure qualche cosa che indebolisce l’anima, la rende inquieta, la mette in agitazione e le toglie la pace, le toglie la tranquillità e la calma che aveva prima: questo allora è un chiaro segno che quei pensieri provengono dallo spirito cattivo” (Esercizi spirituali, n. 333).

Chiaramente, il prerequisito di questa attenzione al processo del pensiero è una grande sincerità con se stessi, un vero desiderio di conoscersi e di conoscere la volontà di Dio in noi e per noi: se manca questa determinazione, non si può avere la forza di chiamare per nome i veri sentimenti che certi pensieri ed eventi producono in noi, e ci si limiterà, piuttosto, a dare agli altri, all’esterno, la colpa del nostro disagio, mentre, nella strenua difesa ai nostri stessi occhi del nostro io ideale, continueremo a essere agiti dalle passioni disordinate che ci abitano.

Eppure ne vale la pena.

Vale la pena di abitare se stessi coscientemente, vale la pena di percorrere la strada più misteriosa e ardua, quella dentro di noi, e vedere come effettivamente siamo, così da poter decidere (esito del discernimento) chi vogliamo diventare. L’avventura che sant’Ignazio prima, e Papa Francesco poi, ci invitano a intraprendere, è quella di guardare la realtà, prendendo le redini della nostra vita interiore; osservare i nostri veri moventi (il principio), lo sviluppo di un pensiero che guida l’agire (il mezzo) e l’esito di questo processo (il fine), significa far parlare la vita vera, e decidere nella libertà come rispondere, smettendo di essere semplicemente il veicolo di forze pulsionali, cieche e impersonali che vorrebbero guidarci brutalmente, ma diventando piuttosto persone a tutto tondo, responsabili della propria testa e del proprio cuore, delle proprie decisioni e delle proprie scelte.

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