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Sorelle clarisse: “Si alzò, prese il bambino e sua madre…”

DIOCESI – Pubblichiamo la Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Maria, Gesù e Giuseppe si trovano a dover vivere in modo totalmente nuovo l’esperienza di essere famiglia.

Gesù non è figlio di Giuseppe e Giuseppe, quindi, non è padrone del proprio figlio, né della propria moglie, come invece era a quei tempi.

Maria è madre di un bambino che non le appartiene e che seguirà la propria strada senza prendere, però, il proprio posto nella struttura della famiglia e della società civile, come era prassi normalmente.

Gesù è figlio obbediente, ma rivolto ad un Padre, Dio, che lo chiamerà a vivere non secondo i doveri classici di un figlio primogenito maschio nel popolo di Israele.

Si tratta dunque di una famiglia fuori dagli schemi, strutturata non sulla base delle regole sociali e religiose ma solo sull’ascolto della Parola di Dio.

Maria ha ascoltato e accolto la Parola di Dio di fronte all’annunzio dell’angelo circa la propria maternità. Giuseppe ha ascoltato e accolto la Parola di Dio quando, in sogno, l’angelo lo ha chiamato a prendere con sé Maria e non ripudiarla.

Nel Vangelo troviamo ancora Giuseppe che sogna: «Alzati, – gli dice l’angelo del Signore – prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
E alla morte di Erode l’angelo si rifà ancora vivo: «Alzati, prendi con te il bambino e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
E Giuseppe, entrambe le volte, senza dire una parola, «si alzò, prese il bambino e sua madre…» e obbedì alle parole dell’angelo; Giuseppe, entrambe le volte, si abbandona completamente alla sapienza del Padre. Giuseppe decide sempre e solo sulla base di ciò che Dio dice, costituendo la propria famiglia intorno alla Parola di Dio. Quella stessa Parola che è fondamento della nuova famiglia costituita da Gesù, quella dei suoi discepoli, comunità che si fonda non sui legami di sangue ma sul “fare la volontà di Dio”.

«La Parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza», scrive San Paolo alla comunità dei Colossesi.
Che cosa ci suggerisce, allora, oggi la Parola? Lo scopriamo ancora dalla lettera di Paolo: «…rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri…». La Parola ci vuole protagonisti in una gara di amore che non conosce ristagni e ripensamenti, nella quale l’uno diventa come angelo dal cielo per la terra e la vita dell’altro, in un viavai continuo di gesti di perdono. Gesti non calibrati sui nostri umori personali e neppure sulle attese degli altri. Infatti, continua Paolo, «come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose, rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto». Cioè, amatevi come siete, dentro una carità che, piuttosto che condannare o rimproverare il limite dell’altro, si ricorda del proprio limite e vede il bello dell’altro.

Ce la faremo? No, se ci affidiamo solo alla nostra buona volontà e ai nostri propositi. Ce la faremo solo se la Parola di Dio abita nella nostra vita, se «con ogni sapienza» ci istruiamo e ammoniamo «a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine…».

Il risultato finale lo esprime il salmo che allarga a tutta la famiglia umana il clima della famiglia di Nazareth: «Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie. Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene. La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa».

Carletta Di Blasio: