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L’Europa che non vede se stessa: perché siamo più forti di quanto crediamo

C’è un paradosso che attraversa il nostro tempo: mentre molti Europei parlano dell’Unione come se fosse un progetto logoro e incapace di stare nel mondo, due attori globali come Donald Trump e Vladimir Putin lavorano, ciascuno a modo suo, per renderla più debole o più divisa. E allora la domanda è inevitabile: davvero un’Europa irrilevante richiamerebbe così tanta attenzione da parte di chi domina le dinamiche internazionali? O forse l’Unione è molto più forte, molto più influente e molto più necessaria di quanto noi stessi siamo abituati a riconoscere?

Per comprenderlo occorre andare oltre la superficie del dibattito politico, spesso catturato da slogan e impressioni, e tornare alle radici storiche e filosofiche dell’Europa. I grandi padri fondatori, a cominciare da Alcide De Gasperi, sapevano bene che l’integrazione europea non sarebbe stata un dono della storia, ma una costruzione lenta, faticosa, basata sulla convinzione che il dialogo valga più della forza e che il diritto sia più civile della violenza. L’Europa nacque per dimostrare che popoli un tempo nemici potevano condividere istituzioni, mercati, destini e perfino valori. È un progetto senza precedenti nella storia umana: nessun continente, nessuna area del mondo ha tentato qualcosa di simile, e nessuno vi è riuscito.

Oggi, nel pieno di un sistema internazionale instabile, quel progetto appare più attuale di quanto osassero immaginare i suoi creatori. In un mondo segnato da conflitti, regimi illiberali, polarizzazione e crisi economiche, l’Unione Europea è uno dei pochi presidi di democrazia stabile esistenti. Lo ricorda spesso Dario Fabbri quando descrive l’Europa come uno spazio globalmente desiderabile, un’area in cui diritti, sicurezza sociale e pluralismo politico non sono concessioni fragili, ma elementi strutturali. E lo sottolinea Maurizio Molinari quando osserva che l’UE è diventata terreno di contesa tra le grandi potenze: segno evidente che la sua rilevanza geopolitica è molto più robusta di quanto appaia nel racconto interno.

Anche Henry Kissinger, nella sua analisi del nuovo ordine mondiale, aveva compreso che il contributo dell’Europa non consisteva nella potenza militare, ma nella capacità di creare regole, normare i mercati, stabilire standard globali. L’Europa è una potenza normativa, non una potenza armata: ma in un mondo che vive di interdipendenze, questa forma di influenza è tutt’altro che marginale. Davide Giacalone, con linguaggio più diretto, lo ha espresso con una sintesi folgorante: l’Europa è molto più forte di come racconta se stessa. Il problema non è la realtà, ma l’autopercezione.

Intanto, mentre noi ci autocritichiamo fino allo sfinimento, l’amministrazione trumpiana vede nell’UE un concorrente economico da limitare, e il Cremlino la considera una minaccia culturale e politica, capace di offrire ai popoli vicini un modello alternativo al potere autoritario. Si vuole indebolire ciò che funziona; si cerca di dividere ciò che ha un peso. È una regola elementare delle relazioni internazionali, che vale dai tempi di Tucidide fino agli studi di Waltz: nessuno investe energie per indebolire ciò che è irrilevante.

E poi c’è il profilo etico dell’Europa, troppo spesso dimenticato. Il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, ricorda che l’Unione è anzitutto un luogo di dialogo fra popoli, una piattaforma morale prima ancora che politica. Papa Francesco ne richiama spesso la vocazione originaria, quella di essere un ponte, non una fortezza; un laboratorio di pace, non un’arena di potere; uno spazio culturale in cui la dignità della persona è misura di ogni decisione. È una visione che affonda le radici nella tradizione di Papa Leone XIII, per il quale la cooperazione fra nazioni era condizione imprescindibile di giustizia sociale e stabilità.

Questa è l’Europa: un’idea morale prima che una costruzione amministrativa. Un progetto filosofico prima che un compromesso istituzionale. È un tentativo ancora aperto di superare la logica delle potenze attraverso la logica della collaborazione. È imperfetta, certo. È lenta, spesso irritante, su alcuni dossier addirittura paralizzata. Ma la domanda che conta non è se l’UE abbia limiti – li ha, e andrebbero corretti con coraggio – bensì se esista nel mondo un altro posto in cui vorremmo vivere, crescere i nostri figli, esercitare i nostri diritti. E la risposta, con un po’ di onestà, è no.

L’Europa non è un corpo in decomposizione, come troppo spesso si sente dire, ma un organismo vivo, fragile e potente allo stesso tempo, come tutte le costruzioni umane che contengono un’idea grande. È un progetto incompiuto, e proprio per questo ancora capace di crescere. È un’opera che richiede fiducia, dedizione, immaginazione. Non si tratta di difendere Bruxelles, ma di difendere noi stessi: perché, senza Unione, saremmo più soli, più deboli, più vulnerabili, più esposti all’arbitrio della storia.

La verità è che l’Europa è molto più forte di come appare quando la guardiamo dall’interno. È fuori che ci vedono per ciò che siamo: un continente libero, ordinato, civile, democratico, governato dal diritto e non dalla forza. Un luogo dove la politica non è ancora diventata un campo di battaglia, dove le istituzioni resistono, dove la persona non è sacrificata al potere. Il nostro problema non è la debolezza: è la mancanza di consapevolezza.

Se vogliamo un’Europa più forte dobbiamo prima di tutto imparare a crederci. Non possiamo aspettare che siano gli altri a ricordarci il suo valore. L’Unione non è un incidente della storia, è un atto di volontà. Ed è proprio nei momenti di maggiore incertezza che le grandi idee dimostrano la loro tenuta. Oggi abbiamo bisogno di meno paura e di più coraggio, meno rassegnazione e più fiducia. L’Europa non è alla fine del suo cammino: è all’inizio di una nuova stagione, e questa volta dipende da noi renderla all’altezza del suo destino.

Questo è il tempo di alzare lo sguardo. Questo è il tempo di credere all’Europa. Questo è il tempo di costruirla, non di lamentarla. Perché, alla fine, la cosa più europea che possiamo fare è proprio questa: avere il coraggio di sperare e di continuare a costruire.

Marco Sprecacè:

View Comments (1)

  • Carissimo Marco,
    Mentre ascoltavo l'articolo mi chiedevo: “Chi è questo statista degasperiano che scrive su L’Ancora on line?” Con sorpresa, ma non tanta, ho letto “Marco SPRECACÈ!”
    Complimenti al dottore in scienze politiche!
    Una tesi formidabile che non avevo presa in considerazione “due attori globali come Donald Trump e Vladimir Putin lavorano, ciascuno a modo suo, per renderla più debole o più divisa. … Si vuole indebolire ciò che funziona; si cerca di dividere ciò che ha un peso.”
    Condivido!
    Siamo governati da statisti miopi e sovranisti che criticano l’Europa per inefficienza dopo averle tagliate le gambe.
    Complimenti ancora
    Ad maiora!