
Di Francesco Lambiasi
“La vita è una ruota”: espressione popolare che sembra fare il verso alla concezione dell’antichità classica della vita e della storia, basata sulla visione naturalistica di stadi, stagioni e cicli ricorrenti, che fatalmente si reduplicano e si riproducono malinconicamente sempre tali e sempre uguali. Questa idea ciclica di un “eterno ritorno delle cose” si contrappone indiscutibilmente alla rappresentazione lineare del tempo di matrice cristiana, che vede il corso degli eventi alla luce della ‘salvezza’ operata da Dio. E quindi intende la vicenda storica e cosmica come una linea che da un’origine primordiale mira al suo compimento finale e punta decisamente alla liberazione universale, quando “Cristo sarà tutto e in tutti” (Colossesi 3,15).
La teologia dell’Avvento ruota attorno a due prospettive fondamentali.
Da una parte, con il termine adventus – venuta, arrivo – si intende l’anniversario della prima venuta del Salvatore. Dall’altra si evidenzia la sua ultima venuta, alla fine dei tempi. Questi eventi sono intrecciati insieme: l’avvento di Cristo nel Natale è proiettato verso l’avvento quotidiano nella Chiesa e nell’umanità. Questo, a sua volta, tende verso la venuta gloriosa del Redentore: la ‘parusia’ è il termine ultimo dell’attesa.
Prima di proseguire, ci occorre almeno una sosta veloce, per non inciampare in qualche potenziale cortocircuito con il lemma ‘avvento’, che talvolta viene interpretato come una sorta di ‘ritorno’ di Cristo alla fine dei tempi. In effetti Gesù non si è mai allontanato da noi, come lui stesso aveva assicurato ai suoi all’Ascensione: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). “Tutti i giorni”: Avvento quotidiano. E dopo duemila anni non si è ancora stancato di mantenere quella promessa. Anzi vuole continuare a rimanere con noi, e così passare il suo cielo – con il Padre suo e il suo santo Spirito, con la sua madre benedetta e con tutti i santi – sulla nostra terra. Pertanto nella nuova traduzione della Bibbia (Cei 2008), nei passi in cui, a proposito di Gesù, si usava il verbo ‘ritornare’, si è fatto invece ricorso al più preciso verbo dell’Avvento: ‘venire’. È appunto quanto promette l’angelo dell’Ascensione: “Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà (non: tornerà) allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (Atti 1,11).
Ma è appunto quello che noi ripetiamo alla Messa: “Annunciamo la tua morte, o Signore; proclamiamo la tua risurrezione; nell’attesa della tua venuta”. Gesù è veramente il Figlio del Dio-che-viene, come lo stesso Signore si definisce nel libro dell’Apocalisse, esibendo la sua ‘carta d’identità’: “Dice il Signore Dio: Io sono Colui che era, che è e che viene” (1,8).
È vero: il Natale del Signore è un avvenimento passato. Ma l’onda luminosa di quell’evento è talmente radiosa e raggiante che attraversa le barriere dello spazio e del tempo, e ci raggiunge con tutta la sua carica di energia prorompente e di intensissima gioia, al punto che non finiremo mai di lasciarcene riaccendere e ravvivare.
È la prima dimensione dell’Avvento-evento che, per quanto passato, continua a riversarsi sul nostro presente.
Lo sappiamo: il Natale di Gesù viene celebrato il 25 dicembre, perché in quel giorno nell’antica Roma si festeggiava annualmente il ritorno della luce, in coincidenza con il solstizio d’inverno. Ma il culto del Natale del Sole invincibile finiva per sancire la totale impotenza per i poveri mortali di sfuggire definitivamente all’illusione e all’ulteriore, angosciante delusione per l’ennesima ricaduta della ruota dell’eterno ritorno.
In breve, ci rimane da rimarcare la felice coincidenza di questo Avvento 2025 con l’ultimo tratto del Giubileo: “Pellegrini di speranza”. Ma per poter ‘sperare giubilando’ anche oltre, un bell’assist ci può venire da questo scintillante pensiero di Bonhoeffer: “Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non credesse che Dio ha già lungamente atteso lui”.
Attendiamo. Siamo attesi. Il Signore viene: “Maran atha”. “Marana tha: Vieni, Signore!”.




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