Di Paolo Moracutti
Quando parliamo di adolescenti e uso di sostanze, alcol o dipendenze, ci troviamo di fronte a un fenomeno complesso che non ha mai una causa unica.
L’esperienza della psicologia clinica e di comunità ci insegna che diversi fattori si intrecciano nella vita di un ragazzo, creando situazioni di maggiore vulnerabilità.
Comprendere questi fattori è il primo passo per poter intervenire in modo efficace e concreto.
Uno degli elementi più potenti è senza dubbio la pressione dei coetanei. Gli adolescenti vivono una fase della vita in cui appartenere a un gruppo, essere accettati e non sentirsi esclusi diventa fondamentale. Quando i compagni fanno uso di sostanze, la tentazione di imitarli per essere “parte del gruppo” diventa fortissima. Le neuroscienze ci mostrano che durante l’adolescenza i centri cerebrali della ricompensa si attivano maggiormente quando i ragazzi sono osservati dai pari, rendendo più probabili comportamenti rischiosi. Non è solo una questione di debolezza caratteriale: è il modo in cui il cervello adolescente funziona. Un altro fattore cruciale riguarda il clima familiare. Quando in famiglia ci sono conflitti cronici, mancanza di dialogo, freddezza emotiva o, al contrario, una supervisione troppo scarsa e permissiva, l’adolescente si trova senza punti di riferimento stabili.
Se i genitori sono assenti, disinteressati o in difficoltà loro stessi con dipendenze, il ragazzo cerca altrove conforto e appartenenza, spesso nelle sostanze.
La famiglia dovrebbe essere il primo luogo sicuro, ma quando questo manca, aumenta il rischio. Molti adolescenti si avvicinano alle sostanze anche per gestire difficoltà emotive e psicologiche. Ansia, depressione, bassa autostima, traumi non elaborati: questi problemi diventano un peso insopportabile. Gli studi ci dicono che il 73% degli adolescenti in trattamento per dipendenze usa sostanze per “sentirsi calmi e rilassati”. In pratica, le sostanze diventano una sorta di “automedicazione”, un modo sbagliato ma immediato per alleviare la sofferenza interiore.
Il problema è che questa soluzione crea solo altri problemi.
C’è poi il tema della noia e dello stress. Gli adolescenti che non hanno attività strutturate, che passano molto tempo vuoto senza fare niente di costruttivo, sono più a rischio. La mancanza di sport, hobby, attività creative o spazi di espressione personale lascia vuoti che possono essere riempiti in modo sbagliato. Allo stesso tempo, un eccesso di pressione scolastica, aspettative troppo alte, conflitti continui creano uno stress che il ragazzo non sa come gestire. Infine, non possiamo ignorare l’ambiente in cui l’adolescente vive. Se le sostanze sono facilmente accessibili, se nel quartiere l’uso di droghe è normalizzato, se gli adulti intorno hanno atteggiamenti permissivi o sono loro stessi consumatori, il rischio aumenta notevolmente.
L’ambiente conta molto: vivere in contesti dove mancano opportunità positive, dove c’è povertà e disorganizzazione sociale, rende tutto più difficile. La buona notizia è che si può fare molto per prevenire e ridurre questi rischi. Non servono interventi complicati: servono attenzione, costanza e piccole azioni quotidiane.
Innanzitutto, aiutiamo gli adolescenti a costruire relazioni positive e sane. Questo significa incoraggiare amicizie con coetanei che abbiano interessi costruttivi, favorire la partecipazione a sport di squadra, attività di gruppo, volontariato, laboratori creativi. Quando un ragazzo si sente parte di una comunità positiva, quando ha adulti di riferimento affidabili come allenatori, insegnanti, educatori, catechisti, la pressione negativa dei pari perde forza.
La famiglia deve tornare a essere uno spazio di dialogo. Genitori e adulti di riferimento dovrebbero parlare apertamente con i ragazzi, ascoltarli senza giudicare immediatamente, essere disponibili anche quando le conversazioni si fanno difficili. È importante stabilire regole chiare sull’uso di sostanze, spiegare i perché, mantenere una supervisione attenta ma non invadente. I ragazzi hanno bisogno di sentire che qualcuno si prende cura di loro, che possono contare su qualcuno. Dobbiamo insegnare agli adolescenti a gestire le emozioni. Quando un ragazzo attraversa momenti di ansia, tristezza, rabbia o confusione, non va lasciato solo. Va aiutato a riconoscere quello che prova, a parlarne, e quando necessario va accompagnato da uno psicologo o un counselor. Non c’è nulla di sbagliato nel chiedere aiuto: anzi, è un segno di intelligenza e di cura verso sé stessi. Possiamo anche insegnare ai ragazzi a pregare, meditare, leggere e approfondire temi di loro interesse o semplicemente favorire lo sport come valvola di sfogo. Un adolescente che ha pomeriggi e weekend pieni di attività costruttive ha meno tempo per annoiarsi e meno occasioni per trovarsi in situazioni rischiose. Sport, musica, arte, teatro, scout, oratori, centri giovanili: tutte queste realtà offrono spazi sicuri dove i ragazzi possono esprimersi, crescere e sentirsi valorizzati. Gli adulti devono essere esempio. Se in casa c’è un consumo eccessivo di alcol, se i genitori fumano o hanno comportamenti a rischio, il messaggio che passa ai ragazzi è contraddittorio.
Dobbiamo ridurre l’accessibilità domestica a sostanze, evitare di banalizzare l’uso di alcol e droghe, e mostrare con l’esempio che esistono modi sani di affrontare lo stress e le difficoltà. Infine, parliamone apertamente. Le scuole, le parrocchie, le comunità dovrebbero organizzare incontri, percorsi educativi, campagne di informazione coinvolgendo esperti, psicologi, testimonianze concrete. Non serve spaventare i ragazzi: serve educarli, renderli consapevoli, aiutarli a sviluppare un pensiero critico e la capacità di dire di no quando necessario. Dal punto di vista comunitario, un’azione semplice ma efficace è creare ambienti giovanili accoglienti e liberi dal giudizio – oratori, centri di aggregazione, associazioni sportive, parrocchie, gruppi di musica o teatro.
Spesso le dipendenze nascono dal vuoto relazionale: ragazzi soli, senza luoghi dove sentirsi accolti così come sono. Le comunità che offrono esperienze di appartenenza sana e riconoscimento riducono nettamente il rischio di comportamenti distruttivi. Un suggerimento pratico spesso trascurato riguarda l’educazione digitale.
Oggi molte forme di dipendenza passano attraverso il mondo online: social, videogiochi, scommesse, pornografia. Non basta vietare, ma è utile educare all’uso consapevole, fissare limiti di tempo, favorire attività alternative che coinvolgano il corpo e le relazioni reali. Spesso, dietro a un abuso tecnologico, ci sono le stesse dinamiche psicologiche delle dipendenze più tradizionali: fuga, solitudine, bisogno di approvazione.
La prevenzione delle dipendenze non è una questione solo di informazione, ma di relazioni, presenza, ascolto e opportunità. Un adolescente che si sente amato, ascoltato, valorizzato, che ha spazi dove esprimersi e adulti su cui contare, è molto più protetto. La chiave è non lasciare soli i ragazzi, intervenire precocemente quando si vedono segnali di difficoltà, e costruire insieme – famiglia, scuola, comunità, parrocchia – una rete di protezione che offra alternative concrete e positive.