DIOCESI – In questi giorni in cui la Chiesa invita a venerare i Santi e a commemorare i defunti, la memoria torna a farsi intensa. I ricordi affiorano, insieme a tutto ciò che avremmo voluto ancora dire o fare con chi non è più accanto a noi. E con essi riaffiorano le domande più profonde: che senso ha la morte? dove trovare una risposta?
Lo scrittore Khalil Gibran, ne Il Profeta, suggerisce: “Vorreste conoscere il segreto della morte. Ma come lo scoprirete se non cercandolo nel cuore della vita?”.
Eppure, ci chiediamo, bastano la scienza o la filosofia a placare la nostra ansia? Forse no. Come ricorda William Blake, “nessun uccello si leva troppo in alto, se sale con le proprie ali”. E così, ci affidiamo a parole che vengono da più lontano: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1).
È la fede, infatti, a offrirci l’unica risposta capace di dare senso al mistero della morte. San Paolo lo ricorda con forza: “Ecco, io vi annuncio un mistero: non tutti moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio” (1Cor 15,51).
La speranza cristiana non annulla il dolore, ma lo trasfigura. Ci invita a riscoprire l’altro — nel momento del distacco e nel cammino che ancora ci resta insieme.
La morte, in fondo, ci richiama alla carità, come Gesù prega: “Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17,11).
La vita alimentata dall’amore ci parla anche nel distacco. E allora, come scrive Padre David Maria Turoldo, arriverà il giorno in cui comprenderemo pienamente la bellezza dei nostri giorni:
“Ma quando da morte passerò a vita,
sentirò che dovrò darti ragione, Signore.
E come un punto sarà nella memoria
questo mare di giorni…”
Il pianto della morte è parte di noi, ma non dobbiamo temerlo. Lo ricorda Rainer Maria Rilke:
“Grande è la morte: noi siamo suoi, suo è il nostro sorriso”.
E ancora Gibran, con la sua voce profetica, scrive:
“Che cos’è questo cessare di respirare se non liberare il respiro dalle sue incessanti maree, perché possa infine elevarsi ed espandersi alla ricerca di Dio?”.
Non ho trovato una spiegazione definitiva — confessa l’autore — ma la memoria mi ha riportato a un testo di quasi vent’anni fa, pubblicato da Suor Cristiana Dobner, carmelitana scalza. In esso, la religiosa rifletteva su questi giorni di festa, spesso ridotti a un semplice “ponte dei Morti”, occasione di viaggi e svago.
Scriveva: “Corriamo da un impegno all’altro, incapaci di soste o pause. È il baratro dell’illusione che rende compulsiva la vita, e ci impedisce di ascoltare ciò che dentro di noi vorrebbe affiorare”.
Suor Cristiana portava poi l’esempio di Rita Levi Montalcini, di cui ammirava la grandezza umana e scientifica, ma dalla quale si discostava per la visione puramente materiale della vita.
“Non posso seguirla — scriveva — quando considera l’esistenza come un semplice passaggio nella storia, destinato a dissolversi in un ciclo di cellule. La grandezza dello spirito umano, invece, mi induce a credere che ciascuno di noi è persona unica, in una lunga catena vivente che lega generazioni e storie”.
Non si tratta, dunque, di una lotta cieca contro la fine, ma di uno sguardo di fede, radicato nella storia, illuminato dal cammino del Figlio di Dio.
“Non è questione di spazio o di dimensioni fisiche — concludeva la Suora — ma di appartenenza: di sapersi figli nel Figlio, in cammino verso l’origine che è l’amore trinitario.”
E infine, con una certezza semplice e luminosa:
“Chi crede non è ingenuo: sa di essere nella mano del Padre. Nessuno è solo, né qui né oltre la soglia della vita. In un solo sguardo ci ritroveremo insieme.”
Una riflessione intensa e incoraggiante, che vale la pena condividere in questi giorni di memoria, fede e speranza.