Di Daniele Rocchi
Padre Gabriel, com’è la situazione in questo momento dentro Gaza?
La situazione continua a essere molto brutta. Certo, è meglio rispetto ai giorni peggiori che abbiamo vissuto, ma i bombardamenti non cessano: ci sono morti e distruzione. Solo da ieri a oggi, in tutta la Striscia di Gaza, si contano una novantina di morti, tra cui ventiquattro bambini. È la rappresaglia dell’esercito israeliano per le azioni di Hamas, o presunte tali. Le accuse, come sempre, sono reciproche.
La gente è esausta e vive nell’ansia.
Da una parte cerca di rialzarsi, di riprendersi, di tornare alle proprie case o di ritrovare spazi in cui sentirsi ancora viva, dove poter dire “c’è ancora speranza”. Dall’altra parte, però, gli aiuti umanitari non arrivano. È vero che nelle ultime settimane sono disponibili più prodotti, ma le persone non hanno contanti. È stata anche riaperta una banca a Gaza city, ma è senza liquidità. Tutto sembra fermo, immobile, come prima.
Ci sono segni o tentativi da parte della popolazione di ricostruire o riparare le abitazioni distrutte dalla guerra? L’inverno è alle porte…
Ad oggi, per esempio, non è ancora arrivato il permesso per la ricostruzione di Gaza. È un’offesa terribile per tutta la popolazione, che vede avvicinarsi l’inverno senza neppure una ruspa per togliere le macerie dalle strade. Non ci sono materiali da costruzione: niente cemento, niente ferro, niente legno. Mancano perfino le tende. Centinaia di migliaia di persone ne avrebbero bisogno, ma non è stato autorizzato l’ingresso neppure di quelle, che restano bloccate al confine.
Riuscite ancora, come parrocchia, ad aiutare la popolazione?
Continuiamo a sostenere la popolazione come possiamo e con quel che abbiamo. In questi giorni riprenderemo le lezioni per i figli dei rifugiati ospitati qui nel nostro compound, per i bambini e anche per i figli degli insegnanti.
Ma i numeri sono minimi, perché le nostre tre scuole cattoliche sono piene di sfollati.
Andiamo avanti anche con le attività dell’oratorio e con gli anziani. Stiamo organizzando per loro una uscita al mare, per permettere almeno di vedere l’acqua, respirare un po’ di libertà.
Sono state diffuse alcune foto delle suore con i bambini sulla spiaggia. Sono momenti preziosi che fanno bene all’anima.
Sì, lo sono davvero. Anche se, da una parte, il mare dà gioia, dall’altra basta girarsi e vedere che il porto è pieno di tende. La sofferenza è ovunque. Non si può dimenticare.
Avete avuto contatti con Papa Leone XIV in queste settimane?
Sì, continuamente. Il Papa ci scrive, ci invia messaggi, a volte ci chiama. Non ogni giorno, ma con grande costanza. È molto vicino a noi, come lo sono anche il patriarca e la nunziatura. L’ultima volta ci ha mandato un saluto e una benedizione per tutti, due giorni fa. Sentiamo davvero tanto la sua vicinanza.
Può descrivere quello che si vede all’esterno della parrocchia che si trova nel quartiere di Al Zaitoun, a Gaza City?
Non resta quasi nulla. La distruzione è enorme, soprattutto negli ultimi bombardamenti prima della tregua. Alcuni quartieri della città di Gaza, come Nasser, sono stati completamente rasi al suolo.
C’erano palazzi alti, belli, dove vivevano centinaia, a volte più di mille persone. Ora non resta niente. Chi torna, torna al nulla.
La devastazione parte dal nord – Beit Lahia, Beit Hanoun, Jabalia, Nasser, Shuja’iyya – e arriva fino al sud. Anche Tel el-Hawa è quasi tutta distrutta: lì c’era la scuola delle suore del Rosario, la maggior parte dei palazzi è crollata. Ieri, ad esempio, sono uscito a fare alcune spese per l’oratorio, le scuole e gli anziani. Ho percorso la strada dell’università: tutto distrutto. Mi sono perso. Non riconoscevo più i punti di riferimento, le strade, nulla. È come muoversi in un deserto di rovine.
A chi chiede come aiutare la vostra missione cosa risponde?
Di continuare a pregare, a sostenere chi soffre, a non perdere la speranza, perché qui, davvero, ci vuole un miracolo.