“Più che organizzarsi per dare risposte di morte, non avrebbe più senso investire, applicando la legge in modo adeguato, per dare risposte alle domande di vita?”. È l’interrogativo con cui padre Carmine Arice, padre generale della Piccola Casa, risponde ad una domanda sul fine vita, a margine del convegno “Non c’è diritto senza limiti” tenutosi il 17 ottobre alla Piccola Casa di Torino. In un’intervista a La Voce e il tempo, settimanale dell’arcidiocesi torinese, p. Arice ribadisce la necessità di applicare correttamente le leggi esistenti sul fine vita, piuttosto che introdurre nuove normative orientate all’autodeterminazione assoluta e, partendo dall’esperienza diretta dell’hospice aperto nel 2022 a Chieri, sottolinea come come cure palliative efficaci e vicinanza ai malati riducano drasticamente la domanda di suicidio assistito. Per quanto riguarda la legge 219/2017 sulle Dat, il sacerdote evidenzia un limite cruciale: “È difficile avere la certezza che la volontà espressa dalla persona quando firma la dichiarazione anticipata di trattamento corrisponda alla medesima di quando si viene poi a trovare nella situazione di doverla applicare”, e ribadisce inoltre l’importanza dell’obiezione di coscienza per i medici.
Sul fronte normativo afferma: “Dobbiamo vigilare su norme che puntano all’autodeterminazione assoluta della persona”, e cita le parole di Maria Letizia Russo, affetta da patologia irreversibile, davanti alla Corte costituzionale: “Mi piacerebbe uno Stato che dicesse che la mia vita è importante e la difende da tutti, anche da me”. L’auspicio infine di maggiori investimenti sugli hospice e nel sostegno alle famiglie, ricordando che, come affermava Cicely Saunders, la dottoressa britannica che diede inizio alle cure palliative, “dobbiamo uccidere il dolore, non il nostro paziente, affinché la vita possa emergere di nuovo e possa continuare fino alla fine”.




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