SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Una vita dedicata alla famiglia e alla docenza e una grande passione per il teatro e per la storia, anche locale: si può riassumere così la biografia del prof. Giancarlo Brandimarti, che è anche un ottimo autore e regista teatrale, un grande conoscitore del dialetto sambenedettese ed un esperto dei costumi e delle tradizioni della città di San Benedetto del Tronto e di tutto il territorio del Piceno. Fresco del riconoscimento più prestigioso della Città di San Benedetto del Tronto, il Gran Pavese Rossoblù, lo abbiamo incontrato per farci raccontare il suo impegno per la comunità.
Gran parte della sua vita è stata dedicata all’insegnamento. Quali sono i ricordi più belli relativi alla sua esperienza di docente, che serba nel cuore?
L’insegnamento ha occupato gran parte della mia vita e continua a farlo ancora oggi che sono in pensione!
Ho iniziato nel lontano 1983 e ho potuto sperimentare tutti i segmenti della Scuola italiana. Sono partito dalla Scuola Primaria, che all’epoca si chiamava Scuola Elementare, vincendo un concorso magistrale, e sono rimasto a fare il maestro per tre anni.
Nel 1986 poi ho vinto il concorso per poter insegnare Materie Letterarie nella Scuola Secondaria di Primo Grado, che all’epoca si chiamava Scuola Media.
Vi sono rimasto per vent’anni, fino al 2006, quando finalmente sono riuscito a coronare il mio sogno di insegnare alle Scuole Superiori: per 12 anni, infatti, sono stato docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Scientifico Benedetto Rosetti a San Benedetto del Tronto.
Oggi mi divido tra la docenza di Storia della Chiesa presso l’Università della Terza Età e quella di Storia del Cristianesimo presso la Scuola di Formazione Teologica della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, che negli ultimi anni si è aperta anche alla Diocesi di Ascoli Piceno, prima attraverso la collaborazione con altri docenti, poi con l’inserimento anche di studenti provenienti da Ascoli.
Di ricordi ce ne sarebbero molti, ma sicuramente i momenti per me più stimolanti sono quelli legati all’insegnamento della storia, una passione che ancora oggi arde forte nel mio cuore.
Come è nata la sua passione per l’insegnamento e, nello specifico, per la storia e la filosofia?
All’inizio ho pensato all’insegnamento per una questione di praticità: all’epoca, infatti, non sapevo se la situazione economica della mia famiglia mi avrebbe consentito di proseguire gli studi, perciò mi sono messo nella condizione di poter accedere subito al mondo del lavoro. Con un diploma da maestro, avrei sicuramente potuto insegnare senza dover per forza accedere all’Università, perciò ho scelto di diventare allievo dell’Istituto Magistrale Luigi Mercantini a Ripatransone. Ben presto è giunta anche la passione per la professione di docente! Durante il secondo anno magistrale, ho incontrato un professore di Filosofia che mi ha proprio affascinato: il prof. Emilio Pasqualetti. A quel punto il mio sogno è diventato quello di insegnare Storia e Filosofia.
Come è stata questa lunga esperienza nel mondo della Scuola? E come l’ha vista cambiare negli anni?
Sono molto soddisfatto della mia carriera da insegnante, proprio perché ho potuto sperimentare tutti e tre i suoi segmenti, in modo particolare quello molto critico della Scuola Media, dove ho trascorso 20 lunghi anni della mia vita. Ho girato tutto il territorio della provincia, ho fatto tanti chilometri e poi, verso la fine del secolo scorso, sono riuscito a tornare in zona, prima presso la Scuola Media in Acquaviva Picena, poi presso la Scuola Media Sacconi in San Benedetto del Tronto, dove ho trascorso 6/7 anni, alcuni dei quali anche in veste di vicepreside. Quest’ultima esperienza da vicedirigente mi ha convinto ancora di più della mia vocazione all’insegnamento. Mi sono accorto che mi piaceva molto stare a contatto con i ragazzi e costruire con loro relazioni di reciproco rispetto e stima, contribuendo alla loro crescita intellettuale e personale. Vedere i progressi degli studenti, inoltre, è sempre stata fonte di grande soddisfazione.
Dunque una passione talmente grande che prosegue anche ora da pensionato. Come definirebbe la sua esperienza all’UTES (Università di tutte le età e del tempo libero) come vicepresidente e docente?
Quello del docente è un ruolo creativo e stimolante, sia perché consente di trasmettere conoscenze e un modo di pensare critico, sia perché sollecita a cambiare ogni volta argomento e tema di riferimento o almeno il modo in cui lo si affronta. Le mie lezioni non sono mai uguali, perché le persone che ho di fronte non sono mai le stesse e devo quindi adattare il linguaggio e il modo di spiegare ai miei interlocutori. Se invece gli studenti che ho di fronte sono gli stessi, allora cambio l’argomento trattato, così da non annoiarli con informazioni che già sanno. All’Utes inoltre ho la possibilità di confrontarmi con altri adulti e di imparare ogni giorno qualcosa da loro o dai colleghi. È molto stimolante.
Anche la Scuola di Formazione Teologica della Diocesi Truentina la annovera tra i suoi docenti. Come è nata questa ulteriore esperienza di insegnamento?
Quando sono andato in pensione, nel 2018, facevo parte dei gruppi del Vangelo che erano coordinati dal dottor Paolo Marano e dalla moglie Patrizia Palazzoni, mentre da padre spirituale faceva don Gian Luca Pelliccioni, che all’epoca era anche il direttore della Scuola di Formazione Teologica. Proprio in quell’anno la prof.ssa Rosina Magnanimi aveva lasciato la Scuola per motivi di famiglia e allora don Gian Luca mi offrì la cattedra di Storia della Chiesa: sapeva infatti che io ero stato docente di storia, perché due sue parrocchiane di Monteprandone erano state mie alunne. Questo appena iniziato è il settimo anno che do il mio contributo e ne sono davvero molto felice. La Scuola di Formazione Teologica è un ambiente molto vivo e stimolante. A me non piace parlare sempre degli stessi argomenti e allo stesso modo, quindi, sebbene il programma sia sempre lo stesso, ogni volta faccio approfondimenti diversi: a volte aggiungo una monografia, a volte uno studio particolare, insomma ogni volta qualcosa di diverso, così da renderlo interessante anche per chi ha terminato il ciclo triennale e ricomincia il corso dall’inizio. La Scuola, inoltre, è un luogo di scambio, in cui si dà e si riceve: gli studenti non sono ragazzi, ma adulti, quindi a volte il confronto può essere arricchente anche per noi docenti.
Oltre all’insegnamento, una lunga parte della sua vita è stata dedicata all’associazione “Ribalta Picena”, di cui oggi cura la direzione artistica. Come è entrato a farne parte e quali attività svolge l’associazione?
Non sono tra i suoi fondatori, ma già nel 1984 ne facevo parte. Oggi siamo rimasti in pochi, perché purtroppo alcuni amici non ci sono più, altri sono invecchiati e altri ancora hanno dovuto lasciare per motivi di salute o di famiglia. Io ancora cerco di resistere, ma avremmo bisogno di un ricambio generazionale soprattutto a livello di direzione artistica. Il tesoriere della nostra associazione e mio primo collaboratore è Lorenzo Nico e un’altra valida spalla è il consigliere Piero di Salvatore, che ha concluso con me e con altri un progetto importante insieme all’associazione “Paese Alto di Grottammare“: la traduzione in vernacolo sambenedettese degli ultimi sette capitoli di Pinocchio.
La tutela del nostro dialetto locale è il fulcro dell’attuale attività della nostra associazione. Per molti anni, infatti, dal 1997 ad oggi, tranne qualche sporadica interruzione, la “Ribalta Picena” ha animato al Paese Alto di San Benedetto del Tronto il “Natale al Borgo“, che a buon titolo può essere considerato il festival del dialetto sambenedettese. Anche quest’anno lo riproporremo, ma con una grossa novità: la manifestazione, infatti, sarà sotto l’egida dell’“Accademia Popolare del Dialetto Sambenedettese”, un nuovo soggetto che abbiamo fondato insieme al “Circolo dei Sambenedettesi“, al “Circolo dei Pescatori”, al “Circolo Mare Bbunazz” e all’“Utes”, con l’intento principale di salvaguardare la nostra lingua vernacolare e coniugare le nostre due passioni principali: l’amore per il teatro e quello per il dialetto.
Un altro progetto importante che abbiamo in cantiere è la stampa di tutte le opere della celebre poetessa Bice Piacentini, riunite in un unico volume. Già è stato fatto dalla sua famiglia per le opere di Giovanni Vespasiani, ora noi lo stiamo facendo per quelle di Bice Piacentini e, a breve, grazie anche ad un finanziamento del BIM Tronto, dovremmo riuscire a farlo anche per quelle di Ernesto Spina, il terzo grande poeta sambenedettese, a cui uniremo anche una miscellanea di altri poeti sambenedettese importanti. Questo enorme lavoro rappresenterà, per il futuro, una pietra miliare a fondamento e a tutela del dialetto sambenedettese, oltre che costituire una fonte documentale essenziale per chi si occupa di vernacolo, di etnografia e di studio della civiltà marinara.
Il suo attaccamento al territorio è testimoniato anche dalla sua appartenenza al Circolo dei Sambenedettesi. Quali progetti porta avanti?
Sono iscritto al Circolo da oltre 15 anni e da allora faccio parte del Consiglio Direttivo.
Numerose sono le iniziative che portiamo avanti, ma quella forse più rappresentativa e di cui andiamo più fieri è la pubblicazione della rivista bimestrale cartacea “Lu Campanò“, che va avanti da 55 anni. Oltre ad una rubrica fissa sul dialetto sambenedettese, ogni volta pubblichiamo una poesia in dialetto commentata da me. Quella presente nell’ultimo numero è una poesia scritta da Francesco Palestini sul nostro San Benedetto, l’unica poesia mai dedicata al racconto del martirio del nostro patrono, la stessa che ho declamato in occasione della cerimonia di premiazione del Gran Pavese Rossoblù.
Da dove nasce questo amore smisurato per il dialetto e per il teatro?
La mia passione per il teatro risale ai tempi degli studi universitari, grazie all’incontro con un docente di francese, che teneva un corso monografico sulla teoria del teatro romantico. Per superare il corso era necessario conoscere le opere di Shakespeare, che – ci diceva il professore – è stato il primo a superare le regole classiche del teatro, oltre ad autori francesi come Alfred De Musset, Alphonse de Lamartine, Victor Hugo, e l’italiano Alessandro Manzoni. Così, leggendo i testi teatrali, mi sono appassionato al teatro e ho cominciato a leggere anche altri autori, come ad esempio Luigi Pirandello. L’amore per il dialetto nasce in un secondo momento, grazie all’amicizia con Anna Lunerti, l’interprete più importante di l’interprete più importante di Ttenèlla, personaggio sambenedettese simbolo, protagonista di un dramma scritto da Bice Piacentini. Quando ho cominciato a fare teatro con la “Ribalta Picena“, ho recitato con lei uno dei ruoli in italiano dell’opera e quello è stato il mio esordio teatrale in assoluto. In italiano, perché non erano tanto sicuri del mio dialetto! Da lì è nata una passione smisurata che ancora oggi mi accompagna. E ora io e gli amici di “Ribalta Picena” ci impegniamo affinché il nostro dialetto non sia dimenticato. A tal proposito abbiamo già tenuto alcuni incontri nelle scuole per tutelare e diffondere il dialetto. In particolare abbiamo vissuto una bella esperienza con 54 bambini delle classi quinte della Scuola Primaria Marchegiani, dove, in occasione del ventesimo anno dell’intitolazione della scuola all’illustre pittore sambenedettese, alcune maestre illuminate ci hanno chiamati collaborare ed insegnare ai bambini a recitare i testi classici in vernacolo sambenedettese. Io, Benedetta Trevisani e Marilena Papetti abbiamo lavorato con le maestre e con gli alunni, vedendoci ogni 15 giorni e realizzando un progetto molto impegnativo, ma anche molto soddisfacente. Insegnare il dialetto oggi è come insegnare una lingua straniera, perché c’è una generazione di adulti che non lo ha trasmesso ai figli: quindi bisogna ricominciare tutto daccapo e lavorare come si stesse insegnando l’inglese o il francese o il tedesco. Speriamo di poter estendere questa progettualità anche in altre scuole del territorio: sarebbe molto importante per tramandare e custodire la nostra lingua.
Tutta la sua vita è caratterizzata da una forte slancio verso l’altro, verso la comunità in cui vive. Cosa la spinge a donarsi così generosamente?
Credo che mai come in questo periodo storico, fatto di un forte sviluppo ma anche di grandi contraddizioni, sia necessario rimettere al centro l’uomo e la sua capacità di mettersi in relazione con l’altro. In tal senso il mondo associativo mi ha dato e continua a darmi tanto. Ovunque sia andato, ho ricevuto moltissimo in termini di relazioni umane. Capita spesso che, oltre a scambiarsi nozioni o condividere passioni, ci si confronti anche sulle proprie fragilità: questo è una grande ricchezza!
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grande Giancarlo persona competente, generosa e ...grazie per aver ricordato Anna Lunerti, sambenedet
tese non di nascita ma di cuore