Di Raffaele Iaria
Sono trascorsi oltre 80 anni dal quel 16 ottobre 1943 quando, alle prime luci dell’alba, l’armata tedesca fece irruzione nel ghetto di Roma rastrellando, casa per casa, centinaia di ebrei. Furono 1259 le persone deportate, quasi tutti nei campi di concentramento. Solo in 16 fecero ritorno a Roma. La notizia fece molto clamore e di fronte a questa situazione si consolidò una straordinaria rete di solidarietà da parte di cittadini comuni e realtà sia laiche che cattoliche. Tra queste ultime, numerosi i conventi, le parrocchie, i monasteri, ma anche ospedali e case private, che offrirono rifugio e protezione a chi ne aveva bisogno. “Mi sembra che oggi sia assodato e ben documentato – diceva in una intervista al Sir suor Grazia Loparco, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium di Roma – l’impegno di fedeli laici, religiose e religiosi, sacerdoti, vescovi e Santa Sede nel nascondere ebrei ricercati ingiustamente dal regime di allora”. Nei monasteri, nelle case, nelle parrocchie sono state nascoste intere famiglie, o uomini e donne separatamente. Tra queste figura la parrocchia della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo nel quartiere Monteverde a Roma. Una chiesa inaugurata nel 1936, in una zona, allora, quasi di campagna, frequentata da contadini e da piccolo borghesi, in mezzo al verde. Primo parroco fu don Giovanni Buttinelli che abitò la struttura insieme alla mamma Anna. Un giovane sacerdote di 35 anni, molto attivo nell’aiuto ai più bisognosi: ad ogni richiesta non si tirava mai indietro.
Foto “Il civico Giusto”
Un quartiere abitato anche da tante famiglie ebree verso le quali, appena viene a sapere del rastrellamento e ha ben chiaro ciò che sta accadendo, comprende che bisogna fare qualcosa, “Arrivò a non conoscere la prudenza”, dice una testimone in un video realizzato per il progetto “il Civico Giusto” realizzato proprio per non dimenticare e far conoscere le gesta di chi, a rischio della vita, scelse di nascondere nelle proprie case o nelle proprie parrocchie le vittime dal nazifascismo.
Gesti tanto semplici quanto forti e tempestivi. Ad una famiglia che aveva un bell’appezzamento di terreno don Giovanni chiede subito di nascondere Giuliana, una giovane ebrea che studia per diventare maestra; a sua cugina, suor Maria Agnese, delle Suore Agostiniane invia, per nasconderli nel convento di Via Anicia, tredici ebrei. Ma non basta: nei sotterranei della chiesa nasconde più di cento ebrei. Nel registro dei battesimi – come ci dice anche l’attuale parroco don Marco Valenti – sono presenti molti nomi di ebrei che don Buttinelli finge di battezzare per evitare che vengano presi dai nazifascisti. Il documentario racconta anche uno dei tanti episodi che si verificò in alcune casette – chiamate “casermette” – nei pressi di Piazza San Giovanni di Dio. Quando i tedeschi volevano fare dei rastrellamenti, alcuni fedeli avvisarono subito don Giovanni che corse immediatamente sul posto. Aprì le braccia e disse “Volete andare qua? Prima di entrare, voi dovete ammazzare me. Qui non c’è niente. Uccidetemi e poi entrerete”. Una frase detta di getto, con ardore e fede, pronunciata da un sacerdote umile e disperato che però indusse i soldati ad indietreggiare e ad andar via.
Foto “Il Civico Giusto”
Una comunità, quella della parrocchia della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo di Monteverde, sempre disponibile e accogliente. La sua disponibilità all’accoglienza si è ripetuta nel corso degli anni. Alla fine degli anni 70, infatti, quando a guidarla c’erano sei sacerdoti (tra i quali anche don Andrea Santoro ucciso poi a Trebisonda in Turchia), decise di ospitare un gruppo di madri desaparecidos argentine, giunte a Roma per chiedere di essere ricevute da Giovanni Paolo II.
“Sono arrivato qui un anno e mezzo fa – prosegue il parroco don Marco – e ho subito conosciuto la storia di accoglienza degli ebrei attraverso una lapide che ricorda quanto avvenuto e soprattutto il racconto di alcune persone anziane che hanno ben presente questa accoglienza. Una parrocchia “coraggiosa che non si è voltata dall’altra parte e che vuole continuare ad essere una parrocchia accogliente”.