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Intervista all’autrice Francesca Aletta: “Con Due volti racconto l’amore che si trasforma in prigione”

Francesca Aletta

GROTTAMMARE – Francesca Aletta, classe 1977, originaria di Brindisi e oggi residente a Grottammare, è al suo esordio narrativo con il romanzo “Due volti”, pubblicato da Capponi Editore. Laureata in Chimica, con una carriera come informatrice medico-scientifica alle spalle, è amministratrice dell’azienda che gestisce insieme al marito. Appassionata lettrice fin da bambina, ha deciso di cimentarsi con la scrittura dando vita a una storia intensa e profondamente attuale. “Due volti” racconta la vicenda di Federica, una giovane donna che vive una relazione sentimentale all’apparenza perfetta, ma che si rivela essere un percorso di manipolazione, controllo e violenza. Il romanzo affronta tematiche dure come la violenza psicologica, economica e fisica, ma lascia anche spazio alla speranza, alla rinascita e al valore dell’amicizia.

Com’è nata l’esigenza di raccontare questa storia? Ci sono episodi reali o notizie che l’hanno particolarmente colpita e spinta a scrivere Due volti”?
L’amore malato, celato da amore romantico, è una tematica a cui sono particolarmente sensibile come donna ma anche come madre di due ragazzi adolescenti, perché in passato mi ha toccata da vicino. Inoltre, è un dato oggettivo che i casi di femminicidio, ma anche di tentati femminicidi, siano in drammatico aumento in Italia. In particolare, l’efferatezza e la brutalità di questi casi, unite all’età progressivamente inferiore dei protagonisti di tali omicidi, mi hanno turbata profondamente al punto da spingermi a scrivere “Due volti”. Negli ultimi due anni ho seguito con attenzione i casi di Giulia Cecchettin, Ilaria Sula e Sara Campanella, di ventidue anni, e di Martina Carbonaro, di soli quattordici anni, uccisa dall’ex fidanzato con una pietra solo perché non voleva più stare con lui. Un orrore perpetrato spesso per futili motivi.

La protagonista, Federica, passa dall’entusiasmo giovanile a una spirale di dolore e isolamento. Come ha costruito questo arco narrativo ed emotivo così complesso?

Lo studio attento di alcuni recenti casi di cronaca mi ha permesso di accostarmi a queste articolate dinamiche psicologiche. Ma soprattutto l’esperienza indiretta, nel tempo, mi ha portato a riflettere sul fatto che “la discesa agli inferi” più che complessa è progressiva: tragicamente e inesorabilmente progressiva. In pratica, una drammatica conseguenza di una serie di scelte sbagliate che commette anche Federica e che trasformano il suo fresco entusiasmo giovanile e la sua gaia apertura al mondo in angoscia e graduale isolamento. Come spesso accade, anche per la protagonista del mio romanzo, il suo mondo implode e la sua vita diventa una sequenza di perdite e rinunce.

Il romanzo alterna due voci molto diverse: le lettere di Federica e i pensieri di Nicola. Come ha scelto questa struttura e cosa voleva trasmettere con il contrasto tra questi due punti di vista?

Spesso, quando ci si avvicina a storie di femminicidio o tentato femminicidio, si leggono autobiografie al femminile. Io, invece, nello scrivere la storia di Federica e Nicola, ho ricercato elementi che conferissero originalità al romanzo. Da questa ricerca nasce la scelta dello stile narrativo principalmente epistolare che, in una seconda fase, mi ha permesso di inserire i pensieri e le ossessioni di Nicola con maggior agevolezza. Il risultato finale è quello di fornire una visione globale della storia: il lettore ha la possibilità di conoscere i punti di vista di entrambi i coprotagonisti, quello di una giovane donna e quello di un uomo possessivo, della vittima e del suo carnefice, con un ritmo serrato e avvincente.

Nicola è un personaggio disturbante, ma inizialmente affascinante. Quanto è importante, secondo lei, smascherare l’inganno dell’amore “romantico” quando si trasforma in possesso?

Ritengo che sia fondamentale riuscire a smascherare quanto prima la trappola dell’amore romantico celato dietro una manipolazione psicologica. Purtroppo, però, mi rendo conto che è facile a dirsi ma difficile a farsi. Oggi ci sono troppi manipolatori, troppi narcisisti maligni che perpetrano un male sottile, banale, spesso non per un vantaggio diretto ma piuttosto perché non tollerano che l’altro sia felice.

“Due volti” affronta vari tipi di violenza: psicologica, fisica, economica, affettiva. Quale tra queste pensa sia ancora oggi la più difficile da riconoscere, sia per chi la subisce che per chi osserva dall’esterno?

Penso che la violenza più difficile da riconoscere sia certamente quella psicologica. Le violenze fisica ed economica sono molto gravi, ma spesso rappresentano la punta di un iceberg. In realtà c’è un sommerso fatto di violenza emotiva e psicologica enorme che coinvolge molte più persone di quante si possano immaginare. Questi tipi di violenza sono sottili, velati, e per questo difficili da smascherare non solo per la vittima ma anche per chi osserva dall’esterno, perché quasi sempre si manifestano in modo lento e progressivo. Eppure, per un attento osservatore, i segnali ci sono sempre, come in Due volti”.

Il percorso di Federica è doloroso ma porta a una presa di coscienza e a un riscatto. Cosa spera che le lettrici (e i lettori) portino con sé dopo aver letto il romanzo?
“Due volti” vuole trasmettere un messaggio positivo, di speranza. Spero quindi che le lettrici portino con sé la determinazione a credere che sia possibile uscire da queste spirali di odio. A volte ci vogliono mesi, a volte anni. Spesso occorre attraversare il dolore ma, con determinazione, consapevolezza e anche grazie all’aiuto di persone attente, è possibile riscattarsi e ricominciare più forti e positivi di prima.

L’amicizia e il confronto sono due forze salvifiche nel libro. Quanto sono stati importanti anche per lei, come autrice e come donna, nel suo vissuto personale?
La vita mi ha insegnato l’importanza di circondarsi di amici veri e leali. Però ho anche compreso che, per raggiungere questo risultato, è fondamentale cercare di essere per primi buoni amici per gli altri. In quest’ottica, “Due volti” vuole essere un inno all’amicizia, quella pura, autentica e attenta. Infatti, i lettori, attraverso la figura di Cecilia (l’amica a cui sono indirizzate tutte le lettere di Federica), possono comprendere l’importanza di essere buoni ascoltatori, mentre attraverso Donato (l’amico di Nicola) è possibile cogliere il valore di essere amici presenti, attenti a ogni segnale di disagio, andando ben oltre un semplice “Va tutto bene?”.

Essendo “Due volti” il suo romanzo d’esordio, quali sono state le principali difficoltà che ha incontrato nella scrittura?

La difficoltà maggiore è stata quella di entrare nella mentalità maschile: riuscire quindi a vedere le cose, e soprattutto le donne, dal punto di vista di un uomo, per di più ossessivo e manipolatore. Lo studio di alcune personalità disturbate e ossessive è stato di fondamentale importanza, ma alla fine non nascondo che mettermi in gioco anche da questo punto di vista mi ha appassionata, e spero che il risultato che offro ai lettori sia tanto credibile quanto avvincente.

Lei ha una formazione scientifica. Com’è stato per lei passare dal rigore della scienza alla libertà della narrazione?
Deve sapere che amo moltissimo la chimica e che nella mia vita ha sempre rappresentato una costante. Lo stesso vale per la protagonista di “Due volti”, Federica: infatti, il libro inizia e si conclude parlando di chimica. Ma, al di là del mio personale entusiasmo, mi è piaciuta l’idea di avvicinare i lettori a una materia scientifica, perché spesso si cade nell’errore di pensare a queste scienze come a qualcosa di estremamente freddo, logico e razionale. Invece, attraverso questo romanzo, scoprirete che c’è molta più creatività di quanto si possa immaginare.

Dopo un esordio così denso e impegnato, ha già in mente un nuovo progetto letterario?

Assolutamente sì. Ci sto già lavorando con grande entusiasmo. Visti i recenti conflitti mondiali che stanno tenendo mezzo mondo con il fiato sospeso, mi piace l’idea di poter portare finalmente alla luce il diario del mio caro nonno materno, che ha vissuto la Seconda guerra mondiale, scampando agli orrori di quel conflitto e portando nel cuore l’angoscia e la paura per il resto della sua vita. Ma questa è un’altra storia che spero di raccontarvi più avanti.

 

Luigina Pezzoli: