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Messico, Culiacán, 50mila in piazza contro la violenza

(Foto AFP/SIR)

Di Bruno Desidera

Si può recuperare una città che è, praticamente, e da molti anni, in guerra? Una città che è diventata il simbolo dei cartelli del narcotraffico, anche per essere la capitale del Sinaloa, Stato natale messicano del famigerato El Chapo? Una città dove, nell’ultimo anno, gli omicidi sono stati 1.180, oltre tre di media al giorno, e le persone scomparse 1.113? Pare impossibile, ma c’è chi ci crede, con una speranza incrollabile. Anzi, sono in molti a crederci, a giudicare dal numero dei partecipanti – circa 50mila – alla marcia della pace che, il 7 settembre scorso, ha “invaso” Culiacán, capitale dello Stato messicano del Sinaloa. Nell’occasione è arrivato anche l’appello degli imprenditori dello Stato di Sinaloa perché Papa Leone XIV venga in visita, in un possibile viaggio in Messico, proprio in questa zona. L’evento, promosso da organizzazioni cittadine della società civile e del mondo imprenditoriale, ha rappresentato un grido collettivo in risposta a dodici mesi di insicurezza e violenza.

La spaccatura del “cartello” lascia un’impressionante scia di sangue. Dopo anni in cui i fatti di sangue erano stati drasticamente ridotti, infatti, la città – così come l’intero Stato, che ha dato il nome al tristemente celebre cartello del narcotraffico – ha conosciuto, tra il settembre 2024 e l’agosto 2025, una nuova impennata di omicidi, sparizioni, sequestri e attentati. Ma la società civile non si arrende, grazie a persone come Javier Llausás Magaña, direttore dell’Ong Construyendo espacios para la paz (Costruendo spazi per la pace) e uno dei punti di riferimento, nel Sinaloa, dell’Agenda nazionale per la pace, promossa dalla Chiesa messicana e da numerose organizzazioni in tutto il Paese. L’attivista, oltre a essere tra i promotori della marcia, ha elaborato un piano “di recupero” di Culiacán, articolato in tre punti: la fiducia da parte della cittadinanza; il rafforzamento della società civile – dalle famiglie agli imprenditori, dai giovani alle associazioni –; la fiducia nelle istituzioni.

E spiega al Sir: “Come è noto, il contesto in cui opera il narcotraffico è globale, e gli Stati settentrionali del Messico, più vicini agli Stati Uniti, sono particolarmente esposti. L’impennata dell’ultimo anno, che in particolare a Culiacán ha portato gli omicidi al loro massimo storico, è dovuta a una frattura avvenuta tra alcuni capi del cartello di Sinaloa”.

La droga, o meglio le droghe – dato che i cartelli non esportano solo cocaina, ma anche fentanyl, la principale droga sintetica, e marijuana – non sono l’unica attività illegale di cui si nutrono questi gruppi, potenti quanto uno Stato, se non di più. Llausás cita, in particolare, “il furto d’auto, il furto di combustibile – una delle attività illegali più fiorenti del Messico, anche in complicità con le istituzioni –, i rapimenti, la tratta di persone e il traffico di migranti, la pesca illegale nel Pacifico”. Traffici illegali ramificati, rispetto ai quali il potere politico rinuncia spesso a combattere, anche per gli altissimi livelli di corruzione e collusione.

Un piano di pace in tre punti. “Oggi – prosegue l’attivista – Culiacán è una città praticamente distrutta dal crimine e dai traffici illegali. Il tasso di omicidi è schizzato a 110 all’anno ogni 100mila abitanti. Per fare un esempio, in Italia il tasso è circa dello 0,5 ogni 100mila abitanti, in Europa del 2. A morire sono soprattutto i giovani. Va detto che non è sempre stato così: prima della frattura, il tasso di omicidi, dopo il picco di circa quindici anni fa, era stato portato a 26 ogni 100mila abitanti, e la città era uscita dalla triste classifica delle 50 città più violente del mondo, nella quale il Messico è presente con ben 20 città”. Eppure,

“il Sinaloa è ricco di risorse economiche e turistiche. Dobbiamo, per esempio, rinunciare alla coltivazione del papavero, che qui cresce in modo naturale e potrebbe essere usato per scopi medicinali, ma la sua coltivazione è vietata proprio per la lotta alle droghe. Ci sono molti luoghi di grande potenzialità turistica”.

In ogni caso, la società civile della città non vuole darsi per vinta, nella convinzione che un tessuto forte e un’alleanza virtuosa tra cittadinanza, mondo economico e politico possa invertire la tendenza: “In primo luogo, dobbiamo recuperare la fiducia. Oggi la città è messa al tappeto, serve un cambiamento di attitudine. Poi c’è il tema dell’economia: nella nostra città, su 250mila famiglie, 30mila vivono senza un lavoro dignitoso, l’occupazione è in alta percentuale informale, di recente hanno chiuso un migliaio di imprese, alle 6 di sera la città è vuota. Infine, è urgente recuperare fiducia nelle istituzioni, perché esse possano svolgere il loro ruolo. Oggi, nello Stato di Sinaloa, ci sono 11mila militari inviati per fronteggiare l’emergenza criminalità, ma non si vedono risultati. Serve un tessuto comunitario, un cammino complessivo”.

L’appello del vescovo. Tra i protagonisti di questo coraggioso impegno di pace non può mancare la Chiesa. Spiega Llausás: “La radice della violenza, molte volte, è familiare: i dati sono impressionanti, e la Chiesa può svolgere un ruolo educativo e formativo capillare”. Di forte impatto, poi, il messaggio inviato in occasione della recente marcia della pace da mons. Jesús José Herrera Quiñonez, vescovo di Culiacán, che ha invitato i cittadini a non cedere alla rassegnazione, ma a diventare attivamente “artigiani di pace”. Secondo il vescovo, Culiacán ha bisogno di

“persone capaci di seminare speranza, di accompagnare chi soffre e di educare i giovani”.

Ha inoltre sottolineato l’importanza di rafforzare i legami familiari e comunitari, visti come pilastri fondamentali per resistere alla violenza e alla disperazione. Mons. Herrera Quiñonez ha lanciato anche un monito alle autorità, esortandole a non cedere alla corruzione e all’indifferenza, ma a lavorare “con coraggio” per garantire la sicurezza e creare nuove opportunità per i cittadini. La pace, ha concluso il vescovo, non è una condizione che si ottiene passivamente, ma un processo che richiede un impegno costante: “La pace non si costruisce con le armi o la vendetta, ma con la giustizia, il perdono, la riconciliazione e l’amore solidale”.

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