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Ascoli Piceno, dott.ssa Faiella: “Le dipendenze giovanili: videogiochi, social media e gioco d’azzardo, non si vedono, ma fanno danni profondi”

ASCOLI PICENO – Oggi il concetto di dipendenza va ben oltre le sostanze stupefacenti. Videogiochi, smartphone, social media e gioco d’azzardo sono forme di dipendenza sempre più diffuse, soprattutto tra gli adolescenti. Un fenomeno in costante crescita, che coinvolge anche i servizi sanitari territoriali. Ne parliamo con la dott.ssa Fabiana Faiella, responsabile dei Servizi Territoriali Dipendenze Patologiche di Ascoli Piceno.

Dottoressa Faiella, qual è la situazione nel territorio di Ascoli Piceno rispetto alle dipendenze, in particolare quelle tecnologiche tra i giovani?
Nel 2024, il consumo di sostanze tra gli studenti sembrerebbe diminuito rispetto all’anno precedente, secondo i dati della Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia del 2025. Le sostanze più usate si riconfermano quelle tradizionali quali cannabis, cocaina e ed eroina, anche se è stata rilevata una diffusione preoccupante di sostanze sintetiche denominate Nuove Sostanze Psicoattive (catinoni, cannabinoidi sintetica, oppioidi sintetici e fenetilamine). Indubbiamente questa tendenza positiva sembra riflettere l’efficacia delle attività di prevenzione svolte nei contesti territoriali e nelle scuole, oltreché un possibile cambiamento nei comportamenti giovanili e nella percezione del rischio. Sicuramente i ragazzi si avvicinano con maggiore facilità alle sostanze legali, quali tabacco ed alcol, anche a causa di una maggiore tolleranza sociale verso certi comportamenti, come il cosiddetto “binge drinking”(abbuffata alcolica). Questo atteggiamento non viene percepito come realmente rischioso, sebbene possa rappresentare un fattore di vulnerabilità, anche se non sempre evolve verso una dipendenza vera e propria. Circa 360 mila studenti minorenni hanno riferito un episodio di intossicazione alcolica nel 2024, con maggiore incidenza tra le ragazze. Anche il gioco d’azzardo tra i giovani registra un netto aumento: il 59% degli studenti minorenni ha riferito di aver giocato almeno una volta nella vita, mentre il 55 % lo ha fatto nell’ultimo anno. Per quanto riguarda le dipendenze tecnologiche, siamo ancora in una fase in cui manca una codifica diagnostica riconosciuta, il che rende difficile intervenire precocemente. Si tratta di un fenomeno ancora sottovalutato a livello sociale e culturale, ma ormai molto diffuso. Oltre 180 mila studenti minorenni hanno fatto un uso problematico di Internet, trascurando scuola, relazioni, sonno. Più di 290 mila studenti minorenni mostrano reazioni emotive forti in caso di interruzione dei videogiochi. Ritengo sia urgente un cambiamento di approccio, anche in termini di prevenzione e consapevolezza collettiva.

Lei ha parlato di un cambiamento culturale. Oggi le dipendenze sono considerate malattie mentali: come si riflette questo nel lavoro quotidiano dei servizi?
Le dipendenze sono oggi classificate come disturbi mentali, e questo ha cambiato radicalmente il nostro modo di lavorare. Ci consente di collaborare in rete con altri servizi: consultori, servizi psichiatrici, sanitari e di prevenzione, ma anche con gli ambiti territoriali sociali. La possibilità di lavorare insieme su progetti integrati di prevenzione e presa in carico è fondamentale per una risposta efficace e multidisciplinare.

Quali sono i segnali d’allarme che più spesso spingono le famiglie a chiedere aiuto per un uso eccessivo di smartphone o videogiochi?
I segnali più comuni sono legati all’isolamento del minore, che progressivamente si disconnette dalla realtà quotidiana per rifugiarsi nel mondo virtuale. Questo può portare anche a un disinvestimento nella vita reale, con una perdita di interesse verso relazioni sociali, scuola, sport, fino ad arrivare, nei casi più estremi, a fenomeni come quello dei Hikikomori. Fortunatamente, molte madri e famiglie si mostrano attente e cercano di spronare i figli a uscire, incontrarsi, vivere esperienze reali, ma spesso servono strumenti di supporto professionale per gestire situazioni complesse.

Oltre alla tecnologia, state riscontrando tra i giovani anche un aumento di altre forme di dipendenza?
Sì, notiamo un incremento significativo nell’uso di alcol e, come già detto, del gioco d’azzardo. L’adolescenza è una fase delicata, dove curiosità e sperimentazione possono facilmente diventare comportamenti a rischio. Per questo è fondamentale costruire un’alleanza educativa con le scuole, promuovere la salute mentale e incentivare forme sane di aggregazione giovanile. Purtroppo, molti giovani arrivano ai nostri servizi solo in situazioni già critiche, dopo anni di difficoltà, magari a seguito di un accesso al pronto soccorso o per un provvedimento giudiziario. C’è ancora molta reticenza da parte delle famiglie nel rivolgersi tempestivamente ai servizi specializzati.

Quali interventi risultano più efficaci per trattare le dipendenze in età evolutiva? Esistono protocolli specifici?
Nella nostra realtà non esistono ancora protocolli specifici dedicati alle dipendenze in età evolutiva, anche a causa della bassa affluenza ai servizi in questa fascia d’età. È necessario un cambiamento strutturale e organizzativo che metta al centro il minore e la sua rete sociale. Al momento, si lavora caso per caso, cercando di offrire interventi personalizzati, ma sarebbe auspicabile un rafforzamento delle risorse e dei modelli di intervento.

Secondo lei, quali azioni dovrebbero essere considerate prioritarie per affrontare il fenomeno, a livello locale e nazionale?
Prevenzione, promozione della salute e costruzione di una rete territoriale solida. La scuola, le famiglie, i servizi e i centri di aggregazione devono lavorare insieme, in modo coordinato. Nel nostro territorio abbiamo già una buona cultura della prevenzione, grazie alla collaborazione con il PEAS (Programma Educazione alla Salute)  e gli ambiti territoriali sociali, e continuiamo a investire in questo senso. È fondamentale creare una cultura della saluteabbattere lo stigma contro le malattie mentali e le dipendenze patologiche, orientare le istituzioni verso interventi efficaci e tempestivi. Al tempo stesso, occorre sensibilizzare la popolazione sui campanelli d’allarme, per intervenire prima che le situazioni diventino croniche o gravi. Solo lavorando in rete si può cercare di affrontare l’enorme complessità di tali patologie.

Luigina Pezzoli: