
Di Paolo Annechini
“Veniamo a prendervi, se troviamo la benzina”. Così ci aveva risposto don Daniele Soardo, coordinatore dell’incontro che ha visto riuniti per tre giorni, dal 2 al 5 giugno scorsi a L’Avana, i missionari italiani che operano a Cuba. Perché oggi a Cuba il problema è anche la benzina, che non si trova, e quando arriva ci sono decine di auto in fila per il rifornimento. E magari quando arriva il turno, o anche molto prima, la benzina finisce. E quindi… altro giorno e altra fila, sperando che vada meglio.
Bodeghe e libreta. Hai due modi di vivere a Cuba: quello del turista, che alloggia nelle “case particular” o negli hotel, che spende la valuta pregiata nei piccoli empori “mipyme”, tiepido tentativo di micro liberalizzazione dell’economia; o quello del popolo cubano, che vive con i “pesos”, la moneta locale, che va a ricevere i beni di prima necessità assicurati dal governo nelle “bodeghe”, negozietti dove si accede con la “libreta”, sulla quale si segna mensilmente quello che il governo ha deciso di dare a tutti i cubani: pollo, zucchero, sale, pane.E anche lì code perché, quando si sparge la voce che arriva il pollo, tutti si mettono in fila; se finisce prima che arrivi il tuo turno, di nuovo in coda quando ricompare il cibo.Don Carlo Doneda, missionario di Milano, ci racconta che dov’è lui, a Santiago di Cuba, la “libreta” nemmeno esiste più, sempre meno e sempre più in ritardo arrivano i viveri promessi dal governo. Mentre la mancanza di energia elettrica raggiunge anche la durata di 15-16 ore al giorno.
Cucinare di notte. Per cucinare i cubani usano le bombole di gas, fornite dal governo con ritardi di mesi. Alternativa è cucinare sulle piastre elettriche. Ma se la corrente la danno alle due di notte per qualche ora, devi alzarti a quell’ora per cucinare, altrimenti la tua dieta sarà costituita da prodotti non cucinati. Anche le Piccole Sorelle di Gesù a l’Avana fanno così, ci dice Rosetta Chiesa, originaria di Trento. A turno si alzano quando c’è corrente per cucinare.La vita del missionario a Cuba è tutta un incastro di eventuali possibilità: se c’è la benzina, se c’è l’energia elettrica… Si vive giorno per giorno, come la gente, del resto.In questa situazione anche le attività sociali proposte dalle parrocchie vivono alla giornata. Il “comedor”, la mensa per i più bisognosi, un tempo proibita perché “nessuno a Cuba aveva bisogno”, oggi è diventata una realtà più che tollerata. Funziona, spiega padre Luigi Moretti, frate francescano che vive a Matanzas, se c’è la corrente per far andare le piastre per cucinare, se nel frattempo qualcuno con la benzina ha potuto recuperare gli alimenti da cucinare. E se, infine, l’auto scassata a disposizione è riuscita a partire, perché da anni non si possono fare le normali manutenzioni. La mancanza di corrente elettrica è diventata un’emergenza nazionale, a causa gli uragani ma anche a causa di una situazione economica sempre più critica per l’isola, soffocata da un’ideologia che non realizza quello che predica, dal feroce “embargo” americano e dalla crisi delle relazioni internazionali (leggi Russia e Venezuela) che lo aggiravano.
- Volontari in una mensa parrocchiale (Foto P. Annechini)
- Veduta de L’Avana (Foto P. Annechini)
Le uova sono un lusso. Il pensionato cubano riceve 1.500 pesos ogni mese, un cartone di 30 uova ne costa 3.000: può permettersi mezzo uovo al giorno! Come si vive in queste condizioni? Si sopravvive, con gli aiuti che arrivano dall’estero, da chi è emigrato negli Stati Uniti o in Europa dice don Sergio Armentini di Bergamo, missionario a Guantanamo. Ricaricano le carte di credito a parenti e amici rimasti e solo così si va avanti. Don Massimo Peracchi, anche lui di Bergamo e anche lui a Guantanamo, racconta della pastorale: fai dei programmi, anche se poi ti ritrovi ogni mese con qualcuno in meno perché nel frattempo se n’è andato.Negli ultimi anni il 25% della popolazione ha lasciato l’isola: quasi tre milioni su 11.Persino i giovani preti sono attratti dalla scelta di esercitare il ministero all’estero, creando conseguenze nelle già fragili diocesi cubane: 150 se ne sono andati negli ultimi anni. Don Simone Zanini due volte all’anno va a Miami a trovare i moltissimi suoi parrocchiani di Guanaiay, Pinar del Rio, che ora vivono lì e che, attraverso la pagina Facebook, seguono la parrocchia e la sostengono in vari modi.
 
Missionari italiani partecipanti all’incontro (Foto P. Annechini)
Accanto alla gente. Per padre Andrea Polverino, francescano all’Avana, “non c’è bisogno di molte pastorali, non le puoi fare: il nostro compito principale – afferma a Popoli e Missione – è stare con la gente, fare le fila con loro cercando di portare un po’ di sollievo in questo periodo difficile”. Una pastorale comunque rivolta soprattutto ad anziani, donne e bambini: gli unici disponibili, perché giovani e adulti sono impegnati a sbarcare il lunario o sono all’estero in cerca di quella vita migliore che quasi sempre trovano. Il Covid ha dato la mazzata finale, dalla quale nemmeno il turismo si è più ripreso. Il modello pastorale, dicono i missionari italiani presenti all’incontro, rimane quello delle case di missione: spazi di privati, di famiglie, messi a disposizione per la vita della comunità. È la Chiesa in uscita: va tra la gente che non può muoversi molto.Ed ecco che una volta l’anno si organizza una gita con il pullman alla Virgen del Cobre, santuario nazionale, o ad uno dei parchi per i quali era famosa la (oggi) scalcinata L’Avana.“Vedessi la gente che partecipa. È la gita della vita”. Tutti vestiti a festa: le donne in lacrime davanti alla “Virgen”, i papà che portano i bambini sulle giostre, quelle ancora funzionanti. Tutti con gli occhi lucidi. C’è voglia di normalità, c’è coscienza di quello che si vive, ma prevale la speranza. E in questo la Chiesa a Cuba ha trovato il suo ruolo.
 
									 
								 
												


 
								 
								 
								 
								 
								



 
							 
							
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