Dalla Turchia a Roma: 15 giovani giunti da Iskenderun, la città devastata dal terremoto

(Foto mons. Ilgit)

Di M. Chiara Biagioni

Sono 15 i giovani arrivati a Roma da Iskenderun, la città turca che il 6 febbraio di due anni fa è stata travolta da violente scosse di terremoto, causando in Turchia e in Siria migliaia di vittime e lasciando milioni di persone senza casa. Secondo i dati ufficiali, in Turchia, il terremoto ha causato oltre 50.000 vittime e più di 180.000 sfollati vivono ancora in campi container, con servizi essenziali spesso insufficienti. Si tratta di una crisi umanitaria ancora in atto. “Quel terremoto – racconta al Sir mons. Antuan Ilgit, amministratore apostolico di Anatolia, che accompagna il piccolo gruppo di giovani turchi – ha segnato per sempre le nostre vite. Ci vorranno anni per venirne fuori. Le città e gli edifici portano ancora i segni indelebili di quella distruzione”.Fecero il giro del mondo le foto della cattedrale di Iskenderun distrutta dal terremoto, divenuta “simbolo” delle ferite che il sisma aveva inferto a tutta la popolazione.

Il gruppo dei giovani turchi insieme al vescovo mons. Ilgit

“La cattedrale a Iskenderun – racconta mons. Ilgit – è ancora a terra così come lo sono tutte le chiese della città”. Anche la chiesa ortodossa e quelle siriaca cattolica e greco-cattolica hanno subito danni e, pur non essendo del tutto distrutte, sono inagibili. “Le difficoltà burocratiche sono tante e il mancato riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica rende ancora più difficili le procedure”. Ma la solidarietà non è mai mancata. “Con il sostegno della Caritas Internationalis – ci tiene a dire il vescovo – abbiamo riorganizzato la Caritas Anatolia che attraverso l’Emergency appeal e altri progetti finanziati dalla Caritas Italiana sostiene con impegno e trasparenza le persone che più hanno bisogno, i terremotati, i rifugiati, gli studenti”.

A Roma i giovani sono ospiti della parrocchia di Nostra Signora di Lourdes a Tor Marancia. Il viaggio è stato reso possibile anche grazie ad un giovane prete, don Gabriele Vecchione, che a Roma con altre 3 famiglie e tanti amici gestisce la “Comunità San Filippo Neri – E poi?”. “In questi giorni – racconta il sacerdote romano – abbiamo aperto le nostre porte a questi giovani turchi e al loro vescovo”.“Abbiamo molto da imparare dalla loro radicalità. Per loro credere in Gesù non è affatto scontato. Può mettere a rischio la loro stessa vita”.C’è quindi uno scambio arricchente tra le due realtà giovanili che in questi giorni sono venuti in contatto. Il vescovo Ilgit aggiunge: “La prima cosa che i nostri giovani hanno notato a Roma, è l’aria pulita che si respira”, racconta. “Padre, qui non respiriamo la costante polvere delle macerie di İskenderun!”, dicono. “E poi respirano la libertà di poter cantare a squarciagola i canti cristiani in italiano e in turco. I canti sono simili anche se le lingue sono diverse”.

(Foto mons. Ilgit)

Sono tante le visite che il gruppo ha già fatto in città e tra le prime tappe c’è stata anche la possibilità di andare sulla tomba di Papa Francesco, in ricordo dell’incontro privato che il Santo Padre ebbe con i giovani turchi a Lisbona durante la Gmg. Paolo Sadredin, a nome di tutto il gruppo, dice: “Mi piace essere qui e partecipare a questo Giubileo perché stiamo facendo tante nuove amicizie. Conosciamo altre culture, questo è una bella esperienza. Mi rendo conto che la Chiesa cattolica è una comunità immensa e sono felicissimo di farne parte. Dopo il terremoto, non abbiamo mai perso la speranza e abbiamo sempre continuato a camminare con la stessa speranza. La nostra speranza è vedere un giorno la nostra Cattedrale ricostruita”.

Insomma, “i giovani hanno una forza particolare”, osserva mons. Ilgit. “Sono loro l’oro che brilla tra le macerie della cattedrale. Mi fanno venire in mente l’arte giapponese Kintsugi che come tecnica non mira a nascondere le crepe, ma piuttosto a celebrarle, rendendo l’oggetto rotto più prezioso di quanto non fosse prima. I segni di quelle crepe testimoniano lo sforzo rigenerante di rendere bello tutto quello che resta. Il loro sforzo mi fa ricelebrare il Risorto. I giovani non sono solo il futuro della Chiesa in Anatolia ma anche il nostro presente”.

La Turchia si prepara ad accogliere Papa Leone XIV, che qui giungerà per celebrare con il patriarca Bartolomeo i 1.700 anni del primo Concilio di Nicea. “La nostra speranza – dice mons. Ilgit – è che la visita del Papa porti anche sulla nostra terra un’eco di quella esortazione che aprì il suo Pontificato, “la pace sia con voi” e da qui si diffondi in tutta la Terra Santa. Speriamo anche che la sua presenza possa smuovere anche le cose rimaste bloccate e dare così la possibilità alla vita di riprendere il suo corso dopo gli anni del post terremoto”.

Ma l’Anatolia “nonostante tutto, non ha perso la speranza”.

“Il Vicariato – conclude il vescovo – sta riprendendo giorno dopo giorno le sue attività: la pastorale giovanile e le diverse iniziative proposte dai religiosi e religiose. Camminiamo uniti per animare la Chiesa in Anatolia, culla di tanti santi, apostoli e confessori di fede che illuminano ancora oggi il nostro cammino”.

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