
Di Giustino Trincia
In questi giorni, la Chiesa di Roma ha il privilegio di ospitare la gioventù del mondo ma soprattutto è chiamata mai come in questa occasione a dare una nuova testimonianza di accoglienza per i moltissimi giovani che, arrivando per partecipare al Giubileo a loro dedicato, hanno chiesto di fare un’esperienza della misericordia di Dio padre e proseguire il cammino di ricerca e di crescita nella fede.
La Caritas diocesana, in collaborazione con la Conferenza Episcopale Italiana, ha proposto ai giovani pellegrini le Esperienze di prossimità in diverse realtà di carità e promozione sociale. Fino a sabato prossimo, saranno circa mille i partecipanti che, suddivisi in gruppi e in diversi orari della giornata, saranno impegnati in 18 centri della Caritas diocesana per un’esperienza all’insegna del servizio e dell’incontro con quelle persone che si trovano in condizioni di difficoltà.
Questa loro scelta non è scontata. In un tempo in cui prevalgono l’individualismo, la frammentazione sociale, l’insicurezza del futuro e la perdita di punti di riferimento, i giovani che decidono di dedicare ore preziose all’incontro con i più fragili stanno compiendo un atto controcorrente. Scelgono la prossimità, il mettersi in gioco, il contatto umano. E lo fanno in una città – Roma – che, pur essendo la capitale della cristianità, vive oggi in modo drammatico le ferite del nostro tempo. La città che li accoglie, infatti, è una metropoli che affascina e disorienta. Luogo di grandi bellezze e di antichi fasti, ma anche di forti contraddizioni. Chi arriva da fuori la guarda con stupore, ma chi ci vive conosce bene i segni dell’emarginazione e dell’ingiustizia. Aumentano le persone senza dimora, cresce il numero delle famiglie in povertà assoluta, peggiora l’accesso alla casa, all’istruzione e ai servizi essenziali.

E accanto a tutto questo, c’è il mondo giovanile, troppo spesso invisibile nei discorsi pubblici ma profondamente toccato dalla crisi. I giovani romani – e non solo – vivono un contesto segnato dalla precarietà lavorativa, dalla difficoltà a costruire un futuro stabile, dalla solitudine relazionale e da una diffusa sfiducia nelle istituzioni. Crescono i disturbi del disagio psicologico, si allarga la frattura tra chi può permettersi percorsi educativi di qualità e chi rimane indietro. Il diritto allo studio, all’abitare, al tempo libero e alla partecipazione sociale non è garantito per tutti. I quartieri periferici, in particolare, pagano un prezzo altissimo in termini di abbandono scolastico, disoccupazione giovanile e devianza. Il Giubileo dei giovani, allora, si colloca in una cornice che non può essere ignorata o edulcorata. Accogliere i giovani pellegrini non significa solo organizzare eventi spirituali o logistici, ma offrire loro un’esperienza che parli della realtà così com’è, che li metta in contatto con le domande più urgenti della città. Da qui nasce l’invito a vivere esperienze di prossimità: momenti in cui la fede si traduce in gesti, in sguardi, in ascolto. In questo senso, la scelta di portare i giovani nei luoghi del bisogno non è solo un’attività di volontariato, ma una forma concreta di evangelizzazione. È un modo per ricordare che il Vangelo si gioca nel corpo a corpo con l’umanità ferita, e che la misericordia di Dio si manifesta quando ci si fa vicini, senza giudicare e senza voltare lo sguardo. Questi giovani diventano allora una profezia concreta, che ci mostra una Chiesa inquieta, aperta, che non ha paura di attraversare le periferie della vita.
È un messaggio forte per la nostra città. I giovani non sono solo destinatari di politiche o fruitori di servizi. Possono essere protagonisti di cambiamento, costruttori di futuro, operatori di speranza. Quando li vediamo servire ai tavoli delle mense, accompagnare anziani soli, giocare con bambini fragili o semplicemente ascoltare con attenzione chi ha alle spalle una vita spezzata, comprendiamo che la carità è davvero generativa. Non migliora solo la vita di chi riceve, ma anche di chi dona. Roma ha bisogno di questi giovani. Ha bisogno di sguardi limpidi, di cuori aperti, di mani operose. Ha bisogno di speranza. Non una speranza ingenua, ma una speranza incarnata: quella che nasce dall’incontro, che si alimenta nella relazione, che diventa scelta di vita. Il Giubileo ci offre l’occasione di riaccendere questa speranza, a partire proprio da chi ha tutta la vita davanti e vuole spenderla per il bene. Il Giubileo della speranza trova così la sua incarnazione più autentica: nel volto di chi serve e in quello di chi è servito, in un incontro che trasforma entrambi.










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