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Il Parlamento europeo non boccia Von der Leyen

(Photo European Parliament)

Di Gianni Borsa

Tutto come previsto. O quasi. La mozione di censura rivolta alla Commissione europea e alla sua presidente Ursula von der Leyen, presentata dal conservatore rumeno Gheorghe Piperea, non passa al Parlamento europeo. I votanti sono stati 553 (su 720 eurodeputati), 360 i contrari alla mozione, 175 i sì, 18 gli astenuti. Già dal dibattito in aula, svoltosi lunedì, si era capito che l’assalto al Collegio non avrebbe avuto alcuna chance. E forse, nelle intenzioni degli stessi proponenti (il gruppo dei Conservatori si è spaccato in due) c’era più che altro la volontà di fare le pulci alla Von der Leyen e alle modalità con le quali aveva affrontato, nell’emergenza, la questione dei vaccini anti Covid (Pfizergate).
Sul campo rimane un Parlamento europeo diviso circa il rapporto con la Commissione, mentre quasi tutti i gruppi politici hanno registrato defezioni sul giudizio riguardante l’Esecutivo.
Due annotazioni ancora sul voto. Contro la mozione, e dunque a favore della Commissione, ci sono stati 360 voti, esattamente la metà degli europarlamentari: al momento della fiducia la Von der Leyen aveva avuto 370 consensi. Oggi può contare, di fatto, solo sulla metà dell’emiciclo. La seconda valutazione riguarda il voto degli italiani. Nel centrodestra la Lega ha votato la sfiducia, Forza Italia ha scelto di sostenere Von der Leyen, FdI – che fa parte dei Conservatori – non ha partecipato al voto. In casa Pd si è verificata una forte divisione nel gruppo e, su 21 rappresentanti, solo 14 hanno votato contro la mozione (per non appoggiare un’iniziativa delle destre). I deputati del Movimento 5 Stelle hanno espresso parere favorevole alla mozione di censura.

Il dato politico più rilevante riguarda però l’eclissarsi della ex “maggioranza Ursula”.

Popolari, Socialisti e democratici, Liberali, con l’aggiunto dei Verdi, che avevano accordato lo scorso anno la fiducia a Von der Leyen ora appaiono fortemente divisi. L’unico gruppo politico che sostiene apertamente la Commissione è il Ppe, ovvero il partito della stessa presidente della Commissione. Fortissimi dubbi sul suo operato vengono sollevati a ogni piè sospinto da Socialdemocratici e Liberali; i Verdi sono scettici, e spesso contrari, su quasi tutte le proposte e le azioni del Collegio. Che, invece, piace sempre di più alle destre sovraniste.

(Photo European Parliament)

In effetti Von der Leyen ha compiuto evidenti torsioni politiche in questi anni, ma soprattutto dall’inizio del suo secondo mandato. Il Green Deal, che era stata la proposta caratterizzante la sua prima Commissione, è stato indebolito, a tratti annullato: la lotta al cambiamento climatico e la difesa dell’ambiente non figurano in cima all’agenda della Commissione. Sulle migrazioni la linea intrapresa appare di chiusura progressiva tra difesa delle frontiere, hub esterni e rimpatri. La Commissione – a cui certo va riconosciuto di navigare in tempi complessi e problematici: oggi la guerra russa in Ucraina e i dazi di Trump; ieri il Covid e la crisi sanitaria ed economico-sociale che ne era seguita – sta sposando senza indugi l’urgenza del riarmo e il sostegno all’industria bellica. Dagli ormai ex sostenitori della Commissione giungono poi diverse altre obiezioni alla linea intrapresa; si sconta, fra l’altro, una distanza crescente tra l’Esecutivo e l’Emiciclo e una maggiore dipendenza del primo dal Consiglio, dove sono rappresentati i governi dei Paesi membri, in maggioranza di centrodestra o nazionalisti.

Occorre ribadire che la posizione di Ursula von der Leyen è obiettivamente difficile,

costretta a procedere sulle sabbie mobili dei conflitti diffusi, delle minacce di Putin, dei massacri a Gaza, delle sortite incoerenti (è un eufemismo…) e antieuropee del Presidente degli Stati Uniti, delle pressioni cinesi. L’incertezza e l’instabilità generale, unite ai chiaroscuri economici, non aiuta chi è chiamato ad assumere quotidianamente decisioni di assoluto rilievo. Ma è pur vero che in questo procedere a tentoni è anche impossibile intravvedere una visione di futuro, proprio nel momento in cui ci sarebbe maggior bisogno di un’Europa unita, coesa, protagonista sulla scena globale.
Il voto del Parlamento europeo di fatto non boccia la Commissione. Certamente non ne promuove l’orientamento e non assegna a Von der Leyen un sostegno ampio di cui ogni “esecutivo” necessita per andare avanti. La prova del nove arriverà a settembre, quando Von der Leyen sarà chiamata a presentare all’Europarlamento il discorso sullo stato dell’Unione. A quel punto dovrà scegliere dove collocarsi politicamente.

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