DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.

«In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi».

Così si apre la pagina evangelica che, oggi, la liturgia ci propone.

Il brano si conclude, poi, con gli stessi «settantadue [che] tornarono pieni di gioia dicendo: “Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome».

Questi uomini sono umanamente e giustamente felici ed orgogliosi dei successi ottenuti nella loro missione e, entusiasti, raccontano quanto compiuto a Gesù.

Ma…cosa aveva chiesto loro il Signore? Delle conquiste? Delle vittorie? Dei successi?

Ripartiamo dai “consigli”, dalle indicazioni che Gesù dà a questi discepoli prima della loro partenza.

«Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada».

Non sembrerebbe davvero un equipaggiamento da conquista quello proposto da Gesù. Il discepolo è un agnello, cioè non si presenta forte, non si presenta come il più grande ma come colui che è mite e che, attraverso questa sua mitezza, porta la Buona Notizia dell’incontro con il Pastore Bello, colui che, ogni istante, si prende cura del suo gregge, lo custodisce, lo nutre.

Il discepolo non ha alcuna borsa con sé perché, prima di tutto, il pane che ci dà vita è quello della Parola e della fraternità. Nemmeno i sandali ai piedi perché i sandali li calzano i soldati e i padroni e, da discepoli, vogliamo solo porci a servizio della Parola e dell’uomo.

Cosa porta con sé, allora, il discepolo?

Ce lo dice San Paolo nella lettera inviata alla comunità dei cristiani della Galazia. Paolo scrive «…non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo…».

Facciamo attenzione: in epoca romana, la croce non era assolutamente un vanto, anzi, era il modo più umiliante per morire; il suo scopo era proprio quello di esporre il condannato al pubblico disonore.

Nella croce, Paolo capisce l’essenza di Dio, quel Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio; Paolo fa esperienza del peso, cioè della gloria di Dio, di questo amore che l’ha tirato così in basso da farlo schiavo, schiavo di tutti e servo fino alla morte di croce. Questa è la gloria di Dio, la croce; questo è l’amore di Dio e Paolo se ne vanta.

E questo vuole essere il nostro vanto e il nostro unico bagaglio di testimoni, perché, come scrive ancora San Paolo, «su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia». Su quanti riceveranno questa testimonianza regni la pace di Cristo e abiti la sua Parola.

«Non rallegratevi […] perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». Cosa significa che i nostri nomi sono scritti nei cieli? Che ognuno di noi è stato pensato, voluto, amato sin dall’eternità; vuol dire, come scrive il profeta Isaia nella prima lettura, «Ecco, io farò scorrere verso di voi, come un fiume, la pace […] Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò».

Nella nostra umanità profonda, più intimo a noi di noi stessi, crocifisso con noi nella nostra pena, Dio è vicino. Questa è la buona novella per noi e questa è la buona novella da annunciare a tutti: Dio è con noi, con amore!

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *