Di Simonetta Venturin

Forse non ci abitueremo facilmente ai colpi di scena che la politica internazionale regala, ma per certo giugno ne sta offrendo parecchi, rendendo difficile comprendere e impossibile prevedere. Quel che oggi si annuncia, domani è già cambiato: Donald Trump è uno specialista del fare della politica uno show. Il problema è che, tra una sorpresa e l’altra, sulla scena del mondo non passa la pubblicità ma volano aerei, missili e droni veri, che causano morti.

Il 13 giugno Israele, senza smettere la sua azione su Gaza, aveva attaccato l’Iran. In prima battuta il presidente Usa aveva dichiarato che si sarebbe preso quindici giorni di tempo per decidere se trascinare l’America in guerra, manovra agli antipodi dei suoi annunci elettorali. Il mondo aveva sperato che in quella pausa potesse trovare spazio la diplomazia, riportando alla ragione i belligeranti. Invece, di nuovo a sorpresa, ecco che la notte tra 21 e 22 giugno gli americani hanno sganciato le loro bombe sull’Iran, andando a colpire i siti nucleari. E qui il mondo ha tremato davvero per le possibili conseguenze, dato che l’Iran ha subito annunciato vendetta. Sono state poco più di ventiquattro ore frenetiche di commenti di statisti, generali, esperti: sui media girandole di opinioni, puntellate dalle dichiarazioni guerresche dei paesi coinvolti. Infine, anche l’Iran si è ufficialmente mosso, colpendo le basi americane in Qatar: momenti ad altissima tensione, con una parte di mondo che smentiva la pericolosità dell’azione sottolineando che si era trattato solo di uno show (erano stati avvertiti). Unico balsamo, sempre domenica 22, il forte appello alla pace di papa Leone XIV che ha richiamato i grandi della terra alla ragione e alla responsabilità: “Ogni membro della comunità internazionale ha una responsabilità morale: fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile”.

Infine, ultima sorpresa – senza poter ovviamente sapere, al momento di andare in stampa, se ce ne saranno delle altre e in che direzione si muoveranno – ecco l’ennesimo annuncio di Trump: c’è la tregua tra Israele e Iran. La guerra dei dodici giorni è finita. Benissimo da una parte, simili notizie sono le più attese. Ma dall’altra, il pensiero va a chi, nello show della prova muscolare guerresca, è rimasto vittima vera; a chi, sopravvissuto, dovrà vivere in assenza; e a chi a Gaza o in Ucraina sogna un simile annuncio da troppo tempo.

Il drammatico che si coglie dal 2022 ad oggi, dall’attacco russo all’Ucraina, è che il mondo è cambiato, che la guerra non è entrata solo nella cronaca ma anche nei modi, nei linguaggi, perfino nella rassegnazione.

Il 24 giugno, giorno di andata in stampa de Il Popolo, sono in calendario due eventi di opposto segno e diversa portata: l’inizio all’Aja della riunione dei paesi membri della Nato (24-26 giugno) e un convegno a Roma che dà il via alla “Campagna Ministero della pace”. Uno è l’antitesi dell’altro.

Nei Paesi Bassi la Nato ha messo sul tavolo la questione riarmo: obiettivo arrivare entro il 2035 al 5% del Pil destinato alle spese belliche. Il segretario generale, l’ex premier olandese Mark Rutte, lo ha descritto come “un salto quantico” (non graduale e progressivo) volto a potenziare la difesa aerea e a provvedere all’acquisto di tank e blindati. Tra la guerra e lo scenario della guerra possibile i linguaggi si adeguano: Rutte ha dato prova di conoscere la retorica bellica, togliendola dalla polvere depositata in ottanta anni di pace. Ha definito i paesi membri “pronti a combattere insieme e, se necessario, a soffrire e morire insieme”, mettendo in guardia la Russia dall’attaccarne anche uno, pena subire la risposta “devastante”.

Nello stesso pomeriggio del 24 giugno a Roma si è tenuto un altro congresso: la Fondazione Fratelli Tutti, l’Azione Cattolica, l’Associazione Papa Giovanni XXIII e le Acli si sono riunite per ufficializzare la proposta di un Ministero della pace. Il segretario generale della Fratelli Tutti, il gesuita padre Francesco Occhetta, ha ribadito che “non è un’utopia o pacifismo ma un’urgenza concreta per rafforzare la missione di pace già sancita dall’articolo 11 della Costituzione Italiana”. La proposta di un Ministero specifico mira a rinvigorire quello che in questi scenari, se non assente del tutto, per certo manca della forza necessaria per dare alla diplomazia la capacità di cercare attivamente, convintamente, incessantemente la soluzione non violenta dei conflitti. Se per padre Occhetta questo non è utopia, per la cronaca del mondo lo è. Tra i due estremi resta la consapevolezza che camminare storto senza ambire a camminare dritto non farà certo migliorare il passo.

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