DIOCESI – “Quello che abbiamo vissuto stasera ha a che fare con la pace. La storia di Santa Maria Goretti, infatti, ci dice che la violenza non ha l’ultima parola. Di fronte a chi vuole violare il suo corpo, Maria rimane fedele a se stessa e al Vangelo. Noi sappiamo che la pace nasce non dall’affermazione di sé, ma dal riconoscimento dell’altro; non dalla rivendicazione della supremazia di un sesso sull’altro, ma quando due persone imparano a vivere insieme e ad amarsi“.

È con queste parole dell’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vescovo delle Diocesi del Piceno, che si è chiusa la marcia contro la violenza di genere dal titolo “In cammino con Maria Goretti”, che si è svolta ieri, Mercoledì 25 Giugno 2025, alle ore 21:00, con partenza dal Ponte Tesino in Cossignano ed arrivo nella chiesa Santa Maria Goretti in Offida.

Nonostante le calde temperature estive, l’iniziativa, giunta ormai alla sua terza edizione, ha registrato una ingente partecipazione popolare. Organizzata nel primo anno dalla parrocchia Santa Maria Goretti di Offida, allargata poi nel secondo anno all’intera Diocesi di Ascoli Piceno, quest’anno l’evento ha avuto un respiro interdiocesano, con il coinvolgimento anche dei fedeli della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto. Presenti anche numerosi sacerdoti e diaconi.

Presenti altresì molte autorità civili. Per il Comune di Offida: il sindaco Luigi Massa; gli assessori Fabio Amabili, Isabella Bosano e Marica Cataldi; il consigliere Simone Perozzi.  Per il Comune di Cossignano: i consiglieri Angelo Carlini e Serena Silvestri.

Una comunità attenta e solidale
che cammina insieme alle donne vittime di violenza

Palpabile la commozione fin dall’inizio. La fiaccolata, infatti, è partita infatti con il ricordo delle vittime di femminicidio dei primi sei mesi del 2025, di cui è stato precisato il nome e la città in cui la tragedia si è consumata. Al lungo elenco si è aggiunta anche la nostra Emanuela Massicci, picchiata ed uccisa dal marito nel Dicembre 2024 a Ripaberarda, mentre in casa erano presenti anche i figli.

In questa prima tappa, durante la quale sono stati letti alcuni brani che riportavano il grido delle donne violate, è stato evidenziato quanto sia importante la presenza di una comunità vigile, che sappia cogliere i segnali di disagio e di violenza: il telefono sempre vicino, ma in modalità silenziosa; le scuse per non uscire; i sorrisi forzati e i silenzi pesanti; lo sguardo basso quando un uomo parla sopra una donna; alcune frasi magari dette a mezza bocca, che però sono timidi accenni alle difficoltà familiari (come ad es. “Lui si arrabbia facilmente, ma poi passa…”) oppure le urla e le lite.

L’omertà sociale – anche quella inconsapevole – può uccidere. L’indifferenza – travestita da rispetto della privacy – può divenire complice. “Non si tratta di fare gli impiccioni – è stato detto –. Si tratta di essere presenti, di osare una domanda in più, una telefonata in più, uno sguardo che dica: ‘Ti vedo! Ci sono!’. Spesso non servono gesti eclatanti. Basta non voltarsi dall’altra parte.
Ricordare non deve essere solo un atto di dolore. Deve essere un impegno: imparare a riconoscere i segnali, a non sottovalutare mai un cambiamento, a non aver paura di intromettersi. Perché l’amore non uccide. Il silenzio sì“.

Durante il cammino, i fedeli hanno pregato affinché ogni comunità abbia occhi aperti e cuori vigili per riconoscere i segni nascosti della violenza e non distolga lo sguardo dai problemi, bensì sappia assumersi la responsabilità di ascoltare, accogliere ed agire.

Il corpo come tempio sacro:
tra le storie delle donne violate, anche quella di Santa Maria Goretti

Nella seconda parte della marcia, gli organizzatori hanno approfondito la storia della vita di Maria Goretti, una Santa marchigiana di cui i giovani sanno poco e che invece è un esempio di fede e di grandi virtù.

Nata nel 1890 a Corinaldo, un paesino in provincia di Ancona, Maria era la terza di sette figli di una famiglia povera ma profondamente cristiana. Fin da piccola, la giovane si mostrò dolce, obbediente, disponibile. Aveva un cuore generoso e una devozione profonda per la Madonna. Dopo la morte del padre, Maria, a soli 10 anni, prese su di sé il peso della casa: cucinava, cuciva, si occupava dei fratelli e della casa, mentre la madre lavorava nei campi. La famiglia di Maria condivideva una casa colonica con la famiglia Serenelli.

Il giovane Alessandro Serenelli, di circa 20 anni, iniziò a nutrire desideri verso la piccola Maria che aveva solo 10 anni. Lei, con discrezione e fermezza, lo respingeva, comprendendo che i suoi atteggiamenti erano sbagliati, ma un giorno, il 5 Luglio 1902, approfittando dell’assenza della madre e mentre i fratellini dormivano, Alessandro tentò di abusare di lei. Maria si difese con forza e coraggio, ma Alessandro, accecato dalla rabbia, la colpì con un punteruolo 14 volte, poi fuggì. Maria, trovata agonizzante e portata all’ospedale di Nettuno, sopravvisse solo per circa 24 ore, tra dolori atroci. Prima di morire, Maria fece la Comunione e disse: «Per amore di Gesù, lo perdono… e voglio che venga con me in Paradiso». Morì a soli 11 anni, con il nome di Gesù sulle labbra e il perdono nel cuore.

Beatificata nel 1947, Maria fu canonizzata il 24 giugno 1950 da papa Pio XII, che la presentò al mondo come modello di purezza, coraggio e perdono. Alla cerimonia partecipò anche la madre Assunta, prima donna a vedere canonizzata una propria figlia.

Oggi Santa Maria Goretti è venerata come patrona delle giovani, delle vittime di violenza, della castità e del perdono.

Durante il cammino i fedeli hanno pregato affinché ogni persona riconosca in ogni corpo un dono sacro, imparando a non svenderlo, a non permettere che venga usato come strumento o merce, a rispettarlo e a non violarlo.

Il perdono che salva:
uno sguardo anche agli uomini autori di violenza

Nella terza ed ultima parte del cammino, è stato rivolto un pensiero anche a chi ha ucciso, affinché possa recuperare se stesso.

La storia di Maria Goretti, infatti, è anche una storia di perdono. Alessandro Serenelli, il giovane che la uccise, fu arrestato e condannato a trent’anni di carcere. Per molto tempo restò chiuso nel rancore e nella rabbia. Ma dopo alcuni anni, ebbe un sogno: Maria gli apparve in un giardino e gli porse dei gigli. Al risveglio, iniziò un cammino di conversione profonda. Chiese perdono alla madre di Maria e visse il resto della sua vita in preghiera, entrando come terziario francescano in un convento.

Il vicario episcopale don Armeno Antonini ha spiegato che perdonare non significa lasciare impuniti: la giustizia terrena deve fare il suo corso, ma noi siamo cristiani e dobbiamo pregare affinché tutti abbiano una possibilità di redenzione. Perdonare non vuol dire liberare dalle responsabilità commesse, ma liberare il cuore dal male e volgerlo al bene.

Durante il cammino i fedeli hanno pregato per la conversione degli uomini autori di violenza, affinché chi ha ferito con parole e gesti e si è macchiato di azioni violente, spingendosi anche fino ad uccidere, possa riconoscere il male commesso e chiedere perdono, intraprendendo un cammino di autentica trasformazione.

Diventare una sola carne:
rispetto e riconoscimento dell’altro, strumenti necessari per una vera comunione

Giunti nella chiesa Santa Maria Goretti, al termine della marcia, le conclusioni dell’intesa serata sono state affidate al vescovo Gianpiero Palmieri, il quale ha detto: “Il progetto di diventare una sola carne si realizza, nel linguaggio biblico, in tre momenti: nell’unione sessuale, nella procreazione di un figlio e nella comunione di tutta la vita. Quando si vive nell’amore, nel rispetto l’uno dell’altra, allora davvero si diventa una sola carne. La pace c’è, quindi, quando impariamo a vivere nella comunione, nelle dinamiche del rispetto, della gentilezza, della considerazione l’uno dell’altra. In questi giorni qualcuno ha proposto la nascita di un Ministero nuovo, quello della pace. Non so se questa idea si concretizzerà, però mi sento di dire che la pace nasce quando nascono relazioni nuove, quando, lì dove iniziano ad esserci le prime forme di conflitto,  donne ed uomini risolvono questi conflitto rispettandosi l’un l’altra e riconoscendosi ciascuno un reciproco valore. Questo papa Francesco ce la ha insegnato bene: ci ha insegnato a vivere rispettando le donne, a perseguire la comunione pur nelle differenze, a comporre la pace tra uomo e donna“.

Tra i fedeli presenti che ho avuto modo di incontrare e conoscere, riporto la testimonianza di due persone che mi hanno particolarmente colpito.

La signora Viviana mi ha spiegato di essere lì per amicizia e per solidarietà: una sua amica ha una figlia che per lungo tempo ha subito violenze dal marito e ne è uscita viva solo grazie al coraggio di denunciare e alla solidarietà di tante persone che l’hanno aiutata. “Per questo sono qui – ha detto la signora –, perché so quanto sia importante avere vicino la comunità: chiunque di noi può essere uno strumento di salvezza“.

Un giovane di 13 anni, proveniente da Ripaberarda, mi ha raccontato di essere un compagno di classe del figlio di Emanuela Massicci e di essere lì perché desidera che nessuna altra mamma venga uccisa. “Prima di quel fatto non avrei mai immaginato che una cosa del genere potesse succedere dalle nostre parti. Stasera sono venuto su invito dei miei nonni, i quali mi hanno detto che noi ragazzi abbiamo una grande responsabilità per il futuro: rispettare tutte le donne come se fossero le nostre sorelle“. Ha poi aggiunto il giovane: “Non conoscevo la storia di Santa Maria Goretti. Ho capito che pure noi ragazzi, anche se siamo piccoli, possiamo fare qualcosa”.

 

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1 commento

  • Elisabetta Lelli
    26/06/2025 alle 12:35

    Bellissima testimonianza di Rispetto e di vero Amore. Santa Maria Goretti, prega per noi, nessuno escluso: nessuna parola, nessun tono di voce, nessun gesto provengano dalla violenza. Impariamo da te cosa davvero sia la non violenza ed il perdono. Mi sento di ringraziare con affetto e stima anche il parroco del mio paese, don Giorgio Del Vecchio, sempre dalla parte degli innocenti e degli indifesi.

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