
Di Gigliola Alfaro
Drip, flexare, blastare, chill, crush, maranza, yolo, cringe… Sono solo alcuni dei termini che rientrano nello slang giovanile odierno. Un linguaggio che può sembrare incomprensibile per chi è un po’ più avanti negli anni. Rispetto alle parlate giovanili del passato qualcosa è cambiato? Di tutto questo ne parliamo con Simone Tosoni, professore associato in Sociologia dei processi culturali presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica di Milano.

(Foto Simone Tosoni)
Professore, i giovani hanno sempre usato un linguaggio loro, ma rispetto al passato è cambiato qualcosa per i giovanissimi di oggi?
Resta uguale il discorso dello slang giovanile, cioè della specializzazione di un linguaggio parlato da una generazione.
Gli slang tracciano dei confini tra un “noi” e un “non noi”.
Questi confini possono essere di taglia diversa, ad esempio esiste uno slang che è tipicamente giovanile e che distingue una generazione rispetto alle altre, ma anche all’interno dello slang giovanile ci sono dei sotto-raggruppamenti; ad esempio mi sono occupato delle cosiddette subculture giovanili, soprattutto negli anni Ottanta, come dark, paninari, e queste sottodivisioni si riflettono anche nel linguaggio, quindi sono una specializzazione del linguaggio per marcare le differenze. Dunque, rispetto a quello che succedeva prima, il fenomeno è esattamente lo stesso: ci troviamo ad avere nuove generazioni che marcano la loro differenza, non necessariamente con consapevolezza. Il mondo di cui fanno esperienza li porta a specializzare il linguaggio e questo linguaggio marca poi delle differenze e, nel nostro caso, sono massimamente evidenti perché non le capiamo, sono generazionali, ma si rifanno anche ad altri raggruppamenti. Si tratta di una funzione sostanzialmente identitaria. D’altro canto, anche le professioni specializzate hanno un loro slang, ogni raggruppamento sociale stabile si riflette anche nel linguaggio.
Cosa cambia?
Cambia il linguaggio stesso per marcare una differenza, quindi i nuovi slang sono costituiti da una costellazione di parole nuove.Cambia, però, secondo me, anche l’origine: il linguaggio riflette esperienze e oggi l’esperienza e i mondi di vita – ci metto dentro anche le risorse simboliche dei media – chiaramente non sono gli stessi. Oggi il videogioco, con i suoi termini tecnici, in particolare i videogiochi multiutenti, dove i ragazzi giocano sostanzialmente insieme online, è una fonte importante.Se sfugge non solo il linguaggio di quel mondo, ma proprio come funzionano le dinamiche del gioco online, i mondi sociali che prendono forma rispetto al gioco, è chiaro che per una generazione più avanti negli anni quelle parole non dicono assolutamente niente.
Anche i social incidono?
Certamente: TikTok, per i più giovani, Instagram e via dicendo. Tante delle nuove parole ci arrivano all’inizio come meme: “chill”, “chill guy”, questo tipo di parole ha origine come meme. Non è un caso che
buona parte di queste nuove parole che marcano la differenza sono inglesismi, perché è quello il mondo sostanzialmente dal quale provengono.
Poi diventa interessante capire come anche il discorso di certe rivendicazioni politiche marca quest’origine. Oggi, ad esempio, il tema del rapporto tra i gender è incandescente, molto spesso parla quel tipo di linguaggio inglese, perché è quella la matrice culturale d’origine di questo tipo di discorso, non esclusiva, ma è il modo in cui raggiunge i giovani. L’abusata parola “abuser”, ad esempio, è la parola inglese con cui si fa riferimento a questi fenomeni. Quindi, cambia il linguaggio utilizzato per marcare la differenza, cambia l’origine di queste parole da videogioco e ambienti online in primis, ma ho anche l’impressione che cambi anche il ritmo di cambiamento, “cambia il modo di cambiare”: mi pare che per le nuove generazioni il ritmo di ricambio del gergo stesso sia piuttosto rapido, nel senso che le parole che marcano un’identità cambino più rapidamente di quanto cambiavano quando eravamo adolescenti noi o addirittura prima.
Questo è anche un riflesso proprio del mondo digitale?
Certo, questo è un riflesso della rapidità con cui cambia il linguaggio di queste piattaforme, con cui cambiano i trend di queste piattaforme. Un meme non sopravvive 5 anni – un lasso di tempo che per costruire un linguaggio è niente -, un meme vive 6 mesi, raggiunge un anno se si deposita nella memoria.Non ho fatto una ricerca empirica su questo aspetto, ma sarebbe interessante vedere, a distanza di un anno o più, che cosa rimane del gergo di adesso. Probabilmente poi alcune di quelle parole si stabilizzeranno, entreranno nel gergo generazionale. Molte altre hanno la capacità di stare sul momento: come online girano dei meme, così gira un linguaggio e quindi la capacità di intercettare il trend molto più rapido marca la differenza. Questa è una mia intuizione, al momento, senza ricerca empirica.
C’erano, almeno in passato, anche delle influenze derivanti dal luogo dove si vive. Adesso che è tutto molto virtuale, questo ha meno importanza nel creare slang?
Anche qui le rispondo da sociologo della comunicazione che però non ha fatto ricerca empirica su questo tema. Per avere una risposta definitiva servirebbe una ricerca sui territori, ma, secondo me, la risposta è sì,
le parole dello slang attuale sono più trasversali, ci sono meno localismi proprio perché l’origine è molto meno legata alla specificità di un luogo.
Certo, poi i gruppi che sono sempre radicati su un territorio adottano una parola. Quindi, una parola può avere più o meno presa, però le risorse sono quelle. Semmai ci sono altre forme di segmentazione online che sono più importanti o almeno ugualmente importanti rispetto ai territori: si tratta dei profili dei ragazzi. Questa è un’altra differenza fondamentale del nostro rapporto con i media e quindi con questo fenomeno: fino all’avvento dei social media, noi avevamo una serie di media generalisti che ci davano un fondo comune sul quale lavorare e quindi tutti conoscevano quei cantanti, vedevano quel film e via dicendo.
Oggi ci sono le “bolle”, nel senso che l’algoritmo presenta ai ragazzi una serie di contenuti che sono specializzati e personalizzati.
Abbiamo fatto da poco una ricerca nelle scuole sull’informazione e la disinformazione scientifica: volevamo vedere che cosa consumavano i ragazzi e se la classe facesse da filtro. Quindi, abbiamo fatto delle sessioni con loro di scroll di TikTok condiviso. Anche i compagni della stessa classe avevano delle offerte da parte di TikTok radicalmente diverse perché erano dentro una bolla. C’era l’amante dei manga che aveva tutte notizie sui manga, c’era chi invece amava le moto e lo sport, aveva tutti i contenuti su moto e sport. Quindi c’è una parcellizzazione dell’offerta di questo contenuto. È vero che i vecchi media continuano a funzionare, è vero che ci sono contenuti trasversali e dei fenomeni si impongono, però abbiamo questa dialettica.
Cosa comporta questo?
Ci sono le bolle di consumo in cui sono chiusi i ragazzi.Ci sono anche alcuni contenuti forti abbastanza da rompere la bolla e da diventare o generazionali o più che generazionali. Mi viene in mente il Festival di Sanremo, che resta una risorsa addirittura da identità italiana.Perché o lo guardi con ironia, o lo guardi perché ti piace, o, anche se non lo guardi, i contenuti ti raggiungono via meme, allora quel contenuto riesce a spaccare le bolle. Ci sono poi le specializzazioni come in passato, ad esempio specializzazioni locali, accanto alle specializzazioni di bolla. C’è anche il rischio che alcune persone ad esempio si insinuino in quelli che in letteratura si chiamano imbuti: ad esempio, inizio a fare la dieta e se io sono interessato, perché ho una vulnerabilità, finisco in un mondo di contenuti molto vicini ai disturbi alimentari e nel circuito delle influencer che promuovono l’anoressia. Su queste trasformazioni stava lavorando il nostro maestro dell’Università cattolica scomparso da poco, Fausto Colombo. Avendo lavorato su consumi di media, identità nazionale e identità generazionale, ci diceva: attenzione, perché
qualcosa è cambiato strutturalmente, c’è la parcellizzazione.
Infatti, un tempo i media di massa funzionavano da risorsa comune, oggi ciò non può essere dato per scontato, anche se continuano ad esistere dei contenuti che bucano le bolle e quindi diventano un riferimento generazionale oppure diventano un riferimento addirittura legato all’identità nazionale.
Tra le parole dello slang dei giovani oggi c’è qualcuna che secondo lei ha una forza per durare nel tempo?
Secondo me, una parola come cringe ha la sua stabilità, tanto che la capiamo,
nel senso è uscita un po’ dalla bolla generazionale e ormai anche noi “boomer” cringe incominciamo a capirla. Con questo estendersi, la parola è meno utile ai ragazzi perché non marca più la differenza, però la fa entrare più facilmente nel linguaggio. Anche molte delle parole legate alle rivendicazioni politiche hanno la loro stabilità nel linguaggio perché non sono più lasciate unicamente al ritmo della piattaforma. Altre mi sembrano più effimere come molte delle parole legate al mondo dei giochi online.
Questi slang di solito sono poco comprensibili per gli adulti…
In effetti, non sono codici segreti utilizzati in maniera ostile e quindi incomprensibile, non è un modo di crittografare il linguaggio, anche se magari in particolari circostanze può essere utile anche per questo aspetto.Si tratta di un linguaggio identitario, ma se ci mettiamo in ascolto, se comprendiamo l’esperienza di queste persone, è un linguaggio comprensibile. Se non ci è comprensibile è perché incomincia a non esserci comprensibile il mondo di queste persone: allora, non è un problema di linguaggio, è un problema della distanza anche relazionale tra noi e chi lo parla.Dunque, se noi lo percepiamo come una crittografia ostile, non cogliamo il vero problema; e se ciò succede in casa è una spia del fatto che si sta perdendo il contatto con il mondo di vita di chi lo parla, vuol dire che il mondo di vita dei genitori e dei figli si sta separando, questo è un problema più ampio per me.
Ana
Articolo interessante! complimenti all'autore. Da ricordare la provenienza degli slang di oggi anche dal mondo dell'immigrazione; vedi "maranza" che nasce per indicare un nordafricano, vestito in in certo modo e con uno specifico comportamento; termine attribuito in un secondo momento ad un tipo di persona che incarna quella personalità comportamentale