SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “Siamo in tanti stasera per salutare Paolo. Non ho avuto la possibilità di conoscere Paolo personalmente: per questo è stato ancora più bello rintracciare, attraverso le parole che ha scritto ed attraverso le opere che ha creato, quello che Paolo aveva nel cuore. Tante infatti sono le opere nella nostra città che portano i segni di quello che lui ha intuito, nella sua ricerca personale, del mistero di Dio”.
È con queste parole che mons. Gianpiero Palmieri, vescovo delle Diocesi del Piceno, ha iniziato l’omelia della Celebrazione Eucaristica durante la quale si è svolto il funerale del prof. Paolo Annibali, scultore, pittore, disegnatore e docente che ha plasmato generazioni di studenti, educandoli all’arte, alla bellezza e al gusto della vita. La morte ha colto l’artista a 67 anni, dopo una lunga malattia.
La Messa, celebrata ieri, 19 Giugno 2025, alle ore 16:00, presso la chiesa San Filippo Neri in San Benedetto del Tronto, è stata presieduta dal vescovo Palmieri e concelebrata da don Gianni Croci, parroco della comunità, nonché collega di lavoro ed amico dell’artista, don Lanfranco Iachetti e don Armando Moriconi, anche loro già colleghi di Annibali presso il Liceo Rosetti, don Gabriele Paoloni, che, apprezzando molto il suo talento, gli ha commissionato la realizzazione della porta della Misericordia nella chiesa San Filippo Neri, e don Romualdo Scarponi, che è stato suo parroco.
Erano presenti i diaconi Emanuele Imbrescia e Giovanni Rossi e numerosi fedeli convenuti, tra i quali molti esponenti del mondo dell’arte, della cultura e della scuola: un’intera comunità che si è stretta intorno ai familiari per dare l’ultimo saluto ad un uomo, un professore ed un artista eccezionale.
La speranza in ogni piega della vita
Dopo aver ricordato alcune opere di Annibali custodite nella città di San Benedetto, il vescovo Gianpiero ha ricordato due tratti principali della vita dell’artista.
Il primo è la speranza, di cui lo scultore stesso scrive nel suo libro “Quello che so – chine su carta“, in occasione di una mostra a Fabriano. Ha detto il prelato: “In quest’opera Paolo parlava dell’opacità della vita, di quella confusione che a volte si ha, come quella di un’adolescente. Sì, è vero: dentro di noi c’è sempre un sognatore, un adolescente. E Paolo gli adolescenti li conosceva bene, avendo insegnato nel nostro Liceo. Scrive Paolo: «Sento ancora vivo il periodo dell’adolescenza, da dove attingo spesso le idee per il mio lavoro attuale. Penso: potevo essere qualsiasi cosa, potevo intraprendere qualsiasi strada, ero in mare aperto! Ora gli orizzonti sono più brevi, e mi accorgo che la scelta dell’arte è stata la più impervia, ma anche la più necessaria». E poi, definendo meglio cosa sia l’arte per lui, aggiunge: «Oggi il mio lavoro è per me come un legno a cui un naufrago riesce ad aggrapparsi. L’arte è la mia preghiera quotidiana, un affannoso dialogo con me stesso, una continua ricerca nelle piaghe della mia esistenza». Questa è stata l’esperienza dell’arte per Paolo: un modo per essere fedele a se stesso e alla sua vita, uno strumento in cui ha sentito risuonare il suo mondo interiore e tutte le esperienze della sua vita, anche le più faticose e dolorose, legate alla sua malattia. E proprio in un momento segnato dalla malattia, Paolo scrive sempre in quel testo: «Sento in maniera molto forte l’invito ad essere sobrio, ad abbassare i toni», un invito «ad esprimere la mitezza» e, attraverso quei lavori a china, «un invito a guardare al senso della vita come un albero in attesa della primavera». Ed è un bellissimo albero, quello che è al centro della nostra città, l’Albero della Speranza, dove uomini, animali e tutta la natura, come addormentati, aspettano che sbocci la Speranza”.
La misericordia di Dio che sorprende sempre
Il secondo aspetto che mons. Palmieri ha sottolineato è il tema della misericordia, che non solo attraversa molte opere di Annibali, ma anche la sua stessa esistenza.
Ha detto il prelato: “Forse è proprio questa continua ed intima ricerca che più ci affascina di Paolo. Una ricerca forse guidata da Dio più di quello che Paolo stesso potesse immaginare. Ho scelto questo Vangelo, perché in questo Vangelo Gesù appare da Risorto a Maria di Magdala tra le lacrime: mentre lei piange, riconosce il volto di Gesù. Sapete, alcune cose della vita si vedono bene solo tra le lacrime“.
A proposito del volto di Dio, il vescovo Gianpiero ha aggiunto: “È difficile per gli artisti rappresentare il volto di Dio, perché devono rappresentare una luce che viene da una fonte interna, non da fuori. Nella Seconda Lettera ai Corinzi che abbiamo appena ascoltato, San Paolo dice: ‘E Dio, che disse «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo’. Quando fece la porta di questa chiesa, ormai 30 anni fa, Paolo lo intuì profondamente. Parlando della porta della misericordia ed illustrando l’opera, in cui aveva rappresento l’occhio di Dio, parlò anche della sua esperienza personale: «Ognuno di noi credo abbia fatto, almeno una volta nella propria esistenza, esperienza del desiderio di ricevere profonda, penetrante, avvolgente la misericordia di Dio. La proposta di realizzare la porta della Misericordia è capitata in un momento della mia vita, segnato dal desiderio di mettere un po’ d’ordine, fare chiarezza, assopire quello stato d’angoscia che mi teneva imprigionato. Mi sono accorto, come sempre, che Gesù era già lì con me ed io non l’avevo riconosciuto. Era proprio in quel naufragio di quello che era stato fino ad allora, o meglio, di quello che mi ero sforzato di rappresentare: un altro uomo, inchiodato alle facili soluzioni, al comune buonsenso, alla comodità, al benessere, un altro uomo che stava uccidendo la mia vera identità. Dio sempre ti sorprende: cercavo ordine, chiarezza, cercavo soluzioni diritte, razionali, comode, di nuovo, ed infine la vita era là, nel caos apparente, nel groviglio di se stessi da dipanare, tenendo fede, ormai testardamente, ad una sola legge: la fiducia incondizionata in quel Dio che, ero sicuro, se mi aveva condotto fin li, mi avrebbe portato oltre». Allora, Paolo, che il tuo cammino giunga fin lì e, nonostante le lacrime, tu riesca ad incontrare il volto di Dio e a contemplare la pienezza della sua Misericordia”.
Il ricordo e il saluto di amici, parenti, colleghi ed estimatori
Al termine della Messa, alcuni esponenti del mondo della cultura, dell’arte e della Scuola hanno voluto salutare il prof. Annibali, ricordandone il talento e l’umanità.
Don Vincenzo Catani, per bocca di una sua parrocchiana, ha voluto ricordare “la capacità dell’artista di entrare dentro le pieghe dell’anima“.
La prof.ssa Benedetta Trevisani, presidente emerita del Circolo dei Sambenedettesi, a nome dell’attuale presidente e di tutti i soci del Circolo, ha ricordato l’enorme “eredità artistica ed umana” che Annibali lascia ai Sambenedettesi, in particolare i gruppi bronzei “Il mare, il ritorno”, che sono stati commissionati dal Circolo e che ben raccontano l’essenza del mestiere e della vita del marinaio, e l’ultima lectio magistralis “La sofferta bellezza”, tenuta all’auditorium Tebaldini, che si è rivelato un ultimo ed appassionato “messaggio di arte e di amore per la città”. “Paolo – ha detto Trevisani – non è stato un artista qualunque, ma un amico e un Sambenedettese autentico”.
La prof.ssa Giancarla Perotti, già collega del prof Annibali, lo ha definito “un uomo giusto, veritiero”, che “ha scolpito non solo la pietra, il legno, ma anche la vita delle persone che lo hanno incontrato”. “Rispettoso e gentile – ha detto Perotti –, amava insegnare con grande passione, lasciando un’impronta bella ed indelebile”; “la sua vita è stata un’epifania di fede, speranza e carità, tre virtù importanti per ogni uomo, in particolare per ogni battezzato; ha creduto nella bellezza, nella verità, in Dio e nelle persone”; “Paolo è stato uno scultore di senso, un artigiano dell’anima“.
Tenero e commovente anche il ricordo di una ex studentessa del Liceo Rosetti, la quale ha ringraziato il professore per tre motivi: “Grazie per averci insegnato a guardare le opere dal punto di vista dell’artista, un punto di vista privilegiato”; “grazie per averci insegnato a guardare, riconoscere e cercare la bellezza”; “grazie per averci insegnato che la vita è di chi se la piglia“.
Le ultime parole sono state delle figlie.
Giulia, dopo aver ricordato l’affetto con cui è stata accolta come figlia, ha sottolineato come la bellezza e l’arte appartenessero al prof. Annibali e come ne fosse un dispensatore, ma con grande umiltà: “A stare con te, ci si istruiva alla raffinatezza senza spocchia“.
Teresa, infine, ha ringraziato il padre per averle insegnato, tra le altre cose, il valore della sofferenza, “che per me è stato quell’imprevisto che ti sconvolge la vita, ma al contempo ti libera dalla paura e ti apre alla libertà. E, grazie a te, ora so che sono nell’abbraccio eterno del Signore”.
Il prof. Annibali lascia non solo la moglie Anna e i figli Teresa, Eugenio e Giulia, ma anche un’intera comunità, quella sambenedettese, che lo ricorda con stima, affetto e gratitudine, senza dimenticare i molti estimatori oltre i confini della città rivierasca, che lo hanno avuto come docente o che lo hanno conosciuto come artista.
L’architetto Sabrina Mancinelli, alunna del prof. Annibali presso il Liceo Rosetti, dichiara: “Avevo sempre pensato di voler fare la pediatra; poi mi capitò la grande fortuna di avere il prof. Annibali come docente di Disegno e Storia dell’Arte. Grazie a lui, mi appassionai molto all’arte e alla ricerca della bellezza. Al termine del quinquennio, non ebbi dubbi: mi iscrissi alla facoltà di Architettura con il desiderio di contribuire a rendere il mondo e la vita delle persone più belli, proprio come il prof. Annibali faceva e ci spronava a fare”.
0 commenti