COLONNELLA – Ti è mai capitato di di ricevere offese, umiliazioni e mortificazioni nella tua comunità parrocchiale? Come hai reagito? Se all’interno della comunità cristiana o anche in altri contesti ti trovi ad assistere ad una discussione, come ti comporti?

A queste domande e a tante altre si è cercato di dare una risposta Martedì 10 Giugno 2025, a partire dalle ore 21:00, a Colonnella, presso l’abitazione dei coniugi Silvana Cifeca e Piero Raschiatore, durante il terzo incontro dell’iniziativa “Insieme, incontro all’aurora!”, organizzato dall’Azione Cattolica di Colonnella e dedicato al tema del perdono nella comunità cristiana.

Tre gli ospiti illustri che sono intervenuti sul tema, partendo dalla Parola di Dio e raccontando la loro personale esperienza di vita: padre Roberto Brunelli, sacerdote francescano attualmente nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova in San Benedetto del Tronto, scrittore collaboratore di Radio Maria e TV2000; Francesca Benigni, catechista presso la comunità di Cristo Re in Porto d’Ascoli, già presidente dell’AC diocesana, vice direttrice e docente della Scuola di Formazione Teologica; Paola Di Felice, catechista presso la comunità di San Pio V in Grottammare e responsabile diocesana del Settore Adulti di Azione Cattolica.

Presenti anche il diacono Domenico Maria Feliciani, assistente spirituale di AC Colonnella, insieme a Maria De Fulgentiis, sua moglie, e Teresa Nicolina Di Buò, presidente di AC Colonnella, nonché vice segretaria del MLAC diocesano.

La Chiesa ci aiuta a prendere bene la mira

Dopo i saluti della presidente Di Buò e una preghiera comunitaria, l’incontro è entrato nel vivo con la lettura di una pericope del Vangelo di Marco proclamata dal diacono Feliciani. Il passo (Mc 2, 1-12), che racconta il celebre episodio in cui, mentre Gesù è in una casa a Cafarnao a predicare la Parola, quattro persone gli fanno calare dal tetto un lettuccio su cui giace un paralitico; Gesù, vista a la fede dei quattro, rimette i peccati al paralitico e poi lo guarisce.

Padre Roberto Brunelli, che ha spiegato con semplicità l’alto contenuto della Parola ascoltata, l’ha calata nella vita di tutti i giorni, precisando cosa significhi la parola ‘peccato’ e come la Chiesa e l’amicizia in Cristo possano aiutare a non peccare: “Il brano del Vangelo racconta una scena come quella che stiamo vivendo noi qui stasera: un gruppo di persone che si riuniscono, ma non c’è più posto dentro la casa, non c’entra più nessuno. Non so se anche oggi entrerà qualcuno dal tetto! Scherzi a parte, la cosa che più mi colpisce di questo racconto è che questi quattro amici vogliono molto bene al paralitico, vogliono farlo incontrare con Gesù e vogliono salvarlo. Qualcuno vede in questo numero quattro il numero degli elementi fondamentali della natura: la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco; altri invece pensano che siano i punti cardinali: nord, sud, est, ovest; altri ancora infine – e questa interpretazione mi pare ancora più interessante – ritengono che questi quattro amici siano gli evangelisti Marco, Luca, Matteo e Giovanni, che ci conducono da Gesù. Ed è bello sottolineare il verbo che viene usato nella lingua originaria: viene detto ‘prendono la mira’. È bella questa suggestione: i quattro amici calano il paralitico proprio dove sta Gesù, perché lì bisogna arrivare, lì sta il medico. Per essere certi di farlo calare al punto giusto, prendono la mira.
In ebraico la parola ‘peccato’ significa sbagliare la mira. San Giuseppe da Copertino, quando vedeva qualcuno in condizione di peccato, gli diceva ‘Drizza lo balestro!’, che possiamo leggere proprio con questo significato: ‘Non stai mirando verso Dio, allora raddrizzati!’. Ogni peccato è una mancanza di mira. Quando pecchiamo, noi non stiamo guardando verso il vero amore, stiamo prendendo una cantonata, un amore sbagliato, una mira sbagliata perché è un amore falso. Ecco, credo che l’amicizia si dimostri così: quando io riesco a portare i miei amici da Gesù, mi rivelo amico; quando insieme con i miei amici prendo di mira Gesù, allora siamo felici insieme“.

Padre Roberto Brunelli ha poi letto un racconto tratto dalla sua raccolta di storie per la catechesi: “Il potente re Milinda disse ad un sacerdote: ‘Tu dici che l’uomo che ha compiuto tanti mali e prima di morire chiede perdono a Dio andrà in cielo. Se invece uno compie un solo delitto ma non si pente, finirà all’inferno. È giusto questo? Cento delitti sono forse più leggeri di uno?’ Il sacerdote rispose: ‘Se prendo un sassolino e lo getto nell’acqua, andrà a fondo o galleggerà? Se invece prendo cento pietre e le metto in una barca, andranno a fondo o galleggeranno? Allora forse cento pietre sono più leggere di un sassolino?‘. Il re non sapeva che cosa rispondere.
Cosa significa questa storia? Significa che se un uomo ha molto peccato, ma si appoggia a Dio, non cadrà nell’inferno. Invece l’uomo che fa il male anche una sola volta, ma non ricorre alla misericordia di Dio, andrà perduto. Ecco allora che la barca della Chiesa serve a non farci affondare! Su di essa possiamo mettere tutte le nostre pietre, nella consapevolezza che il Signore le porta via. Questa è l’importanza della Chiesa: la sua capacità di mediare. L’amicizia nella Chiesa è il passaporto per il Paradiso“.

Testimoni della bellezza del perdono

La serata è proseguita con la testimonianza di Paola Di Felice e Francesca Benigni, che hanno condiviso la loro esperienza di perdono avvenuta sia nelle comunità di appartenenza sia all’interno dei movimenti associativi di cui fanno parte.

Paola Di Felice, dopo aver raccontato la sua formazione cristiana in famiglia, ha testimoniato la sua esperienza di perdono nella comunità: “Un anno e mezzo fa circa mi sono trovata in una situazione difficile da accogliere, non condivisa, non riconosciuta, scelta da altri, anche per me. È stata una bella ferita. Se penso al Vangelo appena ascoltato, mi vedo come il paralitico, bloccata e malata: la comunità, con questa esperienza, mi ha preso e mi ha calata giù dal tetto, mettendomi davanti al Signore. Forse è stato un atto anche di forza, perché non l’ho desiderato, ma mi ci sono trovata e non mi è piaciuto quello che ho visto in me. Nell’esame di coscienza serale, questa ferita non rimarginava: mi ritrovavo da sola e, nonostante cercassi e desiderassi perdonare, per oltre un anno questo perdono non arrivava e il cuore restava ancora molto duro. Ammettere che non provassi amore per queste persone, rendermi conto che ero capace di non amare, è stata la cosa più autentica, ma al contempo più difficile da accettare in questo cammino verso il perdono. Appena me ne sono resa conto e l’ho ammesso a me stessa, nel profondo e senza giudizio, qualcosa è cambiato: è così che è arrivata la grazia del perdono, la consapevolezza che qualcuno ha già pagato per tutte le ingiustizie subite e procurate. Ecco perché il perdono lo voglio leggere come per-dono, ovvero come un dono che arriva nel momento più buio e porta nuova vita al cuore. Il dono della misericordia, infatti, non ha portato via completamente le ferite, che umanamente ho continuato a vivere e di cui mi sto prendendo ancora cura, ma mi ha donato la consapevolezza di ‘essere amata’ anche nelle mie brutture. Il cuore si è liberato e nella mia vita sono tornate la pace e la relazione. In questo cammino che porta al perdono ho scoperto di non essere sola: i Sacramenti e l’incontro assiduo con la Parola mi hanno sostenuto. Il senso di disperazione che avevo nel cuore è sparito e, da adulta in cammino, resto ancora innamorata della Chiesa, della comunità e soprattutto ho ripreso a camminare“.

Francesca Benigni, invece, ha raccontato la sua esperienza di perdono nell’ambito della vita associativa: “Io sono stata nominata presidente diocesana dell’Azione Cattolica, quando ero molto giovane. Sono stati anni bellissimi, ma al contempo anche difficili, in cui sono accaduti molti fatti che mi hanno ferita. Senza entrare nel merito delle vicende, posso dire che il perdono – dato e ricevuto – è stato un cammino. Per me ci sono voluti anni. Quando ero ormai tornata ad essere un soldato semplice, due di quelle persone con cui c’erano state delle incomprensioni, mi hanno scritto ciascuna una lettera, senza che nessuna di loro sapesse nulla l’una dell’altra. Entrambe mi chiedevano scusa per non essermi state vicine quando erano accaduti quei fatti. Ricevere le scuse da parte di loro, persone mature e di grande esperienza, mi ha insegnato cosa sia il perdono. Attraverso il loro gesto, ho imparato a guardare gli altri, ammettendo che essi siano migliori di me; dopo aver riconosciuto questo, si può passare a riflettere su parole dette o ricevute, su incomprensioni, su mancanze. E ho imparato anche ad accettare chi il Signore mi mette accanto! A volte vorremmo fare alcune attività e condividere le esperienze con chi scegliamo noi; invece il Signore ci mette accanto altre persone: è proprio con quelle che dobbiamo imparare a camminare insieme. È un esercizio di umiltà e di obbedienza al Signore. In questo cammino la Parola può esserci di grande aiuto. Io, ad esempio, ho nel cuore il brano dei discepoli di Emmaus,  che, nonostante le difficoltà, attraverso la Parola, tornano indietro, rientrano nella comunità e ritrovano la gioia”.

Interessante e anche prolungato il dibattito che si è creato dopo la meditazione della Parola da parte dei relatori e la testimonianza degli ospiti intervenuti. Tra i vari interventi, particolarmente significativo è stato quello dell’associata Antonella Di Biase, che ha raccontato un episodio vissuto personalmente, durante il quale una signora si è lamentata di non essere stata salutata da lei. Il fatto, per quanto banale ai suoi occhi, visto che, entrando in chiesa, non sarebbe possibile salutare tutti, le ha fatto comprendere quanto sia importante per chi svolge un servizio in parrocchia, dare una buona testimonianza.

La serata, che ha concluso il ciclo di incontri sul tema del perdono, ha registrato la partecipazione numerosa di molte famiglie della contrada, anche giovani, che si sono attivate per rendere accogliente e gustoso il momento di convivialità finale.

 

 

 

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