SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “‘La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia!’: c’è scritto in Evangelii Gaudium. Questa frase stampatevela bene, perché forse non ve lo dirà più nessuno! Florenskij, un teologo martire russo, diceva che la bellezza si definisce la Verità manifestata e l’Amore. La Verità manifestata è l’Amore; l’Amore realizzato è la bellezza. Ma la bellezza si realizza nella storia come una Pasqua, la morte e la risurrezione di Cristo. Ecco perché la liturgia evangelizza! Perché celebra il mistero pasquale di Cristo. Thomas Mann sostiene che della bellezza non si possa parlare e usa – per definirla – un’espressione tedesca che significa che la bellezza ti ferisce, nel senso che ne rimani profondamente ammirato, perché ti apre una conoscenza che non è concettuale, ma è relazionale: è la conoscenza dell’amore. Ecco perché, quando è bella, la liturgia evangelizza! Non indottrina, ma irradia! Ci fa entrare, ci fa stare dentro al mistero della Chiesa“.
È con queste parole che don Gian Luca Pelliccioni, presbitero della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto e docente di Teologia Fondamentale presso la Scuola di Formazione Teologica, ha iniziato il suo intervento durante l’incontro dal titolo “Ministri ordinati e battezzati: fatti l’uno per l’altro!”, che si è tenuto Mercoledì 11 Giugno, alle ore 21:00, presso la suggestiva cornice del monastero Santa Speranza, in San Benedetto del Tronto. Il sottotitolo – “La liturgia manifesta e realizza l’unico popolo di Dio” – svela quale sia stato il tema al centro della serata.
L’appuntamento, organizzato dalla Scuola di Formazione Teologica, con la collaborazione del GRIS (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-Religiosa) e del Servizio di Apostolato Biblico, ha registrato la partecipazione anche del vescovo delle Diocesi del Piceno nonché presidente della Scuola, mons. Gianpiero Palmieri.
Ad introdurre la serata è stato il direttore della Scuola, don Lorenzo Bruni, il quale ha spiegato la genesi dell’incontro: “Questa serata nasce nella semplicità di un’amicizia che mi lega a Gian Luca da tanti anni, oltre 25 ormai. Eravamo seminaristi, quindi non eravamo ancora confratelli. E quell’amicizia poi si è rafforzata grazie al dono del Sacramento dell’Ordine, che tra l’altro abbiamo ricevuto uno dopo l’altro, a pochi mesi di distanza. Da tempo covavo nel cuore il desiderio di invitarlo a presentare il suo lavoro, dopo il successo accademico di cui è stato protagonista. Don Gian Luca, infatti, poco più di un anno fa ha conseguito «summa cum laude» il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense in Roma con una tesi dedicata al sacramento dell’Ordine. Il suo lavoro, dal titolo “La dimensione iniziatica nei riti di ordinazione. «Agnosce quod ages, imitare quod tractabis»”, è stato selezionato e autorizzato dall’Associazione Professori di Liturgia alla pubblicazione nella prestigiosa collana «Bibliotheca Ephemeredes Liturgicae» edita dalla CLV- Edizioni Liturgiche, contenente i lavori ritenuti particolarmente meritevoli a livello nazionale ed europeo, divenendo così un testo di divulgazione fruibile da un pubblico più vasto. Questo riconoscimento quindi, oltre a provare la serietà del lavoro di don Gian Luca, ci onora anche come Chiesa diocesana, alla quale sicuramente questo lavoro farà bene perché aiuterà ad approfondire alcune tematiche. Di per sé il dottorato è una ricerca che apre di nuovo alla ricerca. E questo è anche il senso di una tesi, di un lavoro che produce un frutto buono, quando viene poi portato, spezzato, donato. Nulla nella Chiesa è mai autoreferenziale“.
La bellezza della liturgia
Numerosi gli argomenti su cui don Pelliccioni ha fatto riflettere il numeroso uditorio presente nel salone delle Clarisse e proveniente da entrambe le Diocesi del Piceno.
Primo fra tutti la bellezza della liturgia che, come il relatore stesso ha evidenziato, è Amore e non controllo: “Occorre una diligente dedizione alla celebrazione, lasciando che sia la celebrazione stessa a trasmetterci la sua arte“. Citando il teologo Guardini, l’esimio relatore ha sottolineato come l’arte del celebrare si impari ‘risvegliando il senso dello stile grande della preghiera’ e coinvolgendo anche in essa la nostra esistenza. ‘La via verso queste mete è la disciplina, la rinuncia ad un sentimentalità morbida; un serio lavoro, svolto in obbedienza alla Chiesa, in rapporto al nostro essere e al nostro comportamento religioso’“.
Il popolo dei battezzati
Se la liturgia è tale, va vissuta da tutto il popolo di Dio, che – ha specificato don Pelliccioni – è quello citato e definito nella Lumen Gentium, ovvero l’insieme di tutti i battezzati in Cristo. La costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, infatti, non si concentra solo sulla struttura gerarchica della Chiesa (papa, vescovi, presbiteri, diaconi e laicato), bensì anche sulla comunione tra i fedeli e sulla loro comune responsabilità nel diffondere la fede.
Questa responsabilità deriva proprio dal Battesimo, l’elemento unificante per tutti i cristiani, indipendentemente dalla loro funzione nella Chiesa. Con il Battesimo, infatti, diveniamo tutti partecipi del sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale sono dunque ordinati l’un l’altro. Si entra a far parte del popolo di Dio con l’iniziazione a partire dal Battesimo, quando si viene riaggregati nella nuova comunità con una nuova identità: l’iniziazione non è solo per la persona, ma per l’intera comunità.
L’iniziazione, fenomeno di tradizione
Da qui l’approfondimento sull’iniziazione, che – ha affermato don Pelliccioni – “è un fenomeno di tradizione. Iniziare significa riunire simbolicamente le condizioni perché possa darsi una riproduzione e trasmissione dei comportamenti, delle norme, dei valori del gruppo. Per questo l’iniziazione svolge anche un’importante funzione di ‘cinghia di trasmissione’ culturale. Iniziarsi significa anche ‘apprendere le parole della tribù’, iscrivere nella propria memoria il patrimonio, prima di tutto mitico, costitutivo della vita sociale. Per questo i riti di iniziazione posseggono un ricco simbolismo, ruotante intorno al tema della morte – rinascita, che mira ad accompagnare il trapasso dalla precedente condizione sociale di vita a quella vita nuova“.
Il Ministero Ordinato è una liturgia
Se dunque l’iniziazione consiste in questo processo in cui si parte da una separazione, si passa per un liminale/margine e si arriva infine ad una riaggregazione, allora anche l’Ordine può essere considerato un Sacramento di iniziazione. È questo il cuore della tesi di don Gian Luca Pelliccioni: “Cos’è il Ministero Ordinato nella Chiesa? Un carisma? Un incarico? Una funzione? Un ruolo? Una missione? Una trasformazione ontologica?”. Secondo don Pelliccioni, “il Ministero Ordinato è una liturgia. Dire ordinato, infatti, equivale a dire iniziato. Iniziato per servire e non certo per la carriera.
Il ministro ordinato è un artista
In tal senso, in questo cambiamento d’epoca, il Ministero Ordinato è un ministero di soglia, missionario, creativo. Ogni ministro ordinato deve essere un artista. Cosa significa? L’artista non è mai bizzarro, ma fa emergere una parola, un’aspirazione, un desiderio. L’artista deve saper comporre cose che non sono stabilite, deve essere creativo. Non è un caso che si parli sempre più spesso di ars celebrandi, di arte pastorale. Oggi insomma i ministri ordinati devono essere creativi e quindi in definitiva artisti nell’atto stesso della celebrazione. Un tempo, quando tutti erano cristiani, il cristianesimo era ridotto a moralismo, identificandosi la Chiesa con la sua autorità: sopra c’era una Chiesa docente e sotto una Chiesa discente, con una separazione netta tra ministri ordinati e popolo di Dio. Ordine e Battesimo, invece, sono entrambe iniziazioni, diverse, ma entrambe costitutive della Chiesa, grazie alle quali la Chiesa realizza la sua missione, la sua apostolicità“.
La sinodalità del popolo di Dio
Ultimo argomento toccato: la sinodalità del popolo di Dio. Don Pelliccioni ha evidenziato come il popolo di Dio sia unico, comprendendo sia i ministri ordinati che tutti i battezzati e includendo anche il Papa stesso. A tal proposito ha citato la Lumen Gentium, secondo cui “sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano di essenza e non tanto di grado, sono tuttavia ordinati l’un l’altro“.
“Si può dire che la sinodalità – ha detto il relatore – sia un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria, per renderla cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna, irradiando la luce di Cristo. In definitiva quindi il popolo di Dio è sinodale, con battezzati, diaconi, presbiterio e vescovo: questa è proprio la struttura della Chiesa!”.
Una storia di sacrifici: il racconto di don Gian Luca
La serata è stata anche l’occasione per sapere qualcosa in più sulla vita di don Gian Luca Pelliccioni, il quale ha raccontato le difficoltà che ha dovuto superare per giungere a questo traguardo: “La teologia oggi è un po’ screditata anche tra noi cattolici. Invece essa è una riappropriazione critica della fede. Quindi per essere più liberi, non il contrario. Non è solo illustrazione del magistero. Quindi non per i bravi, ma per tutti. Tutti siamo – da credenti – teologi: è la dimensione profetica della Chiesa. In tal senso, la definizione di Scuola di Formazione Teologica è proprio bella: non è infatti una carriera di studi ecclesiastici, ma è la base, il fondamento per la vita cristiana. È con questo l’intento che oltre 50 anni fa fece iniziare la Scuola.
È con questo spirito che nel 2009, mentre ero a Montelparo, il vescovo Gestori mi diede il consenso per frequentare la Licenza in Sacramentaria all’Istituto Teologico Marchigiano, che ottenni nel 2013 con una tesi sul Sacramento della Riconciliazione. L’istituto mi propose di diventare docente e potei iniziare il dottorato a Padova, come richiesto dell’Istituto Teologico, solo dopo un anno dall’arrivo del vescovo Bresciani. Nel 2019 dovetti interrompere la scrittura della tesi di ricerca per l’incarico gravoso della unità pastorale di Centobuchi. Durante la pandemia, il vescovo Bresciani mi rimandò a studiare. Allora andai a Roma e quindi ricominciai daccapo nel 2021. Il prof. Lameri, all’epoca docente di Sacramentaria, oggi decano dell’Università Lateranense, si fidò di me. I due anni e mezzo di lavoro sono stati to faticosi: a 54 anni riprendere dall’inizio una ricerca, dopo averla interrotta, è stato molto difficile. Oggi con stupore vedo la ricerca pubblicata nella collana più prestigiosa che c’è in Italia e una fra le più prestigiose in Europa. Ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicino con la preghiera: la Tenda del Magnificat, l’Equipe Notre-Dame, la Scuola di Formazione Teologica ed alcuni amici preti ed altri amici che hanno vissuto la genesi di tutto questo e mi hanno sostenuto anche allungandomi ogni tanto 50 euro dentro le tasche, non avendo ricevuto sostegno economico per i miei studi. Sono felice, perché studiare è molto importante, è un gesto pastorale: è amare Cristo, la Sua Chiesa, il mondo. È sacrificio: si pagano con la vita le proprie posizioni; si paga con la vita, con il buon nome. È un cammino di grazia, di prova . ‘Questo fa scuola, perché vuole fare carriera!’ – si sente spesso. No, è il contrario: si studia per imparare ad essere umili, non per fare i bravi, perché, a contatto con tanta scienza e diversità, ci si riduce nelle pretese di comprensione e si impara a stare nel contraddittorio, ad argomentare, a non essere approssimativi, a fare sintesi, ad ascoltare. Il lavoro di studium è ricerca appassionata. Lo studio serve per non essere manipolati, per affrontare anche le questioni di oggi per le quali ci vuole intelligenza anche, non erudizione”.
Vescovo Palmieri: “Ricerca bella, affascinante, convincente”
A concludere l’incontro è stato il vescovo Gianpiero Palmieri che ha usato parole di gratitudine nei confronti di don Gian Luca Pelliccioni: “Grazie. Grazie davvero! È stato bello ascoltare la tua ricerca: bella, affascinante e direi anche molto convincente. Credo che la dimensione liturgica e sacramentale del Ministero Ordinato, il suo legame con la dimensione iniziatica, sia davvero una comprensione più in profondità di quella differenza tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale che è di essenza e non di grado. Uno ordinato all’altro, come hai detto e come abbiamo appreso noi preti, spaccandoci la testa durante gli studi teologici! Ricordo che noi candidati al sacerdozio a Roma, avevamo un esame supplementare in Vicariato, prima di diventare prete. Quando lo sostenni, mi fu fatta una domanda proprio su questo tema e io risposi citando il testo del Concilio. Lui, scuotendo la testa, mi disse: ‘Voi Latini non riuscite mai a spiegarvi bene, quando usate queste frasi!’. E aveva ragione, perché questo testo era tutto da approfondire. Allora, grazie davvero don Gian Luca, per averlo fatto. Grazie per questa ricerca e per questa condivisione“.