DIOCESI – “Giustizia e speranza. Carcere e territorio”: è questo il titolo del convegno che si è tenuto Martedì 10 Giugno 2025, a partire dalle ore 9:30, presso la casa circondariale di Marino del Tronto, in Ascoli Piceno, per accendere i riflettori su una realtà, quella carceraria, segnata da grandi criticità come il sovraffollamento, la mancanza di personale specializzato, le problematiche psichiatriche che richiedono attenzione e supporto, il vuoto affettivo e purtroppo a volte anche i suicidi.
L’evento, promosso dalle Diocesi del Piceno nell’ambito delle iniziative organizzate per l’Anno Giubilare della Speranza, ha avuto un ospite d’eccezione: il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il quale ha dapprima incontrato una rappresentanza di detenuti nella cappella della struttura e poi ha parlato ai presenti, sottolineando come la speranza passi attraverso un impegno concreto delle istituzioni e della comunità nel fornire una seconda possibilità a chi ha sbagliato, unica via per un effettivo reinserimento. Nell’occasione Zuppi ha incontrato anche la Direzione, la Polizia Penitenziaria, il personale sanitario, le educatrici, i volontari.
Insieme al cardinale Zuppi, altri tre ospiti illustri hanno relazionato sul tema: l’avv. Giancarlo Giulianelli, garante dei diritti della persona della Regione Marche; il dott. Angelomarco Barioglio, medico psichiatra nonché direttore del Dipartimento salute mentale territoriale, l’unità che ha la responsabilità di servizio in carcere; la dott.ssa Rosa D’Arca, volontaria nel carcere di Rebibbia dall’anno 2012 con l’associazione di Volontariato VIC (Volontari In Carcere), di cui ora è componente del Consiglio Direttivo.
All’appuntamento, curato minuziosamente dal dott. Giorgio Rocchi, direttore della Caritas di Ascoli Piceno, hanno partecipato anche l’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicepresidente della CEI per l’Italia Centrale e vescovo delle Diocesi del Piceno, e la dott.ssa Daniela Valentini, direttrice della casa circondariale di Marino del Tronto.
Presenti, tra le 50 persone ammesse all’interno del carcere per assistere al convegno, numerose autorità civili, militari e sanitarie del territorio, che, per il loro ruolo, interagiscono con la realtà carceraria picena: Filippo Saltamartini, vicepresidente della Giunta Regionale ed assessore con delega alla sanità e alla tutela della salute per la Regione Marche; Camillo D’Angelo, presidente della vicina Provincia di Teramo; Marco Fioravanti, sindaco di Ascoli Piceno; il sostituto commissario Giuseppe Coppolella, comandante della Polizia Penitenziaria della casa circondariale di Marino del Tronto; Gianluca Braga, vice prefetto vicario della Provincia di Ascoli; il commissario Giovanni Fiorin della Questura di Ascoli Piceno; il maggiore Oscar Caruso, in rappresentanza del Comando Provinciale dei Carabinieri; Antonello Maraldo, direttore generale dell’AST 5; Marco Giri, medico psichiatra direttore del DSM – Dipartimento Salute Mentale dell’AST 5; Giovanna Picciotti, responsabile sanitaria della casa circondariale di Marino del Tronto; Cristina Sabatini, capo area trattamentale, sempre dalla c.c. di Marino del Tronto.
“Tra le varie Porte della Speranza che abbiamo voluto aprire durante questo Anno Giubilare – ha dichiarato l’arcivescovo Gianpiero Palmieri – c’è anche questa aperta oggi qui a Marino del Tronto. Le Porte di Speranza vogliono segnalare luoghi dove far germogliare nuove prospettive ed il carcere è sicuramente un luogo dove c’è bisogno urgente di speranza e giustizia”.
Spiragli di speranza: gli interventi di Giulianelli, Barioglio e D’Arca
L’avv. Giancarlo Giulianelli, nel suo appassionato intervento, ha sottolineato come, nel contesto di una casa circondariale, “la speranza sia possibile se la riabilitazione avviene non solo per chi è dentro le mura scellerate di un carcere, ma anche per noi che siamo fuori”.
Il dott. Angelomarco Barioglio ha invece relazionato sulla materia di sua competenza, evidenziando come “la cura debba essere garantita a tutti” e, “affinché possa essere messa in atto, sia necessario creare le condizioni”. Altrimenti si rischiano situazioni spiacevoli e anche gravi, come i suicidi.
La dott.ssa Rosa D’Arca ha infine illustrato gli effetti benefici del volontariato per i detenuti: “Nel carcere, che è un luogo di anonimia, il volontario rappresenta una luce che restituisce dignità, identità ed umanità”. Al contempo anche il volontario ne esce arricchito, tanto da poter dire che “il volontario non va in carcere per convertire i detenuti, ma per essere convertito”.
Investire denaro, tempo e umanità: le parole di Zuppi
Per ultimo l’intervento più atteso, quello del cardinale Matteo Maria Zuppi, il quale ha esordito definendo il legame tra giustizia e speranza: “Qualche volta pensiamo alla giustizia come all’inferno di Dante. ‘Lasciate ogne speranza, o voi ch’intrate!’. Chi entra qui dentro, nel carcere, spesso, la speranza l’ha perduta per tanti motivi e per tante sue responsabilità. Invece la si deve ritrovare”.
Sulle strade da seguire, per alimentare la speranza, il presidente della CEI non ha dubbi: è necessario il sostegno del territorio. “Il carcere non è un’isola che non ha niente a che vedere con la nostra realtà, ma è dentro la nostra realtà” – ha detto Zuppi, portando l’esempio di un carcere modello presente a Bologna, in cui il territorio “vi è entrato dentro con il volontariato, con l’imprenditoria e con l’offerta di lavoro”.
“Bisogna investire sulla speranza” – ha auspicato il cardinale di origini romane –: investire denaro, tempo e umanità.
In merito all’aspetto puramente economico, Zuppi ha detto: “Bisogna investirci perché diventi un progetto, un accompagnamento, una rieducazione, che poi è proprio quello a cui costituzionalmente siamo chiamati”.
In merito all’investimento di tempo, il presidente della CEI ha illustrato la situazione di malessere che spesso vivono i detenuti, anche psichiatrici, e che a volte conduce addirittura al suicidio. Ha quindi sottolineato l’importanza per i detenuti di avere un contatto con il mondo esterno e al riguardo ha ringraziato le tante realtà di volontariato legate alla Chiesa che operano nelle carceri.
In merito allo stile con cui investire sulla speranza, infine, il cardinale ha ricordato papa Francesco, il quale “ha voluto aprire la porta del Giubileo dentro il carcere di Rebibbia – un luogo dove sembra che speranza non ci sia – proprio per sottolineare che la speranza c’è per tutti“. Di Bergoglio, Zuppi ha ricordato anche l’ultima uscita pubblica al carcere di Regina Coeli: “È andato lì senza poter parlare, solo per stare lì, per dire ai carcerati: ‘Sto con voi’. Per accendere la speranza e sospendere il giudizio che accompagna ogni detenuto. Sospendere il giudizio significa saper guardare al futuro. E guardare al futuro non significa dimenticare il passato, bensì far sì che il passato non sia l’ultima parola“.
Ha concluso infine il cardinale Zuppi: “Io non credo ci siano degli inemendabili. C’è sempre una crepa ed è da lì che passa la luce. La speranza non è trovare strade, ma mostrare quelle che già ci sono. A volte le illusioni sono molto più attraenti e facili. La speranza no. Non è rifugiarsi in un mondo che non esiste, bensì attraversare la vita, le difficoltà della vita. Ovunque c’è la possibilità di un futuro diverso. Credo che, ciascuno per le proprie competenze e con le diverse sensibilità, in quella osmosi tra territorio e carcere che si è creata oggi, usciamo tutti un po’ più convinti che ci sia più speranza per tutti”.
La situazione della casa circondariale di Marino del Tronto
La casa circondariale di Marino del Tronto nasce come struttura di massima sicurezza, inaugurata nel mese di Giugno del 1980, ben 45 anni fa. Al suo interno sono presenti una sezione circondariale di media sicurezza, una sezione protetti-promiscui, una sezione di alta sicurezza 3, una sezione di osservazione psichiatrica e una sezione semiliberi. La struttura prevede 103 posti, ma 2 non sono disponibili, quindi può contare su 101 posti; i detenuti tuttavia sono 145. L’ATSM – Articolazione Tutela Salute Mentale (comunemente detta sezione psichiatrica) è costituita da 5 posti, tutti occupati, ed una consistente “lista di attesa” (oltre 40) che deborda nelle celle della detenzione ordinaria: questo significa che molti detenuti con patologie psichiche sono presenti nelle sezioni ordinarie. Nel carcere c’è la presenza del cappellano, di un centro di ascolto Caritas e di diverse associazioni di volontariato; inoltre ristrutturazioni recenti hanno cercato di rendere alcuni ambienti più accoglienti ed attrezzati per lo svolgimento delle attività trattamentali, ma restano purtroppo ancora insufficienti.
Queste le parole della direttrice della casa circondariale di Marino del Tronto, Daniela Valentini: “Sono molto grata a Sua Eminenza, il cardinale Zuppi, e a Sua Eccellenza, l’arcivescovo Palmieri, per averci dato questa opportunità unica, che ci ha permesso di tirare fuori aspetti nascosti del carcere. L’incontro di oggi ci ha donato una energia nuova per andare avanti e portare delle progettualità future importanti“.
La sfida che ci attende
Soddisfatto anche il direttore Caritas Giorgio Rocchi, il quale, sulla sfida che attende la comunità nel prossimo futuro, ha affermato: “Abbiamo bisogno tutti di crescere e non pensare ai detenuti come persone irrimediabilmente condannate. C’è un impegno che ci attende, da oggi ancora di più: trasformare il discorso sociale per promuovere la consapevolezza che ogni persona, pur avendo commesso errori, possiede il potenziale per il cambiamento e la crescita personale, una crescita che ci coinvolge come comunità che deve crescere essa stessa. È questo il senso della Porta di Speranza da tenere aperta dopo i riflettori del momento”.
Uscendo dalla casa circondariale di Marino del Tronto, non ho potuto fare a meno di osservare – con maggiore attenzione rispetto al momento dell’ingresso – il murales che campeggia nel cortile: la caravella “Libera“ dell’artista Andrea Tarli, che per l’opera si è ispirato al “Racconto dell’isola sconosciuta” di Josè Saramago. Nel suo testo lo scrittore portoghese narra le vicende di un uomo che ottiene dal re una caravella per partire alla ricerca di un’isola sconosciuta, che ancora non compare sulle carte geografiche. Scoprirà ben presto che l’isola sconosciuta non esiste. Il viaggio di Saramago, infatti, è un viaggio alla ricerca di se stessi, non di una terra concreta. E l ’isola sconosciuta è solo una metafora del luogo più sconosciuto che c’è, la propria anima.
Mentre riflettevo sul murales, mi sono tornate in mente le parole di papa Francesco ai detenuti, parole che sono state ricordate qualche minuto prima dal cardinale Zuppi: «Perché voi e non io?». Davanti ai carcerati, che durante il suo pontificato ha incontrato per sedici volte nei penitenziari italiani e all’estero, Bergoglio se lo è domandato spesso. L’ultima soltanto pochi giorni prima della sua morte, mentre usciva dalla casa circondariale di Regina Coeli a Roma dove, pur in convalescenza e con una semplice visita privata, non aveva voluto rinunciare ad incontrare i detenuti in occasione del Giovedì Santo, una tradizione iniziata in Argentina nel 1999 e proseguita fino alla fine della sua vita. «Perché voi e non io?» significa “Non ti giudico. Sono consapevole che la caduta e l’errore sono una possibilità per ognuno di noi“. Può capitare a chiunque, infatti, di non comprendere da subito cosa desiderare dalla vita o di non avere i mezzi per raggiungerlo o magari usare strade sbagliate per arrivarci o magari di non aver avuto le condizioni necessarie per fare buone scelte.
Mirando al murales “Libera“, ho pensato al protagonista del racconto di Saramago, che, costi quel che costi, vuole partire alla ricerca dell’isola, ma ben presto si accorge di non avere marinai. È solo grazie alla donna delle pulizie del re, che lo ha seguito per mettersi in viaggio con lui in mare, che l’uomo riesce a preparare la caravella e ad affrontare la navigazione. La meravigliosa favola di Saramago non avrebbe potuto avere luogo senza la relazione che i due protagonisti costruiscono. Una relazione fatta di accoglienza reciproca, rispetto, incoraggiamento, riconoscimento dell’identità dell’altro.
In questo faticoso e meraviglioso viaggio nel mare della vita, potremmo essere, a seconda dei luoghi, delle circostanze e delle persone che abbiamo intorno, il viaggiatore alla ricerca dell’isola sconosciuta oppure la donna che lo aiuta a salpare. Non possiamo saperlo. L’unica cosa che sappiamo con certezza è che, se ci trovassimo ad essere il viaggiatore rimasto solo, senza marinai, vorremmo sicuramente avere al nostro fianco qualcuno come la donna che lo aiuta a salpare, qualcuno che ci aiuti a ricostruire la nostra caravella tutte le volte che sarà necessario, qualcuno che ci aiuti a rinnovarla e ad abbellirla per poter continuare la navigazione. Anche e soprattutto quando sappiamo che l’intero viaggio lo passeremo sulla caravella, senza mai poter scendere per un tuffo.
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