(Foto Daniele Novara)

Di Silvia Rossetti

Qualche giorno fa i media hanno riportato la vicenda di un quindicenne torinese ricoverato in ospedale per una crisi di astinenza da smartphone. Si tratta di un caso isolato, oppure paradigmatico di un fenomeno che potrebbe assumere dimensioni preoccupanti (le stime parlano di 100mila giovani in situazione di rischio)? Ne parliamo con Daniele Novara, pedagogista, fondatore e direttore del Cpp – Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

Professore, come interpretare il caso del quindicenne torinese?
Il caso torinese rappresenta un segnale forte, paradigmatico di una situazione che è ormai sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo riuscire a comprendere il significato educativo e relazionale di simili campanelli d’allarme. La crisi da astinenza è un sintomo di un disagio profondo, alimentato dall’isolamento e dalla mancanza di socialità con i pari. La dipendenza digitale sta diventando un rifugio, spesso l’unico, per ragazzi che non trovano spazi di relazione reale, di confronto e di senso nella loro quotidianità.

Come nasce la dipendenza nei confronti di questi dispositivi?
La dipendenza nasce quando il dispositivo digitale diventa lo strumento prediletto con cui una persona giovane o giovanissima impara a gestire le emozioni, a trovare conferme o a sentirsi parte di qualcosa. In sostanza, nasce da un vuoto educativo e relazionale. Se un adolescente non ha sperimentato fin da piccolo relazioni significative, momenti di noia creativa, esperienze concrete, allora l’universo digitale diventa un sostituto onnipresente. Non è il dispositivo in sé il problema, ma l’età di utilizzo e la quantità di ore dedicate. Queste crisi dimostrano ancora una volta come le relazioni tra coetanei, mediate dagli strumenti digitali, non funzionino e non possano essere un surrogato del mondo reale.

Ci sono degli errori educativi alla radice di questa sorta di simbiosi tra i giovani e gli smartphone?
Assolutamente sì. Il primo errore è aver introdotto questi dispositivi troppo presto, senza regole e senza gradualità. I bambini oggi maneggiano smartphone prima ancora di imparare a parlare con fluidità. Il tutto veicolato da un marketing aggressivo che ha reso sentire comune la parola “nativi digitali”, un concetto assolutamente campato in aria e utile solo a chi vuole fare business sulle nuove generazioni. Un secondo errore è quello di delegare il proprio ruolo educativo, usando il cellulare come un “baby-sitter digitale”. In questo modo non si insegna la gestione del tempo, della frustrazione o dell’attesa.

Oltre alla dipendenza, quali sono i danni maggiori che una eccessiva esposizione ai dispositivi digitali provoca nei giovani e nei giovanissimi?
I danni sono molteplici e su più livelli. Sul piano cognitivo, l’esposizione prolungata riduce la capacità di concentrazione e di elaborazione del pensiero complesso. Sul piano relazionale, porta all’isolamento, alla perdita di empatia, competenze sociali e a una corretta gestione dei conflitti e delle contrarietà. Sul piano emotivo, impedisce la maturazione affettiva e la gestione autonoma delle emozioni. E non dimentichiamo i danni fisici: disturbi del sonno, sedentarietà, problemi visivi. Recenti studi hanno dimostrato che l’uso di dispositivi digitali durante lo sviluppo porta a una differente disposizione delle sinapsi neuronali. Ma ciò che più mi preoccupa è la sostituzione del reale con il virtuale, con una progressiva perdita di senso dell’esperienza diretta.

Quali sono i soggetti maggiormente vulnerabili?
I soggetti più a rischio sono i bambini e le bambine troppo piccoli esposti precocemente agli schermi, adolescenti lasciati soli con le loro inquietudini, con famiglie disorientate, fragili e non più in grado di esercitare il proprio ruolo. In generale, tutti quei bambini e ragazzi che necessitano di avere esperienze del mondo reale e di relazionarsi con i coetanei per trovare le proprie autonomie e imparare a dialogare e ad accettare la contrarietà, riconoscendo l’altro e imparando a gestire i conflitti.

Siamo a un punto di non ritorno?
No, non siamo al punto di non ritorno. Servono però prese di posizione coraggiose e consapevoli, capaci di rimettere al centro il bene delle nuove generazioni e non quello del business e delle multinazionali. Serve un’alleanza tra famiglie, scuola e comunità educante. Ma, visto il punto in cui siamo, penso che serva anche una legge che sia di supporto a tutte quelle famiglie che vorrebbero porre un freno all’invadenza delle nuove tecnologie, ma che si trovano a combattere una guerra impari contro i colossi della tecnologia e del marketing. I tempi però sono maturi, lo dimostrano le più di 100mila firme che abbiamo raccolto e che chiedono una legge nazionale che vieti l’uso di smartphone sotto i 14 anni e dei social sotto i 16. La società italiana è pronta a questo passo. Serve che la politica faccia la sua parte.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *