
A breve pubblicheremo un articolo più dettagliato con gli interventi dei vari relatori.
Di Daniele Rocchi
“Se vogliamo la sicurezza, dobbiamo guardare al futuro. E il carcere non deve mai essere soltanto punitivo, ma deve sempre guardare al futuro, perché solo questo ci dà la vera sicurezza. E in questo campo c’è molto da fare”. Lo ha ribadito il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, facendo il suo ingresso, ieri mattina, nella Casa circondariale di Marino del Tronto (Ascoli Piceno), per un incontro con i detenuti organizzato nell’ambito di un convegno sul tema “Giustizia e speranza – Carcere e territorio” promosso congiuntamente dalle diocesi di Ascoli e san Benedetto del Tronto, guidate dal vescovo mons. Gianpiero Palmieri e curato in particolare dal Direttore della Caritas diocesana, Giorgio Rocchi.
Al suo ingresso il cardinale è stato accolto dalla direttrice Daniela Valentini e dai rappresentanti delle Istituzioni politiche, amministrative e carcerarie della Regione Marche. Nel piazzale un enorme dipinto di un veliero, “Libera”, con un gabbiano, a fare da sfondo a questa visita tanto attesa dai circa 150 detenuti della Casa, l’unica delle Marche a ospitare anche detenuti psichici.
(Foto Sir)
Segnali preoccupanti. “Ci sono tanti segnali che da anni sono preoccupanti – ha spiegato Zuppi – pensiamo soprattutto ai suicidi nelle carceri che sono l’evidenza di un malessere che nasce anche dalle condizioni difficili in cui vivono i detenuti, da problemi anche psichiatrici, certamente, e questo deve indurre a garantire delle strutture più efficienti”. “I detenuti – ha rimarcato il presidente della Cei – sono i fratelli più piccoli di Gesù. Ero carcerato, sei venuto o non sei venuto a visitarlo. E la visita non è soltanto timbrare il cartellino ma è farsi carico, è, appunto, visitare”. A riguardo il cardinale ha voluto ringraziare le tante realtà di volontariato legate alla Chiesa che operano nelle carceri. “Ma non è abbastanza. Sicuramente dobbiamo fare di più”.
“Il carcere non è un’isola che non ha niente a che vedere con la nostra realtà, ma è dentro la nostra realtà”.
Concetto ripreso e ribadito anche da mons. Palmieri nel suo saluto di apertura di convegno. Il cardinale ha incontrato privatamente i detenuti, ha raccolto le loro voci, li ha ascoltati, ma nulla ha fatto trapelare della loro conversazione. Ma ha voluto parlare, quasi in risposta, di umanizzazione del carcere: “Più la si umanizza e più si prepara un futuro migliore per tutti – ha ripetuto -. La giustizia deve essere sempre liberativa, riparativa. Se resta solo punitiva è pericolosa. Pericolosa non solo per chi la subisce, perché diventa condanna senza speranza, ma anche per chi l’ha subita come vittima”. Parole raccolte anche da Rosa D’Arca, dell’Associazione Vic (Volontari in carcere) e da Giancarlo Giulianelli, Garante regionale delle Marche per i diritti della persona. Sovraffollamento, suicidi, diritto alla salute, vuoto affettivo, sono stati alcuni dei punti ‘dolenti’ sollevati durante l’incontro e su cui Chiesa, Istituzioni, società civile sono chiamate a convergere per offrire soluzioni sostenibili e rispettose delle norme e dignitose per la popolazione carceraria.
(Foto ANSA/SIR)
Giustizia e speranza. Per il cardinale giustizia fa rima con speranza: “Qualche volta – ha detto Zuppi – pensiamo alla giustizia come l’inferno di Dante. Perdete ogni speranza voi che entrate e chi entra qui dentro, nel carcere, spesso, la speranza l’ha perduta per tanti motivi e per tante sue responsabilità. Invece la si deve ritrovare”. Questa ricerca deve essere sostenuta dal territorio nel quale insiste il carcere. “Spesso – ha ricordato il presidente della Cei – si parla di carceri modello. Ma perché sono un modello? Perché questo modello non viene copiato da altri istituti di pena?” La risposta del cardinale è stata chiara e netta: “Perché il territorio vi è entrato dentro con il volontariato, con l’imprenditoria, con l’offerta di lavoro”. A Bologna, ha ricordato Zuppi, c’è un carcere dove degli imprenditori hanno impiantato una fabbrica per dare occupazione ai detenuti”. Il lavoro, lo studio, la formazione: sono strumenti di recupero e di integrazione per tanti detenuti”. Stime parlano che solo il 24% della popolazione carceraria lavora, “questo – ha avvertito il presidente della Cei – significa che per il 76% non c’è ancora nulla”.
La speranza in un carcere ha un prezzo e per Zuppi “bisogna investirci perché diventi un progetto, un accompagnamento, una rieducazione, che poi – ha rimarcato – è proprio quello a cui costituzionalmente siamo chiamati”.
Con lo stile di Papa Francesco. Con lo stile indicato da Papa Francesco che per la sua ultima uscita pubblica ha scelto proprio un carcere, quello di Regina Coeli. “È andato lì senza poter parlare, solo per stare lì, per dire ai carcerati, ‘sto con voi’. Per accendere la speranza e sospendere il giudizio che accompagna ogni detenuto”. Sospendere il giudizio, ha precisato il card. Zuppi, “non significa dimenticarsi del passato, di ciò che è accaduto. Assolutamente no. Ma non deve diventare l’ultima parola. Guardare anche al futuro come redenzione”.
(Foto Vatican Media/SIR)
Da qui il richiamo al Giubileo il cui tema è proprio la speranza. “Papa Francesco ha voluto aprire la porta del Giubileo dentro il carcere di Rebibbia per indicare a tutti, non soltanto ai detenuti, qual è la porta della speranza.
Propongo ai governi di assumersi iniziative che restituiscano speranza,
penso a forme di amnistia volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in se stessi e nella società, a corsi di reinserimento nelle comunità in vista di un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”. Al termine della visita al carcere, il card. Zuppi ha portato i suoi saluti al meeting dei giornalisti che si teneva nello stesso giorno ad Ascoli Piceno per iniziativa delle diocesi del Piceno sul tema “Disarmare le parole” aperto dalla testimonianza del parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli.
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