DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.
L’evangelista Luca pone alla fine del suo Vangelo e all’inizio della seconda opera da lui scritta, gli Atti degli Apostoli, il racconto dell’Ascensione del Signore. Una semplice ripetizione?
Sicuramente no…l’Ascensione di Gesù segna la fine della storia dei Vangeli, il loro protagonista assoluto, il Signore, non può più essere visto, toccato, raccontato concretamente.
Eppure, il tono di questi racconti sembra proprio quello di un inizio.
Il Signore se ne va eppure si parla di attesa, di una missione che comincia, di un Altro che deve venire e, se scorriamo anche la seconda lettura tratta dalla Lettera agli Ebrei, di un nuovo ritorno di Gesù che ci condurrà là dove lui è.
Dice Gesù ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
L’Ascensione segna il punto di partenza della missione della Chiesa. Inizia il tempo di predicare a tutti i popoli, di essere «testimoni […] fino ai confini della terra», ma non in virtù di particolari doti o qualità umane. «Riceverete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi», prosegue, infatti, Gesù.
Gesù si stacca dai suoi, ma il cuore dei discepoli è in festa. Comprendono che il loro Signore non sarà assente ma presente in modo nuovo, che Gesù non li ha abbandonati ma è proprio perché è morto e risorto e ora torna al Padre che può farsi vicino ad ogni uomo e ad ogni donna di ogni tempo e luogo.
Gesù ritira la sua presenza visibile, sostituendola con una nuova, invisibile, e tuttavia più profonda: una presenza che si coglie nella fede, nell’intelligenza delle Scritture e nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella fraternità.
Si tratta di una presenza che chiede un’attesa operosa, fatta di impegno per la giustizia e la pace, fatta dell’amore declinato nei gesti quotidiani con i quali ci si prende cura degli altri, fatta di testimonianza evangelica. E così lo spazio vuoto lasciato da Gesù asceso al cielo non è spazio di lamento, di pianto, non è spazio di dolore ma di responsabilità. Uno spazio vuoto colmato dai discepoli chiamati a raccontarlo, a farsi sue mani, sue braccia, a farsi narratori della sua presenza.
Questa festa ci ricorda dunque verso dove stiamo camminando ma soprattutto chi stiamo aspettando perché la fede altro non è che desiderio di Cristo, profondo e insaziabile.
I cuori dei discepoli, infatti, sono come rinvigoriti, allietati dalla promessa ricevuta e soprattutto dalle parole di benedizione che Gesù pronuncia su di loro.
Perché benedetti, i discepoli possono attraversare con fiducia le vie del mondo, consapevoli di non essere soli ma nella compagnia del Signore.
Perché benedetti, possono avanzare verso il futuro, senza timore, consapevoli di essere custoditi.
Investititi dalla benedizione del Risorto, divengono essi stessi benedizione, una benedizione che scorre senza sosta nella storia tramite la Chiesa, manifestando la presenza viva e operante di Gesù e comunicando ad ogni creatura la tenera carezza del Padre.
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