ASCOLI PICENO – Sabato 3 edDomenica 4 maggio una delegazione della Diocesi di Ascoli Piceno, guidata da don Carlo Lupi, parroco della chiesa di San Giacomo della Marca, ha partecipato al tradizionale pellegrinaggio a Napoli, rinnovando un gemellaggio con la città partenopea che dura da oltre vent’anni. Un legame profondo, fatto di fede, accoglienza e amicizia, che continua a generare emozioni autentiche e momenti indimenticabili per entrambe le comunità.

Don Carlo ha raccontato con emozione l’origine di questo vincolo: “Era il 2000, allora ero parroco a Folignano. Organizzammo una gita a Napoli per visitare i luoghi legati a san Gennaro, patrono anche del nostro paese. Fummo accolti calorosamente, e decidemmo di tornare a settembre, per la festa liturgica del santo. Così, quasi per gioco, nacque l’idea di un gemellaggio. Poi scoprimmo che sant’Emidio, patrono di Ascoli, è anche compatrono di Napoli: un ulteriore legame che ci fece sentire ancora più vicini”.

Negli anni il pellegrinaggio si è esteso a tutta la diocesi ascolana. Oggi, da parroco di San Giacomo della Marca, don Carlo avverte un legame ancora più stretto con Napoli: “San Giacomo visse per molti anni proprio in questa città. Sono dettagli che rafforzano il legame affettivo tra le nostre comunità, rendendo questo gemellaggio qualcosa di unico e prezioso. Tutti hanno sempre vissuto questi momenti con grande gioia, dai cardinali di Napoli ai vescovi ascolani, compreso l’attuale S.E. Mons. Palmieri. Ogni visita è accompagnata da un caloroso saluto ufficiale che rimane impresso nei nostri cuori. Quest’anno ho avuto l’onore di assistere all’apertura della cassaforte che custodisce l’ampolla del sangue di san Gennaro: un’emozione indescrivibile”.

Tra i partecipanti, Antonio De Vito e Luigina Maroni hanno offerto una riflessione profonda sull’esperienza vissuta e sul significato del prodigio della liquefazione del sangue:
“La celebrazione di san Gennaro e il miracolo della liquefazione sono eventi che parlano anche a chi non crede. Due sono gli aspetti più significativi: la dimensione collettiva e quella dialogica”.

Una fede vissuta in comunità

“Chi assiste al miracolo, anche se non napoletano, non si sente un estraneo. Il fenomeno è profondamente sociale: coinvolge tutti, anche lo spettatore più scettico. La partecipazione non è solo emotiva, ma riflette la natura stessa della fede cristiana, che nasce e si esprime nella comunità. Non si tratta di un’esperienza individualistica, ma di una celebrazione vissuta ‘al plurale’, dove ogni fedele – che sia pellegrino o residente – è parte del popolo di Dio”.

Un dialogo con il divino

“La richiesta fatta a san Gennaro, che la liquefazione avvenga, si presenta come una forma di dialogo tra l’uomo e Dio. Un dialogo rispettoso ma diretto, che richiama le intercessioni dell’Antico Testamento, in cui personaggi come Abramo osavano rivolgersi a Yahweh con fermezza e fiducia. Come ha scritto Erich Fromm, la religione umanistica si fonda su un Dio che ascolta, che non è un idolo muto. Il popolo prega e attende una risposta, e quando questa non arriva, insiste, perché crede nel valore della relazione. In questo senso, la celebrazione di san Gennaro è tutt’altro che folklore: è un atto profondo di fede e comunione”.

Così, il pellegrinaggio della diocesi ascolana a Napoli si conferma non solo un appuntamento tradizionale, ma un’esperienza di fede vissuta intensamente, che unisce due comunità nel segno di santi che parlano al cuore di entrambi i popoli.

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