(Foto Biagioni/SIR)

M. Chiara Biagioni

(da Kharkiv) “Per un anno sono stato tutti i giorni, per tutto il tempo, con gli stessi compagni e sono tutti uomini. Mi reputo fortunato: ho ottenuto un congedo e sto andando a trovare mia moglie e la mia famiglia. È un anno che non ci vediamo. Ci sono soldati che da tre anni non tornano a casa”. Esordisce così un soldato incontrato in viaggio, con una immensa voglia di fare amicizia, parlare, raccontare quello che sta vivendo. Suona il cellulare e si interrompe subito:

“Sole mio, ci vediamo domani. Sono in buona compagnia”.

Non possiamo dire il suo nome né dove lo abbiamo incontrato né dove sta andando. L’unica cosa che possiamo scrivere, è che arriva dal fronte. “Siamo fortunati perché ci hanno costruito un blindage mimetizzato nel bosco”, racconta. “Prima dormivamo per terra, sotto gli alberi, nel bosco e fa freddo”. Le temperature in inverno scendono sotto lo zero e nelle trincee non si possono accendere fuochi perché la luce attirerebbe i droni che potrebbero mirare e colpire i soldati. È pericoloso anche telefonare, mettere in modalità online i cellulari, accendere qualsiasi dispositivo elettronico. Sul fronte poi ci si muove in piccoli gruppi da cinque. La mission infatti più importante è mimetizzarsi e non farsi intercettare. È una guerra di droni e pare che gli ucraini siano  bravissimi “dronisti”. 

Lui invece è un lanciatore di artiglieria. Riceve dal comando le coordinate e lancia. Il suo lavoro serve a proteggere le postazioni, preparare il terreno per i reparti di fanteria, difendere i battaglioni in azione. Non può assolutamente prendere da solo l’iniziativa. Il comando sa calibrare tempi e dinamiche, capire i momenti di veglia e sonno del nemico, valutare quando e dove colpire. Lo stesso però vale anche per i russi. E in caso di attacco, i tempi di fuga sono velocissimi. Si fugge lasciando tutto e solo quando il fuoco finisce, si torna a riprendere le cose.Solo 500 metri di distanza separano le trincee ucraine da quelle russe.I giorni passano così. A pesare di più è la lontananza dalla famiglia. “È talmente forte lo sforzo mentale che faccio per mantenere la lucidità che perdo spesso la memoria. Mi capita di avere momenti di blackout. Parlo al telefono con mio figlio e non mi vengono in mente i nomi dei nostri amici o parenti. Ci sono momenti di alti e bassi, momenti sereni e momenti difficili. Ma quando dobbiamo entrare in azione, si azzera tutto e si parte”.

Cosa si prova a sparare? “Se qualcuno mi punta un’arma contro, devo difendermi. Non ho pietà, se è questo che volevi chiedermi. Ho visto troppo. Ho visto troppe lacrime sul volto di mia moglie e della mia famiglia. Qualsiasi guerra è sporca ed è sporca da entrambe le parti. Ma chi ha scatenato tutto questo? Cosa faccio io? Lancio artiglieria”. Si ferma. Non c’è odio né nella sua voce né nei suoi occhi. E aggiunge: “Magari colpisco un padre di famiglia. Una brava persona. Per questo dico che la guerra è sporca”.

I soldati mettono in conto, ogni giorno, la possibilità di morire da un momento all’altro. Ma bisogna avere paura perché la paura protegge mentre il panico può mettere in pericolo. Il problema è che non hai paura solo per te stesso ma anche per i tuoi compagni perché se vengono attaccati, devi mantenere la calma e agire con lucidità”. “È ovvio che siamo tutti stanchi, anzi siamo esausti”, racconta il soldato. “Soprattutto chi da tre anni non ha licenza di congedo. Significa che per tre anni hanno dormito pochissimo e quando dormono, urlano nel sonno”.

Non c’è una fascia di età. Sul fronte ci sono giovani, anche giovanissimi, e uomini adulti. E la maggioranza non è militare di professione. Lui per esempio, di lavoro faceva l’operaio nei cantieri edili.  “Il fronte è la nostra università da campo. Si impara sul terreno”. Dal coordinamento del comandante dipende il successo di un’operazione e anche la salvezza dei soldati. Ma il racconto si riempie delle scene vissute sul campo. La fuga in macchina dal nemico mentre tutto intorno c’è fuoco e totale distruzione. Il ritorno dal fronte con i compagni feriti sulle spalle. Il panico talmente incontrollato da attaccare le postazioni amiche. “La guerra è un caos”. Ma anche in queste scene di orrore e paura, ci sono momenti di bellezza che sembrano fermare il tempo e portare in un’altra dimensione. Come l’ape che si posa sopra un girasole e il procione che si avvicina all’accampamento, diventando amico dei soldati per un pezzo di pace. Il buio della guerra non ha strappato dagli  occhi di questo soldato l’amore per la bellezza.

E cosa mangiate? “Spesso – risponde il soldato – non hai forza per preparati cibo. Mangi scatolette e cadi addormentato. Chi invece riesce ad andare nei villaggi non ancora occupati, può prendere cibi caldi”. Sul campo la disciplina è spontanea perché se non la rispetti, metti a rischio non solo la tua vita ma anche quella degli altri. Siamo molto sincronizzati”.

In questa guerra, l’Ucraina sta pagando un prezzo di vite umane altissimo. Nel suo battaglione, il militare ha visto morire 2 ragazzi. Nel battaglione dove era prima, altri 2. Tra i suoi amici che sono andati al fronte sono almeno 15 le persone che non rispondono più al telefono e di cui non ha notizie. Di fronte a questo costo di vite umane, i piani di pace decisi a tavolino dai grandi della terra si accartocciano. “Non voglio neanche parlarne”, dice scuotendo la testa. “So solo che stanno morendo persone”. E rivolgendosi all’Europa dice: “siete un popolo che non conosce questo orrore. Vi auguro solo che non capiti a voi quello che è capitato a noi”.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *