DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.
Siamo in tempo di Carnevale, un tempo in cui tutti abbiamo provato o proviamo a giocare con le maschere. Un tempo che rende lecito far finta di essere qualcun altro giocando con i travestimenti.
Un tempo in cui, per usare un termine che nella Parola di oggi utilizza anche Gesù, diventiamo tutti “ipocriti”, nel significato letterale del termine greco, cioè attori, simulatori.
Tutto questo è un bel gioco, è un divertimento momentaneo. Ed è buono!
Invece, come ci dice il Vangelo, Gesù non ama quando ci mascheriamo nella vita in modo stabile, Lui ama che l’uomo sia vero nella sua vita di fede e nella sua vita di amore. Ascoltiamolo…
«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello».
Quello che ci chiede Gesù è toglierci di dosso ogni senso di disprezzo, di superiorità, di prevenzione; accertarci, invece, che a muoverci non siano l’ira e il risentimento, ma il desiderio del bene del fratello Ipocriti ci chiama Gesù quando ci nascondiamo la realtà di noi stessi soffocando le nostre relazioni con l’unico obiettivo della nostra realizzazione personale, con la proiezione sull’altro dei nostri bisogni, con l’abbassare l’altro annullando le sue potenzialità.
«L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
Come l’albero non produce frutti a caso, ma determinati dalla specie, dall’ambiente, dalla coltivazione, così l’uomo: il suo impatto sul fratello e sulla comunità non è casuale, estraneo alla sua responsabilità, ma deriva dal tesoro del suo cuore. Ognuno è responsabile di ciò che lascia entrare dentro di sé e di come coltiva se stesso, di come gestisce il proprio mondo interiore. E l’uomo buono è colui che, innanzitutto, accoglie la relazione con Cristo, entra in intimità con Lui e vive, di conseguenza, la sua legge, la comunione fraterna.
«Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore»: scrive così l’autore del Libro del Siracide, a cui fa eco Gesù nel Vangelo: «…la [sua] bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».
Cosa sovrabbonda nel nostro cuore? E, di conseguenza, quale parola sovrabbonda sulla nostra bocca? La nostra parola, quali pensieri del cuore rivela?
Nel cuore possono affollarsi istinti, emozioni, presunzione di sé, arroganza, sete di potere, avere, autoreferenzialità…e, quindi, la bocca tirerà fuori solo parole di morte, di divisione, di prevaricazione, i nostri frutti saranno solo cattivi.
«Rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore»: è l’invito di Paolo, nella seconda lettura, ad avere come fermo riferimento proprio questo Gesù Cristo.
E’ l’invito del salmista a rimanere «piantati nella casa del Signore», radicati e stabili nella sua parola, affinché possiamo crescere «come cedro del Libano», cioè forti, saldi, possiamo portare frutti buoni, essere «verdi e rigogliosi», possiamo dare cibo e dissetare, possiamo far sgorgare dal nostro cuore, per questo nostro mondo ancora in guerra, parole di vita per la vita di chiunque!
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