(Foto ANSA/SIR)

Giovanna Pasqualin Traversa

Può capitare a chiunque di essere vittima di bullismo, prese in giro, rifiuto e ridicolizzazione ma, rispetto ai colleghi neurotipici, è certamente più probabile per un lavoratore con un disturbo dello spettro autistico. In particolare per chi soffre della sindrome di Asperger, che non si associa a disabilità intellettiva o a ritardo del linguaggio, ma comporta difficoltà nelle abilità sociali e comunicative. Una condizione che lega figure come Elon Musk, Greta Thunberg, Susanna Tamaro e, in passato, Mozart e Newton, e sulla quale il 18 febbraio accende i riflettori la Giornata internazionale della sindrome di Asperger, che prende il nome dal pediatra austriaco Hans Asperger che agli inizi degli anni ‘40 diagnosticò questa condizione inserita nel nuovo Dsm 5 all’interno del disturbo dello spettro autistico.

“Le conseguenze psicologiche” degli episodi di bullismo possono costituire in queste persone “un importante fattore di aumento di stress e di sentimenti di depressione e ansia al lavoro”, spiegano Tony Attwood (psicologo clinico da oltre 40 anni, uno dei massimi esperti a livello internazionale di disturbi dello spettro autistico) e Michelle Garnett (psicologa clinica specializzata in autismo) nel loro nuovo libro “Autismo al lavoro – Un programma in sette fasi per riuscire meglio nel mondo del lavoro” (Edizioni Lswr). Un vero e proprio manuale di auto-aiuto grazie al quale il lettore che si ritrovi nello spettro dell’autismo – in particolare nella condizione di Asperger – imparerà a fronteggiare e gestire le difficoltà che potrà incontrare nell’ambiente di lavoro come stress, pensieri negativi e possibili episodi di bullismo, e capirà anche come sfruttare al meglio le proprie abilità e peculiarità.

Sette tipologie. Sono sette, spiegano gli autori, le tipologie di bullismo. Anzitutto verbale: commenti dispregiativi, osservazioni imbarazzanti, prese in giro riguardo alle proprie capacità o personalità; fisico: urti, spintoni, sottrazione di oggetti. Emotivo: scherzi e pettegolezzi malevoli. Ma il bullismo è anche intimidatorio con minacce e atti aggressivi; sessuale quando si viene toccati in parti del corpo considerate off limits; informatico quando vengono postate su Internet informazioni scorrette, dicerie o commenti insultanti. Esiste infine anche un bullismo “economico” quando la vittima viene costretta ad effettuare pagamenti o a prestare denaro sapendo che non verrà restituito.

“Chi compie atti di bullismo – spiegano gli autori – è spesso bravo a individuare gli argomenti su cui si è maggiormente vulnerabili e i punti deboli.

Di solito ad essere preso di mira è chi sta spesso solo e manca di fiducia in sé stesso, e di protezione da parte dei colleghi”.

Perché si commettono atti di bullismo? Per diventare il “capobranco” o l’“ape regina” tra i colleghi, sostengono Attwood e Garnett, ritenendo che “essere aggressivi sia un tratto di personalità positivo”; per “disprezzare chi è diverso o ha magari competenze lavorative superiori alle proprie”; per ottenere qualcosa dalla persona oggetto di bullismo o semplicemente per far divertire gli altri.

Strategie di difesa. Come, allora, difendersi? Il manuale indica alcune azioni ben precise: dopo un episodio registrare in dettaglio circostanze, partecipanti e sequenza degli eventi, comportamenti e commenti, oltre agli effetti su di sé e le proprie prestazioni al lavoro: “servono prove di quanto accaduto”. Quindi è importante “cercare i consigli, la verifica e la validazione della propria esperienza da parte di un collega di lavoro”, e avere l’opportunità di “tirare le somme” dal punto di vista emotivo “con una persona fidata, al lavoro o a casa”. I due esperti suggeriscono inoltre di mettere a punto una reazione assertiva e provarla con la persona fidata o il mentore, nel caso l’episodio dovesse ripetersi; creare “pensieri da usare durante e dopo l’episodio, per mantenersi calmi e contenere la propria reattività emotiva”;essere al corrente dei regolamenti e delle politiche aziendali rispetto a questo genere di episodi e sapere chi contattare nell’organizzazione per riportare queste azioni. Ignorare (se ci si riesce), “tentando però di non mostrarsi visibilmente stressati o arrabbiati”, e “chiedere in modo assertivo alla persona di smettere”, le due ultime indicazioni.

Entra a far parte della Community de L'Ancora (clicca qui) attraverso la quale potrai ricevere le notizie più importanti ed essere aggiornati, in tempo reale, sui prossimi appuntamenti che ti aspettano in Diocesi.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *