DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.
«Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte».
Beato!
Il salmo 1, che la liturgia, questa domenica ci propone, inizia con una parola che, sicuramente, si imprime in modo indelebile nella nostra mente come nel nostro cuore, una parola che esprime una realtà da tutti noi sognata e cercata: la felicità!
Ciascuno di noi aspira alla felicità, ognuno di noi vuole vivere felice…ma…cos’è che rende felice la vita?
Per la Scrittura questa felicità è molto semplice (che non significa facile!): è il camminare che conduce alla felicità, una strada che va percorsa passo dopo passo, un progredire. Infatti, la traduzione più corretta per il termine ebraico che noi indichiamo con “beati” è proprio “in cammino”, “un passo avanti”.
Felice, dunque, è chi dimora nel cammino, chi compie passi e trova vie che fanno avanzare se stesso e i suoi compagni di umanità verso una vita degna di questo nome.
Questa via della felicità richiede innanzitutto la responsabilità di dire un triplice “no”, lo abbiamo appena letto: non andare, non fermarsi, non sedersi.
Se infatti si comincia ad andare, cioè a seguire il cammino dei malvagi, ci dice il salmista, prima o poi si sarà tentati di fermarsi, cioè, indugiare con i peccatori, fino a dimorare, sedersi costantemente con gli arroganti. Camminare, fermarsi, sedersi con i malvagi, i peccatori, gli arroganti…una progressione in negativo.
Ma chi è il malvagio? È colui che, per un atteggiamento di fondo costitutivo, rifiuta di imboccare la strada di Dio. Ma, facciamo attenzione: il malvagio, l’arrogante non sono personaggi altri da noi, sui quale scaricare ogni responsabilità. No, è l’inclinazione al male che abita ciascuno di noi, in quanto esseri umani, limitati, terreni.
Allora basta astenersi dalla via dei malvagi? No, occorre camminare, percorrere quella opposta; non basta, cioè, non fare il male, occorre rivestirsi della responsabilità di fare il bene. Una responsabilità che ci chiede di mettere tutto il nostro desiderio, tutta la nostra gioia, tutto il nostro impegno nell’accogliere la Parola del Signore, quella che ogni giorno ci viene donata, meditandola ripetutamente con amore, nel cuore.
Il “beato”, ci dice il profeta Geremia nella prima lettura, «…è come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, e non smette di produrre frutti».
Un albero che stende le radici verso l’acqua, un albero che sa che, da solo, non può vivere…e si allunga ad afferrare la Vita!
Per questo Gesù, nel Vangelo, proclama beati i poveri, coloro che hanno fame, coloro che hanno sete.
Attenzione: Gesù non fa l’elogio della povertà, non dice quanto è bello avere fame o avere sete…non dice alla folla che ha davanti “beati voi perché vi manca qualcosa”.
Beati voi poveri, voi affamati, voi assetati, cioè, beati tutti voi che non confidate in voi stessi, che non vi appoggiate a false sicurezze ma vi appoggiate in Dio…come l’albero di cui ci parlava Geremia, vi allungate verso Dio e la sua Parola per appoggiarvi in Lui.
«Rallegratevi […] ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo».
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