PROVINCIA – Sappiamo che la formazione dell’identità nei ragazzi è un processo complesso che coinvolge fattori psicologici, sociali e culturali. Grazie alla psicologia conosciamo gli stadi evolutivi e in particolare quello dell’adolescenza. Durante questa fase, i giovani esplorano diverse identità e cercano di definire la propria. Attraverso momenti di riflessione e introspezione, analizzano se stessi, i propri valori e le proprie esperienze.
Le relazioni sociali con i coetanei, la famiglia e altre figure significative sono di fondamentale importanza. I ragazzi apprendono attraverso l’osservazione, l’imitazione e il dialogo, integrando le influenze sociali nella costruzione della propria identità. Le esperienze di vita giocano un ruolo cruciale in questo processo.
Se queste sono le condizioni per uno sviluppo positivo dei ragazzi in generale, è ancora più importante interrogarsi sullo sviluppo dei ragazzi immigrati, che si trovano a crescere in un contesto socio-culturale differente da quello d’origine.
Quali sono i loro modelli di riferimento? Quelli dei genitori e della società di nascita, oppure quelli della società di arrivo e dei coetanei? Se la società accogliente è ostile, quali conseguenze può avere questo atteggiamento sul loro sviluppo?
Premesso che la formazione dell’identità è un processo dinamico influenzato da fattori interni ed esterni, l’interazione tra cultura di origine e cultura ospitante può generare confusione. Seguire l’identità culturale della famiglia può avere molti benefici per un ragazzo immigrato: offre un senso di continuità e stabilità, contribuendo a radicare il giovane e a dargli un’identità ben definita. Inoltre, l’identità culturale familiare trasmette valori, tradizioni e usanze che arricchiscono la vita del ragazzo e, attraverso di lui, il tessuto sociale della nuova comunità.
Tuttavia, un’adesione troppo rigida all’identità culturale familiare può comportare alcuni rischi, come l’isolamento sociale. Se la cultura familiare è molto diversa da quella del paese ospitante o percepita come incompatibile, il ragazzo potrebbe sentirsi escluso dai suoi coetanei. Inoltre, potrebbero insorgere conflitti interni legati al bilanciamento di due culture diverse. Mantenere una forte identità culturale può anche esporre il giovane a discriminazioni o pregiudizi da parte della società ospitante.
La società ha il dovere di fornire una risposta positiva a questo processo di integrazione e sviluppo dei ragazzi immigrati. A questo proposito, è utile porsi alcune domande:
Cosa affermano gli studi più recenti sull’identità dei ragazzi immigrati che non vengono accolti positivamente dalla società?
Enzo Colombo, nel suo libro “Figli di migranti in Italia. Identificazioni, relazioni, pratiche” (Torino, UTET, 2010), evidenzia diversi aspetti critici legati alla discriminazione e all’esclusione sociale. Questi giovani spesso vivono una condizione di “doppia identità”: da un lato si sentono parte della comunità italiana, ma dall’altro affrontano pregiudizi e stereotipi che li disorientano.
La discriminazione e il pregiudizio, sia in ambito educativo che sociale, influiscono negativamente sulla loro autostima e sul loro sviluppo personale. Insulti razzisti, bullismo ed esclusione sociale sono fenomeni comuni che incidono profondamente sulla loro percezione di sé.
Quali soluzioni concrete possiamo adottare per aiutare questi ragazzi a sviluppare la propria identità?
Le scuole possono promuovere un ambiente inclusivo che valorizzi la diversità culturale attraverso attività ed eventi. È importante offrire programmi di supporto linguistico per migliorare la padronanza della lingua del paese ospitante, senza trascurare le lingue madri, altrettanto valide e ricche di significato.
Insegnare agli studenti l’importanza del multiculturalismo e incoraggiare il rispetto e la comprensione reciproci tra studenti di diverse origini è fondamentale. Un altro elemento cruciale per l’integrazione è il riconoscimento giuridico: avere uno status legale stabile è essenziale per sentirsi parte della comunità e responsabili del proprio futuro.
Uno straniero senza permesso di soggiorno non può accedere al lavoro, ai servizi e all’istruzione, strumenti necessari per una reale integrazione. Il figlio di immigrati nato in Italia, ma che fino ai 18 anni possiede un passaporto straniero, costruirà con difficoltà il suo senso di appartenenza alla nuova società. Rischia di sviluppare un’identità da “straniero permanente”, senza mai sentirsi parte integrante di nessuna comunità.
Dovremmo concentrarci di più sugli immigrati già residenti nei nostri territori, anziché focalizzarci esclusivamente sui nuovi arrivi. Quali piani strutturati di integrazione abbiamo mai attuato? È chiaro che gli immigrati non possono integrarsi da soli: sono stati forniti loro gli strumenti necessari? In alcuni casi sì, ma la discontinuità di queste iniziative ha creato grandi difficoltà a molte persone per bene, lasciandole per anni senza un reale supporto sul territorio.
Quante volte abbiamo provato a creare progetti mirati per coinvolgere comunità chiuse, come quella cinese, nelle attività locali? O ci limitiamo a perpetuare il luogo comune secondo cui “sono chiusi”, senza chiederci il motivo? Abbiamo mai incentivato la partecipazione degli immigrati residenti alla cittadinanza attiva?
Mi è capitato di sentire qualcuno dire: “Perché parla, se non è nemmeno della nostra città?”. Ho ricevuto la solidarietà di alcuni cittadini consapevoli, ma nessun supporto da parte delle autorità locali. Questo atteggiamento va scoraggiato, poiché è dannoso e controproducente.
Tutti dobbiamo sentirci responsabili della costruzione della nostra società.
I giovani immigrati crescono in un clima spesso difficile e il loro sviluppo identitario non sempre è positivo. Tuttavia, con il giusto supporto e gli strumenti adeguati, possono sviluppare una propria identità culturale e diventare cittadini attivi. Potrebbero essere proprio loro a portare nuove soluzioni in ambito economico, sociale e culturale.
Provare per credere!
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