DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse, del Monastero Santa Speranza.

La pagina di Vangelo che la liturgia, questa domenica, ci propone, termina con queste parole: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».

Il primo dei segni, dei fatti, dei gesti simbolici che ci fanno conoscere Dio presente in Gesù e il progetto di Gesù, è un matrimonio; una festa umana di amore e di gioia, un contesto semplice e spontaneo in cui Gesù si rivela.

Non è un caso ma la testimonianza che il Dio di Gesù si rivela innanzitutto nell’amore umano e nella gioia che festeggia questo amore. Ma partiamo dall’inizio…

«In quel tempo vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”».

Il vino è l’elemento centrale della festa, è il simbolo della vita, l’energia, l’entusiasmo, la passione, la creatività, quell’amore che porta avanti la vita sostenendola dall’interno.

Il vino che viene a mancare è esperienza quotidiana di tutti e di ciascuno: viene a mancare ciò che dà qualità alla vita, che dà sapore e calore alle cose.

Come uscirne? Come far fronte alla mancanza di vino?

Due sono le condizioni.

«Qualsiasi cosa vi dica, fatela»: è l’invito di Maria ai servitori presenti al banchetto. Fate il suo Vangelo, fate la sua Parola, dice Maria anche a ciascuno di noi, rendete la sua Parola gesto e corpo nella vostra vita. Tutto il suo Vangelo: ogni consiglio, ogni comando, ogni parola, ogni esortazione, ogni rischio. In qualunque modo vi parla la Parola, ascoltatela, apritele l’orecchio e il cuore!

Sono le uniche parole che Maria pronuncia nel Vangelo di Giovanni, parole che nascono dalla sua esperienza di donna che, nella vita, si è posta in ascolto, ha aperto l’orecchio e si è fidata di una Parola, ha affidato la sua esistenza a quel Dio che le ha promesso di rendere feconda la sua vita! Promessa che è stata realizzata.

La seconda condizione: «Gesù disse: “Riempite d’acqua le anfore”». Si trattava di sei anfore di pietra che i Giudei usavano per la purificazione rituale, anfore contenenti ciascuna dagli ottanta ai centoventi litri.

«Riempite d’acqua le anfore»: tutto chiaro per quei servitori anche se poteva sembrar loro strana cosa supplire alla mancanza di vino con dell’acqua. Ma per noi? Cosa significa l’invito di Gesù?

Significa riempire la nostra esistenza della cosa più semplice e banale: acqua, ovvero quotidianità di vita, una vita fatta di cose semplici e talvolta di una banalità impressionante…come banale è l’acqua…ma preziosissima allo stesso tempo.

Riempire la nostra esistenza di quotidiano, quotidianità di azioni, di relazioni…e presentare tutto al Signore affinché la trasformi in vino, cioè in qualcosa di vivo, di grande, di ricco, di unico.

A Cana si incontrano la nostra storia ferita e il suo amore misericordioso, la nostra povertà e la sua ricchezza infinita, la nostra piccolezza e il suo abbraccio vivificante. E da tutto ciò scaturisce il vino che dà gioia, che fa festa, che ci ridà dignità, ogni giorno.

Ascoltiamo le bellissime parole del profeta Isaia nella prima lettura, parole che descrivono appassionatamente questo incontro: «Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo».

Dio parte dall’acqua che è la nostra vita, dall’acqua che è la nostra umanità, umanità che spesso mal tolleriamo e accettiamo, per trasformarla in vino, in vita aperta alla salvezza, alla pienezza, all’amore.

«Annunciate a tutti i popoli le meraviglie del Signore», canta il salmista.

Facciamo nostro questo invito per raccontare al mondo di un Dio che gode della gioia degli uomini e se ne prende cura.

 

 

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