LORETO – «Il vero tema di questo convegno è la Chiesa e la sua capacità di rinnovarsi per fare pastorale giovanile oggi. L’indagine sui giovani e la fede, sui giovani e la spiritualità, realizzata dall’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica, infatti, apre a delle prospettive estremamente interessanti.
Ci rivela, prima di tutto, che i ragazzi, sia quelli della comunità cristiana sia quelli che abbandonano la pratica religiosa, hanno un profondo desiderio di spiritualità e non sono distaccati dalla fede; al contrario, sentono il bisogno di un cammino di ricerca a partire da domande profonde della vita. Questo è meraviglioso!
L’inchiesta poi ci mostra che, attraverso questo cammino di spiritualità, un cammino libero e aperto, i ragazzi possono approdare, in maniera autentica e vera, all’incontro con Dio. Non è scontato. Non è sempre così. Eppure questo è l’unico modo con il quale i ragazzi oggi possono incontrare il volto di Dio. O forse, se vogliamo esprimere il concetto con termini più propriamente di fede, è così che Dio li incontra.
Infine l’indagine attesta che, sebbene i giovani spesso siano confusi e disorientati, i loro cammini di ricerca sono particolarmente autentici e caratterizzati da una grande sete. Per tale ragione, in questi cammini sentono il bisogno di essere accompagnati da adulti di riferimento che si mettano al loro fianco. Quindi, mentre il mondo adulto è sempre più in crisi, sempre più incapace di esprimere figure genitoriali valide, al contrario i giovani reclamano davvero una presenza adulta che possa aiutarli a navigare dentro la propria interiorità e possa accompagnarli nel mondo delle relazioni. Questo è un compito non facile, non banale, ma assolutamente entusiasmante. È una grande sfida per la Chiesa!».
È con queste parole, cariche di entusiasmo e speranza, che l’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicepresidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e vescovo delle due Diocesi del Piceno, ha commentato l’evento “Dio, dove sei? – Giovani: fede e spiritualità – Dalla strada all’oratorio, dall’oratorio alla chiesa, dalla chiesa … alla strada!“, che si è svolto al Santuario di Loreto nei giorni 8, 9 e 10 Novembre 2024 e che ha registrato la partecipazione come relatori di Paola Bignardi, pedagogista e pubblicista, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana e coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, don Ivo Seghedoni, presbitero della Diocesi di Modena, docente e pedagogista, specializzato in Pastorale Giovanile e Catechetica, e Cecilia Cremonesi, incaricata per la Pastorale Giovanile nella Diocesi di Trento, che ha collaborato alla ricerca.
La tre giorni di preghiera, ascolto, confronto e discernimento, è stata organizzata dalla Equipe di Pastorale Giovanile Marche, dal Forum Oratori Marche, dalla Fondazione “Vaticano II” e dalle Diocesi marchigiane. Oltre a mons. Gianpiero Palmeri, erano presenti anche mons. Fabio Dal Cin, Delegato Pontificio per il Santuario della Santa Casa di Loreto, e mons. Sandro Salvucci, arcivescovo dell’Arcidiocesi di Urbino – Urbania – Sant’Angelo in Vado e responsabile della Pastorale Giovanile Marche.
Presenti altresì, numerosi rappresentanti delle nostre Diocesi: alcuni giovani delle Equipes Diocesane di Pastorale Giovanile, accompagnati dai direttori dei due relativi Uffici, don Matteo Calvaresi e don Luca Censori; numerosi docenti di Religione Cattolica che insegnano nelle Scuole di ogni ordine e grado, dall’Infanzia fino alla Secondaria di Secondo Grado, a partire dalla prof.ssa Giuseppina Mozzoni, direttrice del Servizio IRC per la Diocesi Truentina; alcuni laici ed alcune religiose impegnati nelle parrocchie come catechisti o animatori dei Gruppi per Giovani.
Riviviamo le tre giornate attraverso il racconto di chi ha preso parte ai lavori.
In ascolto dei giovani
Venerdì 8 Novembre 2024
La serata di Venerdì 8 Novembre è stata caratterizzata dall’accoglienza e dall’ascolto.
«“Non un convegno in cui degli adulti spiegano qualcosa ai giovani, bensì un viaggio da affrontare insieme”. È così che don Ivo Seghedoni ci ha introdotto a questo intenso fine settimana. Chi di noi aveva pensato di andare al solito congresso, quindi di stare seduto e comodo a prendere appunti, ha capito fin dall’inizio di aver sbagliato previsioni!» – racconta Marisa Cameli, della Diocesi di Ascoli Piceno, docente di Religione.
«Il primo passo di questo bel viaggio – prosegue la prof.ssa Cameli – è stato mettersi in ascolto. Venerdì sera, infatti, a quattro giovani sono state rivolte, dal vivo, le domande fatte ai ragazzi che sono stati intervistati per l’indagine dell’Istituto Toniolo: Dio, che cosa vuole da te? Qual è il senso della vita? Perché sei al mondo? Ti è capitato di essere stato attratto da altre religioni? Mi indichi tre aggettivi per definire la Chiesa? Cosa deve fare la Chiesa per adattarsi all’oggi? Cosa chiederesti al Papa per migliorare la Chiesa? Cos’è la spiritualità per te?
Il secondo passo è stato riflettere insieme su quanto emerso dalle quattro interviste. La dott.ssa Cecilia Cremonesi, che ha collaborato alla ricerca, ha sottolineato come pensare al mondo giovanile significhi prima di tutto fare spazio alle storie dei nostri giovani, ascoltarli in maniera autentica, liberandoci dal pregiudizio e dal giudizio. Questo implica numerose altre questioni. In primis il dove: non attendere che vengano da noi, bensì andare noi verso di loro, là dove essi stanno, percorrendo le strade che percorrono loro. Poi il quando: prendersi del tempo, sia noi che loro, per l’ascolto reciproco, non pochi minuti e di fretta, bensì un tempo di qualità che aiuti l’apertura del cuore. Infine anche il come: avere la postura dell’ascolto, prendere i problemi sul serio, far capire che ciò che l’altro dice, per me, è importante e quindi presto attenzione. In tutto questo processo la gratuità è il presupposto fondamentale e la gratitudine non è scontata.
Il terzo passo del cammino, infine, è stato il confronto con la Parola, che è stato rimandato al giorno successivo. Ma aspettare è valsa la pena! Domenica mattina, infatti, abbiamo ricevuto la grazia di ascoltare una lectio divina bellissima tenuta da Suor Sara Giorgi, una clarissa del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto, che ha spiegato e commentato il celebre brano del vangelo di Luca, conosciuto come la pesca miracolosa (Lc 5, 1-11). Suor Sara ci ha fatto notare come, dopo la pesca infruttuosa di Pietro, prendere il largo significhi rimettersi in gioco, superare le esperienze di fragilità o di fallimento, fidarsi di Dio, gettare le reti sulla Sua parola ed essere capaci di affrontare anche le avversità della vita, perché il Signore dona grazia in abbondanza a tutti. Le sue parole, cariche di speranza, mi hanno dato coraggio e mi hanno fatto riflettere sul fatto che siamo chiamati a prendere il largo anche nei confronti dei giovani, a metterci prima in ascolto e poi in discussione, a ripensare metodi e forme, linguaggio e luoghi. E questo vale anche per me come docente. Come la pesca di Pietro, così anche questo viaggio è stato per me molto fruttuoso».
Quale profezia stanno esercitando i giovani?
Sabato 9 Novembre 2024
La giornata di Sabato 9 Novembre ha registrato l’attesissima partecipazione di Paola Bignardi, la quale, durante la mattina, ha svelato i dati emersi dall’indagine da lei curata e promossa dall’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, la Facoltà Teologica del Triveneto, la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale Sez. San Tommaso d’Aquino di Napoli e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” delle Diocesi di Rimini e di San Marino – Montefeltro. Nel pomeriggio, invece, si è dato spazio a laboratori di riflessioni su quanto emerso dall’indagine. Molto ampia e sentita la partecipazione ad entrambi i momenti.
Metamorfosi del credere
Bignardi ha spiegato che l’inchiesta ha coinvolto un campione nazionale di 101 giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni: «Ai giovani è stato chiesto di raccontare la propria storia personale, la storia religiosa, la propria idea di spiritualità, il pensiero sulla Chiesa, la posizione rispetto alla fede. In particolare ai giovani che sono usciti dal contesto ecclesiale, è stato chiesto: “Perché vi siete allontanati dalla Chiesa?”. Al contrario, a coloro che sono attualmente impegnati nel contesto ecclesiale, è stata rivolta la domanda: “Perché voi siete rimasti?”.
Le risposte degli intervistati lasciano intravedere un mondo giovanile sorprendente: l’abbandono della pratica religiosa e della comunità cristiana non significa necessariamente distacco dalla fede, così come l’essere rimasti non esprime piena adesione a tutto ciò che la Chiesa pensa e propone. Negli uni e negli altri vi è una ricerca, quasi sempre inquieta e sofferta, di una fede personale che esprime anche l’aspirazione a una vita bella e buona, e la ricerca di una spiritualità autentica, che abbia le proprie radici nella profondità della coscienza».
Le riflessioni della coordinatrice dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo hanno suscitato numerose domande tra il pubblico presente: dalla constatazione che una fede immobile non possa e esistere in una realtà in cambiamento alla spiegazione di una fede vissuta più in forma più personale che comunitaria; dai temi della morte, del male e dell’incertezza del futuro, sui quali i ragazzi si interrogano, alla speranza di vedere il futuro come una promessa, anziché come una minaccia; da come aumentare il femminile nella Chiesa a come divulgare uno stile nuovo, un nuovo modo di relazionarsi con le persone e in particolare con i giovani.
In risposta agli interrogativi posti dai presenti, dopo averli analizzati uno per uno attentamente, Bignardi ha concluso: «Spesso le nostre comunità sono troppo distaccate dalla vita reale. È come se il mondo si chiudesse, come se la Chiesa si ripiegasse su se stessa. Questo stacca la luce, taglia il contatto con la vita reale. I ragazzi invece si interrogano e hanno bisogno di parlare, di essere ascoltati e di essere condotti a riflessioni profonde. Per fare questo dobbiamo uscire e andare loro incontro. I giovani che se ne sono andati, infatti, non hanno più luoghi in cui portare le questioni di senso: la famiglia non è sempre un luogo in cui i ragazzi si sentono ascoltati; con gli amici certi discorsi non si affrontano ed in ogni caso il punto di vista è lo stesso; anche la scuola spesso, purtroppo, non riesce ad essere luogo di ascolto e di riflessione. A volte i ragazzi vengono per il Grest estivo, che è una bellissima esperienza, ma che diventa un bel ricordo dell’adolescenza, non un cammino di fede. Capita spesso che abbiamo un eccesso di attenzione sulle cose da fare, ma poca attenzione verso i giovani.
Oltre a ripensare le nostre impostazioni pastorali, siamo chiamati a restituire importanza al rapporto con la persona. Quando uno va via, gli chiediamo perché? Il luogo in cui si tirano le somme, non è nel gruppo, bensì è a livello personale, nel dialogo ad uno ad uno. I giovani hanno bisogno di sentirsi visti. Ripenso alla storia di Zaccheo, il quale ha cambiato vita dopo che Gesù è andato a casa sua, Non prima! È il nostro farci vicino all’altro, il presupposto che determina una conversione. Non il contrario!
E poi dobbiamo fare attenzione anche allo stile, ai modi. Non avviciniamoci ai ragazzi con l’obiettivo farli tornare da noi, magari trascinandoli. Non c’è bisogno di fare nulla per attrarre, basta solo mostrare la bellezza di una umanità che ha incontrato il Vangelo. Mi affascina molto una spiritualità dell’umano, che è universale. Ci sono situazioni in cui Gesù, dopo una conversione, dice “Vai!” e non “Vieni con me!”, cioè “Torna alla tua vita, ma da convertito!”. Dobbiamo ricordarci che solo nella libertà si educa, quindi siamo chiamati ad avvicinarci ai giovani non con l’idea di come farli ritornare in chiesa (n.d.r. edificio religioso) o farli nella Chiesa (n.d.r. comunità ecclesiale), bensì con l’idea di capire cosa ci chiedono, come ci chiedono di convertirci per far respirare l’aria del Vangelo. Nelle ragioni dei giovani ci sono delle provocazioni che non significano che noi sbagliamo e loro no, ma che siamo chiamati a cercare insieme le risposte ad alcune domande che in questo momento per i giovani – e forse anche per noi – sono prioritarie.
Non è quindi il momento di dare risposte certe, ma di tenere ferme le domande. Le domande in questo momento necessitano di una reinterpretazione culturale delle Verità, non di una reinterpretazione dogmatica o teologica. A noi questo spaventa, perché si stanno staccando delle croste intorno a noi e questo ci disorienta e ci confonde, ma in realtà sta germogliando qualcosa di nuovo. Allora siamo chiamati a fare un esercizio di speranza cristiana, ovvero ad avere l’atteggiamento di chi guarda con attenzione anche gli aspetti negativi, ma intravvedendo i nuovi germogli di vita che già stanno crescendo».
La profezia della Chiesa, sia marchigiana sia universale
Dall’ascolto di questa giornata possiamo leggere un sogno? C’è una profezia nel mondo giovanile? Quale? Sulla base di queste domande, nel pomeriggio di Sabato 9 Novembre, i presenti all’incontro si sono divisi in gruppi per riflettere su quanto emerso dall’inchiesta in merito ai temi centrali della spiritualità, della fede, dell’umano e della Chiesa.
Dopo aver ascoltato attentamente le relazioni di ciascun gruppo sul lavoro eseguito durante i laboratori, Bignardi ha riassunto così la profezia della Chiesa marchigiana: «La profezia è parola per scuotere, non per accarezzare. Il termine “grido”, usato da qualcuno di voi, mi pare possa interpretare al meglio la parola dei giovani emersa dalla nostra indagine. Una parola che non riguarda i giovani, ma che riguarda la Chiesa e i suoi aspetti non sempre positivi. La parola dei giovani, allora, deve essere vista come provocazione alla Chiesa per rivedersi, per aggiornarsi, per mettersi in dialogo con il mondo che viviamo. Una parola che sia una provocazione per una reinterpretazione del cristianesimo, del nostro modo di vedere il cristianesimo, che poi altro non è se non quello ci è stato proposto dal Concilio. Non so se abbiamo perso sessant’anni, ma l’anno del Giubileo è l’anno in cui tutto può ricominciare! Proviamo a farlo.
I giovani ci hanno detto che il modello formativo, che ha dato loro impronta, è datato, sorpassato e non risponde più ai giovani di oggi. Qual è il modello formativo nuovo da adottare? Siamo nella fase di passaggio, nella terra di mezzo e siamo chiamati a superare questo limbo. Siamo alla ricerca e la risposta che si sta dando la vostra Chiesa marchigiana, in base agli interventi fatti, è che la profezia di fondo è la dimensione ecclesiale. Una profezia non monocorde, bensì declinata su più punti».
Queste le caratteristiche essenziali che la comunità ecclesiale dovrebbe avere nel futuro, secondo quanto emerso dai laboratori.
Una Chiesa fatta di ascolto, una parola che purtroppo spesso non ha una grande cittadinanza. Quello richiesto è un ascolto circolare, in cui tutti si ascoltano; un ascolto gratuito, non per convertire, ma per convertirci noi.
Una Chiesa caratterizzata dall’accoglienza, un aspetto apparentemente scontato, ma che non lo è. Quella richiesta è un’accoglienza vera, che non giudica. Il giudizio, infatti, è la prima forma di allontanamento. Non guardiamo come si presenti un giovane, come si vesta, come parli. Non guardiamo un singolo comportamento, non giudichiamo il modo di essere giovane di oggi, anche perché abbiamo gli occhi di chi è stato giovane in un’altra generazione. Un’accoglienza che riguarda i comportamenti, ma anche una visione morale, soprattutto su alcuni temi, come in particolare quello dell’omosessualità.
Una Chiesa in cui la relazione sia l’elemento strutturante della comunità cristiana e quindi anche dell’azione educativa. Una relazione che sia di fiducia e di sostegno.
Una Chiesa in cui la credibilità sia una caratteristica sia del singolo sia delle comunità nella loro interezza. I giovani hanno bisogno di autenticità da parte di chi vuole essere un punto di riferimento.
Una Chiesa pronta a cambiare stili, modalità di relazione, tipo di proposta, sapendo scegliere l’essenziale. Il cambiamento, infatti, è solo un’operazione di restyling, come si fa con il restauro di un’opera d’arte, in cui si esegue un’operazione tecnica per reintegrare i particolari compromessi o deteriorati di un’opera d’arte ed assicurarne la conservazione. In altre parole il cambiamento è inevitabile, ma il capolavoro resta sempre Gesù.
Una Chiesa che si avvicina all’altro con la giusta motivazione, che è quella di proporre e non imporre, perché i giovani hanno bisogno di essere riconosciuti nella loro libertà. In questo senso è importante anche imparare ad usare un nuovo linguaggio, perché creare un linguaggio nuovo significa creare una cultura nuova.
Una Chiesa che sappia proporre e vivere insieme esperienze concrete, valide e significative. I giovani hanno bisogno, infatti, di sperimentare la vita cristiana, non di sentirsela raccontare.
«Se questa è la profezia dei giovani rispetto alla Chiesa – ha concluso Bignardi –, certamente ci si deve occupare dei giovani, ma bisogna agire anche su tutta la comunità e provocare nella comunità quei cambiamenti nei luoghi in cui questa profezia deve essere accolta. Penso che non solo, ma anche e forse soprattutto, la Pastorale Giovanile debba studiare i cambiamenti antropologici in atto. Penso anche alla scuola, un luogo in cui non si può fare catechismo, ma si può fare educazione. I docenti di religione sono chiamati ad accompagnare l’azione dello Spirito e a diventare punti di riferimento per i loro studenti, per i quali spesso essi rappresentano l’ultima opportunità educativa. Penso poi a delle belle esperienze laiche di formazione in cui si discute di questioni di senso.
Mi piace riassumere quello che abbiamo detto con l’immagine di una vignetta di don Luca Palazzi. La sintesi è nel Titanic. Da che parte stiamo? Sulla grande ed imponente imbarcazione del Titanic che sappiamo bene che fine farà? O sulla piccola e modesta zattera, sospinta solo dal vento? Forse abbiamo bisogno di un naufragio generativo. Non sta finendo il Cristianesimo, ma sta finendo un modo di fare Cristianesimo. Siamo chiamati, dunque, ad un grande cambiamento di cui non vedremo i risultati, perché i tempi sono lunghi. Però, guardando la vignetta, mi pare di vedere bene dove sia Gesù!».
Benedetta Capriotti, catechista della parrocchia di San Filippo Neri di San Benedetto del Tronto, che si occupa di giovani, afferma: «Dell’inchiesta mi ha colpito il desiderio di ricerca autentico dei ragazzi intervistati, che rispettano l’argomento della fede, lo ritengono degno di riflessione e di maturazione e magari ne prendono le distanze nel momento in cui non ne apprezzano il significato o non si sentono pronti: piuttosto che fare una cosa tanto per farla, non la fanno; me, se la fanno, sono davvero convinti. Inoltre mi è piaciuto molto il monito, emerso da varie riflessioni, a metterci alla ricerca insieme ai giovani: solo così possiamo essere in sintonia con il loro sentire e quindi formulare delle proposte adeguate, che escano fuori dagli schemi organizzativi degli adulti, schemi spesso rigidi ed inadatti. Tutto questo è una grande sfida per noi cristiani, ma sono speranzosa nel fatto che il vento dello Spirito stia già agendo verso questa direzione: noi dobbiamo solo affidarci al Signore e lasciarci spingere verso il mare aperto con coraggio e fiducia».
Oscar Chiarini, della parrocchia San Pio V di Grottammare, docente della Scuola Secondaria di Secondo Grado, dichiara: «Sono stato veramente contento di aver partecipato a questo incontro, perché ci siamo approcciati ai giovani in maniera diversa: abbiamo provato ad ascoltare, anziché farci ascoltare. Quello che è venuto fuori da questa ricerca mi ha interrogato sia come persona sia come docente. È stato bello ascoltare la profondità con cui i giovani hanno parlato. Viene un po’ stravolta l’immagine di questi giovani che non hanno voglia di fare nulla, spensierati e superficiali; sono invece giovani che hanno domande profonde, che si interrogano e che hanno una bella spiritualità. Ritengo quanto emerso dalla ricerca molto attendibile, sia per lo spessore della relatrice e la serietà dell’Istituto Toniolo, sia per l’esperienza personale, in quanto, vivendo il mondo della Scuola come docente, percepisco la profonda solitudine con cui i giovani si devono confrontare, non trovando adulti di riferimento che li ascoltino. Mi è rimasta impressa la definizione di un giovane che ha detto: “Dio è la malinconia“. Per quanto riguarda invece la profezia di Chiesa, mi ha colpito molto il fatto che i giovani ci chiamano ad abbandonare le strutture, a lasciar perdere la Chiesa così come si è sempre pensata e fatta, a tornare a delle relazioni profonde, fatte di un ascolto autentico e paziente, lasciando fuori tutto ciò che non arriva più al cuore dell’uomo. I giovani in questo sono arrivati prima e ci sfidano ad un cambiamento forte».
Anche Cinzia Mignini, della parrocchia Sant’Emidio di Ascoli Piceno, docente della Scuola Secondaria di Primo Grado, avverte l’esigenza di un cambiamento forte: «I giovani ci stanno lanciando un grido di aiuto molto chiaro: chiedono di essere ascoltati e considerati per quello che sono veramente. Ci stanno dicendo che si allontano dalle parrocchie, perché si sentono giudicati, non perché non abbiano un desiderio di spiritualità. E questo non è un loro problema, bensì un problema di noi adulti. I giovani ci stanno chiedendo una credibilità maggiore, come persone, come adulti e come cristiani. Noi docenti, in questo momento, possiamo fare tanto, soprattutto per quanto riguarda l’ascolto».
Dello stesso avviso Annibale Marini, della parrocchia San Giacomo della Marca di Ascoli Piceno, docente della Scuola Secondaria di Secondo Grado: «I giovani ci chiedono una Chiesa che rimetta al centro una relazione autentica, capace di ascoltarli e di dare loro il giusto spazio per essere protagonisti. In modo particolare io, come docente, mi sento interpellato a ripensare il curricolo destinato agli studenti, basandolo non solo sui contenuti da trasmettere ai ragazzi, bensì ampliandolo con la creazione di appositi spazi di ascolto delle loro esperienze e delle loro idee, spazi che non siano più occasionali o estemporanei, come ora, bensì strutturati e previsti all’interno del programma, spazi che facciano loro comprendere che la Scuola non si accontenta più di trattarli come studenti da riempire di contenuti, bensì ambisce a dare loro uno spazio di ascolto e crescita come persone».
Quali sfide formative? Verso il profilo di una nuova pastorale giovanile
Domenica 10 Novembre 2024
L’ultimo giorno dell’evento è stato dedicato al futuro, a capire quali sfide attendono la Chiesa. Iacopo Sabini, un giovane della parrocchia San Gabriele dell’Addolorata di Villarosa di Martinsicuro, che è anche membro dell’Equipe di Pastorale Giovanile della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, racconta: «Nell’ultima giornata abbiamo raccolto il frutto del lavoro dei giorni precedenti. Dopo la preghiera, abbiamo meditato il celebre passo del Vangelo di Giovanni riguardante l’incontro di Gesù con Nicodemo (Gv. 3, 1-21) e abbiamo ricordato l’importanza di essere figli e figlie. Successivamente don Ivo Seghedoni ci ha spiegato meglio il titolo dato all’ultima giornata di lavori: verso il profilo di una nuova pastorale giovanile.
La parola “verso” significa che stiamo partendo, ma ci stiamo dirigendo verso una meta che ancora non conosciamo.
Anche la parola “profilo” ci suggerisce la stessa cosa: conosciamo il profilo, cioè le linee che delimitano la nuova pastorale giovanile, ma non i tratti particolari, perché il volto ci è ancora sconosciuto.
Infine la parola “nuova” ci fa capire che c’è qualcosa di inadeguato e ci invita a rispondere alle sfide presenti, a riconoscere il nuovo e ad agire con coraggio nella logica, però, del provvisorio».
Allora, come si fa?
«La risposta data – prosegue il giovane Iacopo Sabini – è che non si tratta di proporre adesso dei progetti. Le soluzioni non sono disponibili, perché siamo in cammino: si può ascoltare il grido dei giovani, stando loro più da vicino; si può essere attenti al grido dei giovani, che a volte è un grido sussurrato, altre volte un grido potente anche nelle attese, un grido che sempre presenta delle domande inquiete.
Sperimentiamo attualmente un cristianesimo che precipita nell’irrilevanza, dopo aver avuto troppa rilevanza nei secoli passati. Dio oggi è indecifrabile, per i giovani, per le culture esistenti. Qual è allora il vero volto di Dio? Non è classificabile, non si sa dove metterlo nella ricerca di senso, non è una parola significativa, non si possono riesumare risposte vecchie per domande nuove. La postura giusta, quindi, è quella di saper ascoltare, non quella di saper dire. Bisogna dubitare della nostra forma cristiana, ridefinire la forma del Vangelo. Ci vuole un’altra idea di missione, un’altra Chiesa, un’altra comprensione di Dio, una nuova comprensione di Dio. I ragazzi che hanno abbandonato e quelli che sono rimasti si pongono, infatti, le stesse domande. I giovani, tutti, chiedono un cambiamento della forma del rito, invocano un cambiamento dell’etica sull’essere uomini e donne, un cambiamento di stile.
In particolare mi hanno colpito le parole di don Ivo Seghedoni, il quale ha fatto delle proposte per un nuovo profilo di pastorale giovanile:
Brividi e non eventi sensazionali: i giovani non hanno bisogno dell’evento sensazionale, ma di racconti di vita, di incontri autentici.
Competenza e non autorità: la competenza cristiana è quella dell’ascolto e l’autorevolezza consiste nel mettersi al servizio attraverso il dialogo, la libertà e l’inventiva.
Ricerca e non trasmissione: siamo chiamati a smettere di usare modelli trasmissivi di contenuti, perché la fede non si trasmette attraverso i contenuti, bensì si comunica per irradiazione al limite. La fede è un viaggio e la spiritualità ne fa parte; senza spiritualità la fede muore».
Alla domanda “Cosa si può fare?” abbiamo fatto rispondere anche il nostro vescovo Gianpiero Palmieri, il quale ha detto: «A questa domanda rispondo che per la Chiesa questa è una grande occasione di svegliarsi ed interpretare questi mondi giovanili senza giudicarli, ma solo cercando di capirli. Solo così possono rivelare le enormi potenzialità che oggi ci sono in questa ricerca di spiritualità dei giovani, anche per l’annuncio cristiano. In tal senso vedo già quello che sta germogliando: ci sono, infatti, delle esperienze significative che possono diventare delle esperienze pilota.
Mi riferisco a Betania, un’esperienza di pastorale giovanile legata ad una coppia di professori di religione di Milano, che ho anche conosciuto, che viene fatta presso il Monastero Circestense di Pra ‘d Mill, in zona Saluzzo. Penso anche a Roma, a Michele, un consacrato focolarino che apre la propria casa ai giovani che vogliono essere accompagnati da lui: sono relazioni del tutto informali, spontanee, che nascono perché un giovane parla di Michele ad un altro giovane e l’esperienza prende vita. Michele non fa cose strane: ha una casa grande con un giardino, dove incontra continuamente ragazzi che vogliono costruire una relazione con un adulto significativo, capace di accompagnarli. Michele non gestisce gruppi, gestisce relazioni di accompagnamento e di accompagnamento spirituale. Penso infine anche a Luca e Druisanna che cercano a Roma, nei bassifondi della città, i ragazzi più problematici, difficili, che non fanno altro che azioni di ascolto attento ed empatico dei mondi di questi ragazzi e raccolgono così mille storie di ragazzi che ho conosciuto o accompagnato. Sono, queste tre a cui faccio riferimento, forme più informali, meno organizzate, non sono forme in cui ai ragazzi si chiede di fare esplicitamente un cammino di fede. Ovviamente facciamo bene a fare i gruppi giovanili, a fargli fare mille esperienze come abbiamo sempre fatto, ma nello stesso tempo dobbiamo cercare di far partire queste forme nuove di esperienze di accompagnamento che sembrano più ampie, più larghe, perché la spiritualità non è ampliamente connotata nel senso cristiano; esperienze che sono molto autentiche e vere, dove il cammino cristiano spirituale può toccare l’arte, la musica, la danza, può arrivare fino a Dio. Questo è il modo con cui oggi Dio cerca di entrare in contatto con questi ragazzi. Credo ci sia qualcosa che debba essere risvegliato e delle potenzialità che possano essere sviluppate. E molti germogli già ci sono».
Il volume che raccoglie gli esiti della ricerca sulla quale si è lavorato nei tre giorni a Loreto e le riflessioni che ne scaturiscono si intitola “Cerco, dunque credo?” (Vita e Pensiero), ed è scritto, oltre che da Paola Bignardi, anche da Rita Bichi, già professoressa ordinaria di Sociologia Generale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano).
0 commenti