Le conseguenze del maltempo che ha flagellato e sta flagellando in questi giorni il sud del Brasile, e in particolare lo Stato di Rio Grande do Sul, assumono le proporzioni del disastro epocale. Il bilancio dei morti, certamente ancora provvisorio, è salito a 79 persone, mentre altre 105 risultano disperse, come hanno dichiarato le autorità locali nella giornata di ieri.
I Comuni coinvolti, in zone dove è molto elevata la presenza di popolazione di origine italiana, sono 235; 115.844 persone sono state evacuate; molte hanno trovato accoglienza nelle abitazioni di familiari e amici, mentre 18.487 si trovano nei centri d’accoglienza che sono stati allestiti. Su una popolazione totale di 11 milioni di persone, nel Rio Grande do Sul risultano danneggiate un milione e 200mila abitazioni. Nella capitale, Porto Alegre, il fiume Guaíba, che dà vita al lago che circonda la città, il centro storico è stato inondato, e l’aeroporto internazionale resta chiuso.
“In questo momento, guardandoci intorno, vediamo morti, senzatetto, persone abbandonate, ponti caduti, strade bloccate, distruzione di case ed edifici. I nostri cuori sono turbati, ci chiediamo: cosa possiamo imparare da tutto questo? – ha riflettuto nel fine settimana, dom Leomar Antônio Brustolin, arcivescovo di Santa Maria e presidente della Regione Sud 3 della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile –. Non abbiamo risposte.

Anche il male fisico è un mistero. Saper contemplare il mistero senza fantasticare o razionalizzare è saggezza”. L’arcivescovo ha sottolineato che non saranno la morte, il lutto e le lacrime a definire l’ultima parola sulla vita. Né saranno la distruzione, le frane e le inondazioni a privarci della speranza. Siamo un popolo che sa in chi ha riposto la propria fede. L’acqua che disseta, pulisce ciò che è sporco, rinfresca il calore e bagna ciò che è secco sarà ancora una volta un segno di vita, di rinnovamento e di libertà”. Prosegue l’arcivescovo: “Sopravviveremo e troveremo le ragioni per ricostruire le nostre strade e le nostre case, le nostre vite e, in effetti, potremmo essere abbandonati, ma non isolati”.

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