foto SIR/Marco Calvarese

Oltre 56.000 persone poste in detenzione dopo la sconfitta territoriale del gruppo armato Stato islamico stanno subendo sistematiche violazioni dei diritti umani e muoiono in grandi numeri a causa delle condizioni inumane di detenzione nel nordest della Siria. È quanto ha denunciato oggi da Amnesty International in un nuovo rapporto, intitolato “Conseguenze. Ingiustizia, torture e morti in detenzione nel nordest della Siria”, che illustra come le autorità della regione autonoma siano responsabili della “massiccia violazione dei diritti umani di oltre 56.000 persone da loro trattenute: 11.500 uomini, 14.500 donne e 30.000 minorenni detenuti in almeno 27 centri di detenzione e nei due campi di Al-Hol e Roj. Le autorità autonome sono il principale partner del governo Usa e di altri membri della coalizione (29 Stati) che ha sconfitto lo Stato islamico. Gli Usa sono ampiamente coinvolti nel sistema detentivo. Amnesty parla di “detenzioni arbitrarie e a tempo indeterminato, molte delle quali in condizioni inumane, sottoposte a pestaggi, scariche elettriche e violenza di genere e obbligate a rimanere in posizioni dolorose. Altre migliaia di persone risultano vittime di sparizione forzata. Le donne sono state illegalmente separate dai loro figli. Tra le persone detenute ci sono anche vittime dello Stato islamico, tra cui decine, se non centinaia di yazidi, donne e ragazze vittime di matrimoni forzati e minorenni arruolati a forza”. “Le autorità autonome hanno commesso i crimini di guerra di tortura e trattamento crudele e probabilmente anche quello di uccisione”, ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “I minori, le donne e gli uomini che si trovano nei campi e nelle strutture detentive subiscono una crudeltà e una violenza scioccanti. Il governo statunitense ha avuto un ruolo centrale nella creazione e nel mantenimento di questo sistema detentivo, che ha prodotto centinaia di morti evitabili e ora deve avere un ruolo nel cambiarlo”, ha aggiunto. “Questo sistema viola i diritti umani di persone sospettate di affiliazione allo Stato islamico e non fornisce giustizia alle vittime e alle persone sopravvissute ai crimini dello Stato islamico”, ha spiegato Callamard.
Il Rapporto evidenzia che “tra le persone detenute ci sono siriani, iracheni e cittadini di altri 74 Stati. La maggior parte di loro è stata catturata nei primi mesi del 2019, durante la fase finale dei combattimenti con lo Stato islamico. Sono trattenute in due tipi di strutture: edifici chiusi, definiti ‘strutture detentive’, e campi all’aperto. Il sistema è diretto dalle Autorità autonome della regione del Nord e dell’Est della Siria, composte dalle Forze democratiche siriane (Fds), da altre forze di sicurezza a loro affiliate e dal braccio civile delle Fds, l’Amministrazione autonoma democratica del Nord e dell’Est della Siria”. Il dipartimento della Difesa ha fornito centinaia di milioni di dollari alle Fds e alle forze di sicurezza a loro affiliate. La coalizione guidata dagli Usa ha anche un ruolo importante nelle operazioni congiunte che terminano con la consegna alle Fds di persone arrestate e nei rimpatri di detenuti in Paesi terzi, tra i quali l’Iraq. “Le autorità autonome, il governo degli Usa e altri Stati membri della coalizione, così come le Nazioni Unite, devono lavorare tutti insieme e dare priorità a sviluppare urgentemente una strategia per far sì che questo sistema vergognoso rispetti il diritto internazionale e per identificare soluzioni per chiamare finalmente a rispondere del loro operato gli autori delle atrocità commesse dallo Stato islamico”, ha sottolineato Callamard che chiede “un rapido processo di valutazione per identificare le persone detenute che dovrebbero essere immediatamente scarcerate, soprattutto le vittime dei crimini dello Stato islamico e i gruppi a rischio; e nel frattempo assicurare la fine delle violazioni dei diritti umani e indagini indipendenti sulle torture le uccisioni”. I ricercatori di Amnesty International si sono recati nel nordest della Siria in tre occasioni, tra settembre 2022 e agosto 2023, per condurre interviste nei due campi e in dieci strutture detentive. L’organizzazione per i diritti umani ha intervistato anche 39 rappresentanti delle autorità autonome, 53 esponenti di organizzazioni non governative locali e internazionali e 25 rappresentanti delle Nazioni Unite.

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