Francesco Zanotti

“La Russia non è così forte come appare all’esterno”. Lo dice il vescovo ausiliare, monsignor Edward Kawa, in avvio di conversazione. L’abbiamo incontrato la scorsa settimana nell’episcopio di rito latino di Leopoli. La conversazione si concentra subito sulla guerra e i problemi da essa creata. Il presule, che è anche segretario della conferenza episcopale ucraina prova a scherzare: “Quando suona l’allarme i bambini della vicina scuola si rifugiano nei sotterranei, però si lamentano perché là non arriva la connessione del wifi”.
Il vescovo ringrazia per gli aiuti che sono arrivati da tutta Europa e anche per quelli partiti da Cesena, il motivo per cui si è creato il ponte tra Romagna e Ucraina. “Con la guerra ci siamo dimenticati i poveri – aggiunge -. Abbiamo spedito più di duemila camion di aiuti nell’est dell’Ucraina. Durante i primi mesi di guerra anche 15 camion al giorno. Adesso due o tre a settimana. Ora i prezzi sono aumentati, ma le pensioni sono rimaste ferme, così molti anziani sono andati in difficoltà. Tanti vengono alle nostre mense, per risparmiare. I bisogni sono evidenti per questa fetta di popolazione e per i profughi che provengono dalla parte est del Paese, quella più vicina al conflitto. Abbiamo inviato molti generatori di corrente a Kharkiv dove spesso manca la corrente, ma non vogliamo dimenticare i nostri poveri”.
Monsignor Kawa fa memoria del bombardamento avvenuto il 19 settembre scorso nel magazzino della Caritas spes di Leopoli, sulla carta più sicuro di quelli dell’est. Nell’attacco, per l’arcidiocesi, vennero bruciate circa 300 tonnellate di beni umanitari. Sulle voci di possibili corruzioni, il vescovo taglia corto: “Vengono diffuse per mettere la Chiesa in cattiva luce. La Caritas è l’organizzazione che porta i maggiori aiuti in Ucraina. La Chiesa gode di stima e fa tutto il possibile per agire al meglio”. Poi racconta delle verifiche rigorose e degli aiuti che arrivano anche dalle aziende locali. “Tanti hanno offerto magazzini gratis per stoccare le merci”. Rimane forte il bisogno di generatori di corrente, mentre in inverno sono molto utili le stufe. “Ogni giorno prego per la fine della guerra – dice monsignor Kawa poco prima di salutarci. Poi aggiunge -. La guerra? Chi l’ha cominciata? Le responsabilità a volte non vengono riconosciute”. Che ne sarà di questo Paese nel dopoguerra? “Crescerà molto – dice il vescovo -. Ci vorrà tempo. Speriamo in Dio. E ricordiamoci di chi ha perso mariti e figli. Ci vediamo dopo la guerra, tra qualche mese o settimana. Chissà?”.
A Leopoli abbiamo incontrato anche il vescovo di rito greco-cattolico, l’arcieparca metropolita monsignor Ihor Voz’njak. “Questa guerra è un fatto pesante. Tutti ne portiamo i segni. Ho parlato con un cappellano tornato dalla prima linea. È ferito a un braccio. Adesso fa la riabilitazione. Abbiamo 20 sacerdoti impegnati come cappellani militari. Finora uno solo è rimasto ferito. Prego tutti i giorni Dio perché finisca la guerra. Non importa se vinciamo noi o no”.

 

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