SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo“: è con questo verso degli Atti degli Apostoli (cap. 9, v.3) che inizia la storia di conversione di Saulo di Tarso, meglio conosciuto con il nome di San Paolo Apostolo. Ed è proprio questa luce, al contempo avvolgente ed accecante, la protagonista del quadro dipinto dall’artista Elvis Spadoni e donato da un benefattore alla parrocchia Sant’Antonio di Padova in San Benedetto del Tronto, guidata da padre Massimo Massimi.

“Ci auguriamo che il quadro sia il primo di una lunga serie – afferma padre Massimo –. Il progetto che abbiamo in mente è quello di arredare la sagrestia e lo spazio dei confessionali con alcune opere il cui tema sia  ispirato ai luoghi stessi. Il filo conduttore degli episodi evangelici rappresentati sarà quindi la kénosis, ovvero l’abbassamento di Dio verso l’uomo, un Dio che discende fino a raggiungere l’uomo non solo in senso fisico, ma anche dal punto di vista interiore, nei suoi aspetti più bassi, più fragili, più bui, che durante la Confessione vengono accolti alla luce della Verità e perdonati. Il confessionale, infatti, è luogo in cui si celebra il Sacramento della Riconciliazione, del Perdono, quindi per ora abbiamo pensato di partire dal brano dell’adultera e poi proseguire con l’episodio della pecorella smarrita. Più avanti si vedrà. Per quanto riguarda la sagrestia, invece, essendo un luogo in cui ci si prepara al servizio, al tema della chenosi abbiamo unito quello della diakonía, ovvero del servizio, un tema che del resto completa l’altro. Abbiamo pensato, ad esempio, all’episodio del buon samaritano, che si china verso il povero uomo percosso e derubato dai briganti, e alla lavanda dei piedi, che vede Gesù protagonista di un gesto che si può compiere solo inginocchiandosi o chinandosi. In tutti i casi, che si tratti di perdono o di servizio, c’è sempre qualcuno che si china per aiutare, accogliere, curare, perdonare l’altro “.

La prima opera realizzata – già sistemata all’ingresso degli uffici parrocchiali – è un olio su tela di 1,80 x 3,70 m, dallo stile figurativo e realista, per stessa definizione dell’artista Spadoni, che parla di un tentativo di ritrovare una capacità narrativa dell’arte,  restituendole quella dimensione pittorica più aderente alla realtà e forse anche più popolare, perché più facilmente riconoscibile e in larga parte abbandonata dal Novecento ad oggi”.  “Quando rappresento episodi biblici, sento la pittura come un servizio alla Parola – prosegue l’artista Spadoni, che ha conseguito il Diploma in Pittura all’Accademia delle Belle Arti di Urbino –. Il mio tentativo è quello di raccontare la storia in un modo che possa essere compreso ed interiorizzato dall’osservatore. In tal senso, dipingere una pagina evangelica non mi sembra molto diverso dallo scrivere un’omelia“.

Oltre agli studi in campo artistico, numerosi sono i titoli ottenuti da Spadoni. Dopo aver raggiunto la maturità al Liceo Classico “Giulio Cesare” di Rimini, infatti, Spadoni ha conseguito prima il Baccalaureato in Teologia presso la Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna a Bologna e poi la Licentia Docendi in Storia della Teologia presso lo stesso Ateneo. Da qui la sua passione per l’arte soprattutto sacra che lo ha condotto non solo a rappresentare con frequenza scene bibliche, ma anche ad essere autore di alcuni saggi su Estetica e Teologia.

In merito alla genesi dell’opera realizzata per la chiesa Sant’Antonio da Padova, Spadoni racconta: “Questo quadro mi è stato ispirato da un versetto del prologo di Giovanni che generalmente si legge nel giorno di Natale: ‘Veniva nel mondo la Luce vera’ (Gv 1,9). L’episodio che rappresento nel quadro, invece, è relativo alla conversione di San Paolo, che si colloca nel periodo pasquale. Magari uno potrebbe pensare che le due cose non abbiano nulla a che fare l’una con l’altra. Al contrario, invece, entrambe hanno come protagonista la luce. Dio si manifesta al persecutore dei cristiani come luce che acceca, tanto che Saulo rimarrà senza vista per tre giorni, a seguito di questo fascio di luce abbagliante. Per poterla rappresentare – o meglio – nell’impossibilità di poterla rappresentare – mi sono ispirato al Caravaggio, ma per contrasto: mentre egli infatti dipinge sfondi bui da cui affiorano i personaggi, io al contrario utilizzo sfondi di luce da cui emergono le figure che voglio rappresentare. A ben guardare la scena, la sagoma di Saulo dal lato della luce non è ben definita, come ad indicare che questo fascio di luce invade tutta la sua persona, come se le sue barriere cedessero di fronte a questa aggressione di luce, questo incontro violento, questa conversione improvvisa. Una luce certamente invadente nel senso letterale del termine, ovvero una luce che invade ogni spazio della persona, ma che riesce finalmente ad illuminarla. È quella Luce di cui parla Giovanni, una Luce che abbaglia gli uomini, i quali possono decidere se lasciarsi illuminare o no, se ritrarsi e quindi continuare a vivere nel buio della non verità di se stessi o se invece aprirsi a questa nuova possibilità di Vita e di Verità. Non è una questione tra Dio e l’uomo, bensì tra l’uomo e se stesso: è un cammino di conversione che chiede quanto l’uomo abbia voglia di mettersi sotto questa luce di verità oppure di ritrarsi. Il fatto di non rappresentare Dio, inoltre, mi piace anche per un altro motivo: un Dio che è luce, non ha contorni né consistenza, è quindi un vuoto, un’assenza. Un’assenza, però, che nel quadro è molto presente! È come se Dio si fosse preparato uno spazio, un posto. Quel posto è un grande spazio di silenzio visivo, in cui lo spettatore può riflettere su cosa sia Dio, una presenza delicata, non invadente. Un vuoto che assume significato solo attraverso la persona che è di fianco. L’idea è che lo spettatore possa fare il suo percorso verso Dio, un percorso aperto al dubbio, alla non fede, che metta in discussione chi pensa di sapere chi è Dio. Questo è un quadro che parla dell’uomo e del suo possibile incontro con il mistero di Dio“.

Attualmente l’artista di origini marchigiane, ma ora romagnolo d’adozione, sta lavorando ad un quadro su San Francesco, nell’anno in cui ricorre l’ottavo centenario delle sue stimmate, e sta ultimando un quadro per il Monastero di Fonte Avellana (in provincia di Pesaro) che rappresenta la Trasfigurazione. Si tratta di “un quadro importante, un po’ sperimentale e di grandi dimensioni, in cui – come afferma lo stesso Spadoni – nuovamente la Luce sarà la grande protagonista”.

“Il talento di Elvis Spadoni è eccezionale – conclude padre Massimo Massimi –. Per questa meravigliosa opera abbiamo avuto un regalo dal Cielo: un nostro parrocchiano, che preferisce restare anonimo, ha voluto donare alla chiesa di Sant’Antonio questo quadro raffigurante la conversione di San Paolo, in ricordo dei suoi cari genitori defunti. Siamo inoltre in attesa di ricevere dall’artista altre due opere che gli sono già state commissionate in memoria di due frati francescani appartenenti alla Comunità di Sant’Antonio e scomparsi qualche anno fa: una, in ricordo di padre Lauro Carbonari, sarà donata dalla Comunità dei Frati Minori Conventuali di Sant’Antonio e un’altra, in ricordo di padre Enrico Petrucci, sarà donata dalla sua famiglia. Ci auguriamo di poter arricchire i luoghi della nostra chiesa con tutta la serie che abbiamo in mente. Ovviamente sarà un percorso a tappe: pensiamo ad un quadro o massimo due all’anno. Confidiamo nel fatto che qualche altro parrocchiano, amante dell’arte e della bellezza e che abbia a cuore la nostra parrocchia, decida di farle un dono. Anzi, decida di fare un dono a tutti noi che ne siamo fruitori: l’arte, infatti, è bellezza che rinfranca il cuore e, nel caso dell’arte sacra, è anche una delle forme più belle di evangelizzazione”.

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