SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Proseguiamo la nostra rubrica di interviste ai pescatori della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, volta a conoscere la loro ricca storia e anche il pregevole servizio che offrono alla comunità con la loro raccolta dei rifiuti in mare, molte volte citata anche da Papa Francesco come esempio virtuoso di cura del Creato.
Incontriamo oggi due pescatori provenienti dall’Africa, ma da due Nazioni diverse e con storie di vita completamente differenti: Moussa (Mosè) Diallo, di origini senegalesi, che ha 61 anni e fa il pescatore da quando ne aveva 10, e Houssem (La spada) Habib, di origini tunisine, che ha 42 anni e, dopo alcuni anni di esperienza come pescatore, oggi fa il motorista.

Come è nato il vostro amore per il mare e come siete arrivati a svolgere il vostro attuale lavoro?
Moussa: Il mare mi è sempre piaciuto e ho sempre svolto questo lavoro fin da bambino, anche quando ero ancora in Africa. Dal 2000 in poi, però, dalle mie parti non si trovano tanto facilmente le opportunità di lavoro nel mondo della pesca o, se si trovano, spesso lo stipendio è molto più basso di quello che si percepisce in Europa. Perciò nel 2004, per poter sfamare la mia numerosa famiglia, ho deciso di venire in Italia, visto che avevo già dei contatti. Sono stato prima in Sardegna per tre anni e poi a San Benedetto del Tronto sul peschereccio Carfagna Giuliano, sul quale c’era già un mio collega connazionale. L’armatore, Mario Carfagna, desiderava un altro senegalese a bordo e il mio amico mi aveva parlato molto bene di lui e del resto dell’equipaggio. Dopo due anni mi sono imbarcato prima in quella che attualmente si chiama Luna Rossa, dove sono rimasto per altri quasi due anni, e poi sul Nicola Palanca, dove ho ripreso la pesca di gamberi rossi in Grecia per un anno. Successivamente mi sono trasferito in Belgio ed Olanda e sono rimasto lì per sette lunghi anni. Ora, da pochi mesi, sono tornato qui a San Benedetto del Tronto e sto cercando un lavoro stabile. In tutti questi anni mi sono occupato sia di pesca dei gamberi, sia di lavori sui mercantili. Inoltre, essendo un pescatore di esperienza, negli anni ho imparato anche ad aggiustare le reti, un lavoro molto umile e paziente che i più giovani non sanno fare e spesso non vogliono neanche imparare.
Houssem: A me è sempre piaciuto il mare, ma da piccolo, oltre all’amore per il mare, avevo anche la passione per la tecnologia. Non è un caso che io sia venuto in Italia! Nel 1999, infatti, quando avevo appena diciassette anni, sono giunto a San Benedetto del Tronto per frequentare l’Ipsia e ricevere il patentino da motorista. Una volta terminati gli studi, ho deciso di rimanere qui e di vivere la mia vita lavorativa e privata qui in Italia. Non è stato facile raggiungere la posizione lavorativa attuale, perché nel mondo del mare e della pesca – come immagino in altri lavori – bisogna fare la gavetta. All’inizio quindi sono stato preso su una piccola imbarcazione a fare il mozzo e ho dovuto rispettare tutto l’iter della gerarchia. Solo successivamente mi sono potuto adoperare come marinaio, pescatore ed infine come motorista. Attualmente mi trovo come motorista sull’imbarcazione Antonio Padre: sono qui dal 2008, quindi oltre quindici anni, e mi trovo molto. Nel 2017 inoltre ho finalmente ottenuto anche la cittadinanza italiana e mi sento quindi, a tutti gli effetti, italiano, dal momento che dei miei quarantadue anni ben venticinque li ho trascorsi qui, quindi più della metà della mia vita.

Come sono le condizioni di lavoro in Italia e come vivete la socialità e le relazioni?
Moussa: Vivo insieme ad un mio amico senegalese con cui condivido lo stesso appartamento, così dividiamo le spese e trascorriamo del tempo insieme. Ho anche molti conoscenti italiani e qualche amico. Onestamente tutto il mondo è paese: ci sono persone brave e meno brave, in Italia come dappertutto, ma non posso assolutamente lamentarmi di nulla, perché nel mio ambiente di lavoro sono stato accolto molto bene. Quando sono giunto in Italia, non ero un clandestino, bensì sono arrivato con un regolare contratto di lavoro e conoscevo già molto bene la lingua italiana, perché in passato avevo lavorato in Africa con degli armatori italiani: questo mi ha messo al riparo da qualsiasi pregiudizio. A bordo delle imbarcazioni, inoltre, c’è anche molto rispetto per le origini di ciascun membro dell’equipaggio. Viene rispettato il credo religioso di tutti: potete facilmente trovare un crocifisso appeso alla parete e un musulmano che prega su un tappeto; durante i pasti, inoltre, per chi è musulmano e non mangia carne di maiale vengono serviti cibi alternativi, come riso con pesce, couscous o altro. Anche per quanto riguarda la situazione politica e sociale, si sta molto meglio qui. Anche se pure in Italia ci sono delle disuguaglianze, in Africa queste sono molto più marcate: i governi sono instabili e c’è molta corruzione; alcuni Paesi sono ricchi, ma mal gestiti; il colonialismo non è finito, come dicono, e alcuni Paesi europei ancora ci sfruttano; in definitiva ci sono poche persone che possono definirsi benestanti, mentre il resto della popolazione è molto povera. Posso quindi dire di trovarmi molto in Italia, talmente bene che a volte desidero portare qui tutta la mia famiglia, anche se mi rendo conto che sarebbe molto difficile. Io ho una famiglia allargata: oltre a mia moglie, ci sono i nostri cinque figli, la sorella di mia moglie e alcuni amici dei nostri figli che i loro genitori non riescono a sfamare. La mia famiglia in Senegal è considerata benestante: ha infatti il necessario per mantenersi e anche per ospitare qualcuno, un po’ come accadeva in Italia fino a qualche tempo fa. Il mio stipendio italiano riesce a dare a tutti loro una vita dignitosa; invece, se li portassi in Italia, non riuscirei a mantenerli tutti. Poi penso anche all’età che avanza e al fatto che i miei figli non vogliono fare la vita da pellegrino in giro per il mondo, come è stato per me. Credo quindi che il mio resterà solo un desiderio.
Houssem: Anche io mi trovo molto bene in Italia. Del resto non potrebbe essere diversamente, visto che sono venuto qui che ero appena adolescente e negli anni mi sono fatto una cerchia ristretta di amici che frequento abitualmente, alcuni italiani, altri tunisini, alcuni di altre Nazioni ancora. Inoltre, quando sono arrivato a San Benedetto, ero già fidanzato da tre anni con una ragazza tunisina, quindi ad un certo punto l’ho portata con me e a 27 anni mi sono sposato. Ora abbiamo due figlie di 13 e 11 anni, che sono nate e cresciute in Italia ed hanno le loro amicizie qui.
Per quanto riguarda l’aspetto del lavoro, devo dire che l’ambiente è accogliente: ognuno viene rispettato nelle sue preferenze culinarie o nelle proprie convinzioni religiose. In mare conta solo saper lavorare bene. Per tale ragione non ho mai avuto problemi, ho raggiunto i miei obiettivi e non ho mai ricevuto disparità di trattamento. Certamente succede che i lavori più umili spesso vengano svolti dagli stranieri, ma questo avviene non per un motivo di discriminazione, bensì pe runa questione di opportunità. Se un italiano non riesce a trovare un lavoro dignitoso, può contare sulla sua famiglia e farsi aiutare. Uno che invece viene dall’estero e non ha famiglia qui, deve per forza essere indipendente e quindi accettare quello che gli viene offerto. Quindi è solo una questione di indipendenza ed autonomia dalla famiglia d’origine. Conosco molte altre persone come me, che guadagnano bene. A Pescara, ad esempio, c’è un’imbarcazione comandata da un senegalese.
Per tutte queste ragioni mi trovo bene in Italia e non ho intenzione di tornare in Africa stabilmente, anche se non ho perso i contatti con la mia terra d’origine: ogni due anni vado in Tunisia per salutare i miei parenti ed amici e anche per godere dei bellissimi paesaggi tunisini.

Come e quando è iniziata l’esperienza della raccolta della plastica in mare?
Moussa: Da quando sono in Italia, tutte le volte che ho lavorato sui pescherecci sambenedettesi, mi è stato chiesto di fare anche questa attività. Non saprei dire una data precisa, ma posso affermare che, da quando sono qui, quindi dal 2004, l’ho sempre fatta. Gli armatori qui sono molto sensibili sull’argomento e tutto l’equipaggio ogni giorno riempie quasi un bidone industriale di rifiuti. All’inizio mi sembrava un lavoro in più da fare, un’incombenza faticosa e anche inutile; poi, con il tempo, ho capito l’importanza di questa attività e ora ritengo un mio preciso dovere fare la mia parte per conservare il mare pulito e bello, così com’era quando io ero piccolo.
Houssem: L’iniziativa non è partita da noi, ma ci siamo adeguati, sebbene questo richieda fatica. I rifiuti che raccogliamo, infatti, occupano parte dell’imbarcazione e, per evitare la contaminazione con il pescato, dobbiamo impegnarci molto: è un lavoraccio! Credo che il rispetto per l’ambiente sia importantissimo e necessiti di due requisiti fondamentali: prima di tutto le imbarcazioni, soprattutto i mercantili, dovrebbero smetterla di buttare in acqua pistoni, oli, stracci con la nafta o addirittura parti meccaniche del motore; in secondo luogo, dovrebbero esserci degli incentivi per la raccolta in mare, così come ci sono per la differenziata a terra. Attualmente per smaltire certi rifiuti, bisogna pagare: è chiaro allora che più si paga e meno si smaltisce; se, al contrario, ci fossero degli incentivi, tutti sarebbero più inclini a smaltire i rifiuti nella giusta maniera.

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