DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Leggiamo così nel brano del Vangelo di Marco che, oggi, la liturgia ci propone: «In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità. […] Tutti […] si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità…».
Cosa significa “insegnare con autorità”? Significa dire delle cose in cui si crede per davvero; una parola è autorevole quando chi la pronuncia non solo la dice ma, dicendola, si dà in essa.
Gesù è autorevole perché credibile, in lui messaggio e messaggero coincidono: dice ciò che è, ed è ciò che dice. Non recita un ruolo. Ciò che Gesù sta dicendo, non lo dice solo a parole ma con gli occhi, con il cuore, con le mani, con la mente…con tutta la sua vita.
Scrive Marco nel Vangelo che Gesù, infatti, non insegnava come gli scribi, che imparano la lezione a memoria e la ripetono. Gli scribi sono intelligenti, hanno studiato, conoscono bene le Scritture, ma le ascoltano solo con la testa, in una lettura che non muove il cuore, non lo accende.
L’autorità di Gesù, invece, non è un’autorità che accresce chi la pronuncia ma è tesa a far crescere l’altro, è veicolo di vita e di bene: la sua Parola fa vivere, guarisce, libera.
Prosegue l’evangelista Marco presentandoci un uomo che, come tutti gli altri, frequenta la sinagoga. Prima di allora la Scrittura non lo aveva mai toccato nel profondo ma, questa volta, la Parola di Gesù gli arriva al cuore. Perché…sì! Si può vivere tutta una vita come cristiani della domenica senza farsi mai toccare dalla Parola di Dio, senza che questa entri davvero a far nuova la nostra vita.
«Ed ecco nella sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”».
Sì, Gesù è venuto a rovinarci, a metterci di fronte alla necessità di decidere, a svegliarci da una religione che anestetizza, per farci uscire dalla consuetudine di una vuota ritualità. Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a demolire ciò che lo imprigiona.
Se ascoltando il Vangelo la reazione è calma piatta e rassicurazione, se la Parola non viene a mettere a soqquadro le nostre sicurezze, a rivoluzionare i nostri modi di pensare, a mettere a nudo ciò che ancora non ci fa essere e vivere da uomini nuovi, allora la nostra fede è paralizzata, ferma e inchiodata la nostra conversione.
Gesù nella sinagoga non fa magie, non usa formule magiche per estirpare lo spirito impuro da quell’uomo. E’ quell’uomo stesso che ascolta una Parola che lo mette di fronte a se stesso e alle forze che lo tengono lontano dalla vita.
«E Gesù ordinò severamente: “Taci! Esci da lui! E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui”».
Il Signore zittisce ogni spirito impuro che parla in noi perché possiamo ascoltare finalmente ciò che Lui ha da dire e trovarci a godere tutta la bellezza della sua libertà.
Leggiamo, ancora, nel Vangelo: «La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea»: Gesù e la sua Parola fanno parlare di sé.
Anche ciascuno di noi è chiamato a far “parlare” la Parola.
«Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dei, quel profeta dovrà morire», è scritto nel libro dell’Esodo.
La Parola parla attraverso la nostra esistenza, la nostra esistenza testimonia la Parola che salva: una vita, quindi, non autocelebrativa e autoreferenziale, ma segno di quella luce che, ogni istante, sorge ad illuminare, sanare, scaldare, consolare le nostre regioni e ombre di morte. E da sanati, non possiamo far altro che dire e gridare che per tutti c’è possibilità di vita, la Vita vera che è solo Cristo.

 

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