DIOCESI – Domenica 5 novembre alle ore 9.00 presso la Cattedrale di Montalto sarà celebrata una  Santa Messa in occasione dell’LXXX anniversario della nascita in cielo del padre missionario Basilio Massari, originario di Montalto. Presiederà la funzione don Edmondo Massari, parente del religioso.

Basilio Massari nacque a Cerretana, piccola frazione del comune di Montefortino, il 15 settembre 1870, da Pietro, di Montalto delle Marche, e da Rosalia De Angelis, di Monte Rinaldo. I due giovani sposi si erano trasferiti a Cerretana per motivi di lavoro in quanto Pietro era un vetturino. Basilio era il loro primogenito. Il 17 settembre, nella chiesa di San Michele di Montefortino, ricevette il Battesimo.

Qualche tempo dopo la famiglia ritornò a Montalto, dove nacquero altri quatto figli: Nicola, che visse solo pochi giorni (1874), Giovanni (1881), Nazzareno (1883) e Albino (1886). Basilio manifestò sin da fanciullo i segni della vocazione sacerdotale, ma, a causa della  povertà della famiglia, non poté dedicarsi totalmente allo studio. Costretto al lavoro nei campi, seppe tuttavia ritagliarsi qualche ora per lo studio, così che a dodici anni la sua caparbietà fu premiata: iniziò a frequentare, come alunno esterno, il Seminario vescovile di Montalto.

Due anni dopo, il 17 gennaio 1884, con la vestizione clericale entrò definitamente in  Seminario. Ma il Signore aveva su di lui altri disegni… Sin dalla tenera età, infatti, insieme alla vocazione al sacerdozio mostrò un forte interesse per la missione “ad gentes”: era affascinato dai racconti delle avventure, dei sacrifici e degli eroismi dei giovani missionari, i quali, abbandonata famiglia e patria, partivano per Paesi lontani per la salvezza delle anime. Questa attrazione per le Missioni crebbe sempre di più col passare degli anni tanto da diventare un tutt’uno con la stessa vocazione sacerdotale: l’adolescente Basilio immaginava se stesso come sacerdote missionario tra i  pagani. La lettura delle lettere del grande apostolo delle Indie, san Francesco Saverio, e dei racconti missionari dei bollettini delle Missioni Estere, i consigli di alcuni sacerdoti, di un gesuita in particolare, lo portarono alla ferma decisione di farsi missionario. Aveva allora poco più che vent’anni. 

Si orientò verso i Missionari di san Calocero, così erano chiamati i preti del Seminario delle Missioni Estere di Milano, realtà nata nel 1850 dalla volontà dei Vescovi lombardi di costituire un istituto che formasse quei seminaristi diocesani che desideravo partire per la missione. (Oggi si chiama PIME: Pontificio Istituto Missioni Estere). La sua richiesta di entrare nel Seminario di san Calocero fu però respinta in quanto non aveva ancora terminati gli studi filosofici. Quel rifiuto non spense però la sua aspirazione missionaria, anzi divenne sprone per un  maggior impegno nello studio e nella preghiera.

Altre prove lo attendevano all’orizzonte: la seria preoccupazione per la malattia e l’infermità della madre; le forti resistenze della famiglia che non tollerava l’idea che quel figlio primogenito abbandonasse per sempre i suoi cari e la sua terra; alcune perplessità dei Superiori; i suoi stessi timori e dubbi sulla sua reale capacità di sopportare la dura vita missionaria… Tutti questi ostacoli servirono a purificare le sue intenzioni fino a fargli raggiungere, nel corso di due e tre anni, quell’incrollabile certezza sulla chiamata del Signore alla Missione che lo avrebbe sostenuto per tutta la vita.

Così, concluso lo studio della filosofia e ottenuto il permesso del rettore del Seminario e del Vescovo, mons. Bonetti, il 1 novembre 1894 fece il suo ingresso a san Calocero, sede dell’istituto delle Missioni Estere di Milano. Ivi compì gli studi teologici e il 13 marzo 1897 fu ordinato sacerdote nel duomo di Milano dal cardinal Andrea Carlo Ferrari. Qualche mese dopo ricevette la destinazione missionaria: Birmania Orientale. Si trattava di una vasta aerea geografica che Propaganda Fide (Congregazione pontificia  responsabile delle Missioni) aveva affidato alla cura del Seminario delle Missioni Estere soltanto trent’anni prima (1867). Il 31 ottobre 1898 Basilio, insieme ad altri due confratelli, lasciava il seminario di san Calocero per dirigersi a Venezia e da lì imbarcarsi per raggiungere Rangoon, quindi la Bimania Orientale. Aveva allora ventotto anni.

I primi mesi in missione furono dedicati alla visita dei vari villaggi sotto la paterna guida del Vescovo mons. Rocco Tornatore. Fu poi inviato nel distretto di Yadò a coadiuvare l’anziano e ammalato padre Gioacchino Cattaneo a cui succedete come rettore del distretto. Yadò era il centro più importante di un’area montuosa abitata dalla tribù dei Padaung e comprendeva una trentina di villaggi. L’opera di evangelizzazione era allora appena agli inizi, così che il novello missionario poté spendere le sue sue giovani energie per la costruzione della chiesa, di un orfanotrofio, di una scuola pareggiata… Fu in particolare la cura dell’orfanotrofio ad assorbire gran parte delle sue energie: da esso sarebbero usciti numerosi catechisti, suoi fidati e insostituibili collaboratori nella grande opera di evangelizzazione.

A lasciare un segno indelebile nella sua vita e nella sua formazione missionaria fu particolarmente il rapporto filiale che instaurò con il suo primo Vescovo mons. Rocco Tornatore, definito da papa Leone XIII “l’eroe della Birmania”. Padre Basilio trovandosi ad accompagnarlo in visita pastorale per i villaggi del suo distretto ebbe la grazia di assisterlo nella sua agonia amministrandogli gli ultimi Sacramenti. Morì a Yadò il 26 gennaio del 1908, circondato da una folla di fedeli accorsi da tutta la Missione per piangere il loro amato pastore. Fu tanto grande l’ammirazione che Basilio aveva per il suo Vescovo che per lui compilò un manoscritto di più di cinquecento pagine, ora conservato nell’archivio generale del Pime a Roma.

Così lo descriveva: «Egli fu il vero tipo di Vescovo e Missionario. Le virtù che più splendevano in lui erano una grande semplicità ed un grande zelo. Affatto alieno dal darsi qualche importanza, ai suoi Missionari egli non esprimeva che desideri, non diceva loro tanto colle parole quanto piuttosto coi fatti, e con il lavoro… Per i novelli Padri, specialmente sul principio, valeva di più fare un giro in Missione con lui che studiare sui libri per un anno la pratica pastorale. Monsignore non diceva mai ad altri di fare quanto egli poteva fare da sé… Più volte durante i dieci miei primi anni che passai con lui visitando i villaggi potei godere della sua compagnia. Quando lo vedevo andar su e giù per quei monti, sotto un sole cocente e sotto piogge dirotte; quando lo vedevo nella sua età veneranda per canizie, arrampicarsi su per dirupi o scender per precipizi, non potevo fare a meno di vedere la viva copia del buon Pastore, che va in cerca della pecorella smarrita, non potevo fare meno che pensare che io viaggiavo assieme ad un santo».

Il clima non facile di quella regione montuosa e le precarie e misere condizioni in cui viveva misero a seria prova la salute di Basilio tanto da costringerlo a rimpatriare il 14 marzo 1914 a causa di seri problemi allo stomaco. Basilio poté così ritornare nella sua patria, Montalto, rivedere la sua famiglia e in particolare la cara madre che da lì a qualche mese sarebbe morta. I mesi che egli passò a Montalto furono fruttuosi perché gli permisero di rinsaldare i legami con i sacerdoti della Diocesi, suoi ex compagni di Seminario, e in particolare con il Vescovo Luigi Ferri che in tutti gli anni del suo episcopato non mancò di invitare le parrocchie a sostenere con offerte e preghiere la missione di padre Basilio.Mentre si trovava a Montalto poté stampare un suo libro sulla missione: Quindici anni di apostolato, un interessante testo di etnologia, che rivela il tipico approccio di un missionario del PIME alla realtà missionaria. Dopo alcuni mesi trascorsi in una clinica di Lugano e qualche mese presso la nuova sede del Pime di Milano, in via Monte Rosa, il 28 febbraio 1916 ritornava in missione. Aveva allora 46 anni.

Prima di partire volle incontrare il Papa. Partecipò ad un’udienza di Benedetto XV che gli rivolse ardenti parole di incoraggiamento e benedisse il suo crocifisso missionario. Rientrato nel suo amato distretto di Yadò si dedicò con rinnovato zelo alla sua opera di evangelizzazione e qui vi rimase per altri 22 anni, fino al 1938, quando fu trasferito nel piccolo ospedale missionario di Loikaw. Nel 1940 venne inviato per suo desiderio nel lebbrosario di Loilem, in qualità di cappellano, a coadiuvare padre Rocco Perego. Trascorse gli ultimi mesi di vita nella città di Taunggyi presso la residenza di padre Domenico Pedrotti. Soffriva della “malattia della pietra”, calcoli renali, e fu questa a condurlo alla morte il 5 novembre 1943, all’età di 73 anni. I suoi resti mortali riposano nel cimitero missionario di Taunggyi.

Padre Rocco Perego che lo ebbe per tre anni come assistente nel lebbrosario di Loilem così lo descriveva: «Piccolo di statura, barba lunga alla patriarca, occhi vivaci, brillante nel suo modo di parlare, sempre allegro e faceto era di grande compagnia; quando c’era lui era sempre un piacere, ne aveva sempre una da raccontare…con lui non c’era malinconia… La sua generosità verso i bisognosi lo tenne sempre povero, di una povertà francescana: era un altro Francesco. Scriveva, domandava ai benefattori, ai fratelli in America (Nazzareno e Albino), ma per lui nulla riteneva, dava, dava sempre e fino a privarsi del necessario… Lui si riteneva l’ultimo della missione, cedeva sempre ad un consiglio di un confratello e mai si offendeva per qualche sgarbatezza, non cercava stima e lo si vedeva anche dai poveri e stracci indumenti che portava…».

 

 

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