Viaggio in Albania di Ana Fron, collaboratrice della nostra testata diocesana

I concittadini stranieri con cui veniamo a contatto ci insegnano molto sulla loro cultura e in generale sul loro modo di pensare e di agire in vari contesti sociali.
Spesso del loro paese conosciamo la posizione geografica, la morfologia, il clima, l’economia, il tipo di ordinamento politico e quant’altro ci propongono i manuali.
Tuttavia, viaggiando con mente predisposta all’incontro, possiamo comprendere di più.
Tramite il contatto diretto con la loro terra, con le persone, si percepisce il pathos, la malinconia, il dinamismo e la resilienza che li caratterizzano.
Ed è proprio questo che è successo a me, andando in Albania questa estate; ho conosciuto più in profondità la peculiarità di questo popolo. Un popolo segnato da un passato di sofferenza.
La storia dell’Albania è una storia tormentata da dominazioni, dittature e continue frammentazioni del territorio, dovute alle “spartizioni post belliche” di imperi, regni e signorie. Alla Conferenza di Londra del 1913, come afferma la professoressa Suzana Spaho, metà dei territori albanesi sono stati spartiti tra altre nazioni.
Più recentemente, dopo il crollo del sistema dittatoriale comunista degli anni Novanta, l’Albania ha conosciuto un periodo di emigrazione di massa. Giovani e famiglie intere, per mancanza di lavoro e sostanziale anarchia, hanno lasciato il paese per andare altrove. Questo fenomeno ne ha condizionato lo sviluppo economico.
Ma gli albanesi sono un popolo legato alla propria terra e, negli ultimi tempi chi ha avuto l’occasione e le condizioni, è tornato in patria per costruire lì il proprio avvenire. In più, al rientro, ha portato con sé il frutto di anni di lavoro all’estero, investendolo in diversi campi ma soprattutto nel turismo. Essendo il territo bagnato dai mari Adriatico e Ionio, per una distanza di 611 km (Wikipedia), con un clima caldo e prezzi abbordabili, il turismo ha conosciuto un rapido sviluppo fino a diventare meta preferita di tanti europei. Tedeschi, inglesi, francesi, rumeni, ucraini, russi, polacchi e italiani s’incontrano su questo lembo di terra durante le loro vacanze estive.
Tra i tanti viaggiatori ci siamo anche, io, mio marito Nicola e una coppia di amici, Fabrizia e Michele. Michele è l’ideatore nonché l’organizzatore impeccabile della “spedizione”. Abbiamo scelto di viaggiare con le moto, imbarcate su un ferryboat, che naviga tra Ancona e la greca Igoumenitza. Appena scesi, abbiamo presso la direzione dell’Albania. In questo tratto, il paesaggio si rivela ricco di uliveti, luminoso e scarsamente popolato. Non di rado s’incontrano ai margini della strada -ed a volte anche in mezzo alla carreggiata – greggi di capre al pascolo. Al di là di questi incontri imprevisti, la strada è libera dal traffico e ci permette di viaggiare sereni.
Arrivati alla frontiera tra la Grecia e l’Albania, presentiamo i documenti ai funzionari statali, i quali, dopo un rapido sguardo ce li riconsegnano. Basta la carta di identità italiana.
Un’altra oretta di cammino, sotto un sole arroventato e siamo infine, giunti a destinazione. Il nostro albergo è a Ksamil ed è una costruzione nuova e dotata di ogni comodità. Lasciati i bagagli decidiamo in fretta di cercare del cibo nella vicina Saranda. Notiamo in giro ogni tipo di ristorante; tuttavia predomina la cucina tradizionale, simile alla vicina Grecia e ci lasciamo convincere dalla curiosità entrando in uno di loro. Non sbagliamo facendo tale scelta in quanto, la cucina locale incontra il nostro gusto. Prodotti freschi e variegati come: verdura, pesce, carne, formaggi e latticini (yogurt), uova, frutta, soprattutto anguria, sono alla base della gastronomia locale; ma il pezzo forte (per me) delle colazioni albanesi e costituito dal baklavà, un dolce buonissimo, a base di miele e frutta secca, disponibile ovunque.
Nei giorni a seguire abbiamo dovuto scegliere tra molteplici attrazioni del luogo: il mare di Ksamil e Saranda, limpido e turchese, città ottomane, castelli arroccati ma anche montagne con tesori naturali come quello di Syri Kalter, (in italiano Occhio blu).
Infatti, non lontano da Saranda, salendo verso la montagna si incontra una riserva naturale con vocazione turistica, che ha all’interno la sorgente del fiume Bistrice; fiume lungo 25 km che versa le sue acque nel Mar Ionio. Tale sorgente è profonda e limpida, dal colore blu zaffiro e turchese. Inoltre, intorno al fiume gironzola allegro un esercito impavido di farfalle variopinte e di calopteryx virgo, una specie di insetti-libellule di tipo mediterraneo di un azzurro brillante, che garantiscono un plus valore all’ambiente circostante.
La curiosità ci ha portati nei giorni a seguire in giro dovunque e, nonostante avessimo notato cose “meno belle” come; campi nomadi fatiscenti, il traffico caotico nella città di Saranda, la sensazione percepita in generale è quella di un paese in fermento, vitale, con una popolazione molto giovane e allegra. Un’allegria contagiosa che ci ha trasmesso serenità. Inoltre, abbiamo conosciuto in varie occasioni persone gentili e ben disposte nei nostri confronti, non rispecchiando in questo la diffidenza e la visione “opaca” che alcuni italiani hanno avuto degli immigrati albanesi in passato.
I nostri giri interminabili erano scanditi però dalle soste/ristoro. Per provvedere a nutrirci ci fermavamo, un po’ a caso, alle taverne che incontravamo. Un giorno, è successo di fermare le nostre moto davanti ad un’insegna: “Ristorante da Ali”. Il ristorante aveva intorno un cortile ampio, vuoto. Un uomo imponente con le braccia incrociate al petto, sulla settantina, con accucciato ai piedi un cane dormiente ci guarda senza venirci incontro.
“Possiamo mangiare?” chiediamo in italiano
“Si” risponde l’uomo (probabilmente Alì)
“Cosa ci dà?”
“Io ho solo il pollo”
Ci guardiamo dubbiosi poi, data l’ora tarda, decidiamo di restare.
Siamo soli in tutta la struttura, a parte il cane che continua a dormire.
Intorno ad un grande tavolo di legno, tutti noi stiamo silenziosi e un po’ delusi dalla scarsa varietà del menu.
Non aspettiamo a lungo e il nostro tavolo si riempie di cibo. Assaggiamo il pollo e ci scambiamo sguardi soddisfatti, quasi increduli; il pollo si dimostra squisito. La pelle è croccante e salata al punto giusto e la carne morbida e gustosa. Inoltre appare una varietà di verdure grigliate, tzatziki, formaggi vino e pane fatto in casa.
L’ospite ci intrattiene durante il pasto, parlando in un italiano impeccabile. (d’altronde tanti albanesi parlano l’italiano).
“È stato in Italia?” gli chiediamo incuriositi
“Quasi venti anni” ci risponde. “A lavorare nella ristorazione, zona Cinque Terre e Roma”.
Penso tra me e me, “potrebbe competere con qualunque chef stellato italiano”, e mi sento fortunata.
Questa è l’Albania. Una terra sorprendente per bellezza e potenziale economico. Con gente gentile e ospitale; per niente rancorosa. Che ha imparato negli anni a sollevarsi e a camminare a testa alta davanti a tutti e a tutto. Che merita rispetto e incoraggiamento da parte dell’Europa. E chissà che non possa entrare al più presto nella casa comune europea.
Dopotutto l’Albania è una di noi.

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