SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Vive a San Benedetto del Tronto, ha compiuto 15 anni lo scorso agosto, frequenta quello che un tempo era chiamato il quinto Ginnasio, ovvero il secondo anno del Liceo Classico Leopardi e ha una grandissima passione per il calcio, giocato e arbitrato. Si tratta di Nuto Siliquini, uno dei più giovani arbitri in attività in territorio marchigiano e nazionale.

Quando e come è arrivata nella sua vita la passione per il calcio?
La passione per il calcio è nata in me molto presto, quando avevo circa quattro anni. Mio padre mi chiedeva di accompagnarlo allo stadio a tifare la squadra locale, la Sambenedettese, e mi sono appassionato sia al gioco sia a quel bel tifo che veniva dagli spalti. Ho così iniziato a fare la collezione delle figurine Panini e poi, all’età di sei anni, mi sono associato alla squadra del Porto d’Ascoli. Siccome non mi piaceva particolarmente correre, ho scelto di fare il portiere. Ho proseguito a giocare fino ad ottobre 2021, poi ho pensato di dedicarmi all’arbitraggio.

Perché ha pensato di iscriversi al corso formativo per diventare arbitro?
Mio padre mi ha sempre detto che sarei diventato un grande arbitro, quindi a quattordici anni ho iniziato a pensarci sul serio. Ho lasciato il calcio giocato e mi sono iscritto ad un corso con l’AIA (Associazione Italiana Arbitri) di San Benedetto del Tronto. Ho frequentato con costanza, da metà ottobre a metà dicembre, le lezioni sulle 17 regole del “Regolamento del gioco del calcio”. A fine corso ho sostenuto un esame scritto e uno orale e li ho superati entrambi. A fine corso, ho avuto la possibilità di effettuare una lezione tecnico-didattica, al fine di prendere consapevolezza degli spazi sui quali mi sarei trovato ad operare successivamente. In quell’occasione il Presidente della sezione AIA di San Benedetto del Tronto, Francesco Narcisi, ha spiegato, a me e agli altri colleghi che avevano superato gli esami, le dinamiche di gioco e soprattutto gli spostamenti da effettuare per non perdere di vista la palla e arbitrare al meglio.

Quando è avvenuto il suo debutto da arbitro e cosa ricorda di quel giorno?
Sono diventato arbitro il giorno 4 dicembre 2021. Ad due mesi dal superamento dell’esame, ho arbitrato la mia prima partita, precisamente il 16 febbraio 2022. Si trattava di una partita del Campionato Provinciale Under 15 Maschile, quella tra il Pedaso e il Porta Romana a Pedaso. Ero molto agitato. Già appena mi hanno designato il lunedì precedente, sino stato preso dal timore di non essere all’altezza. Ma devo dire che non mi sono sentito solo. Sono stato accompagnato da uno dei tutor della nostra sezione, Nicola Di Pierro, il quale mi ha atteso al campo, mi ha fatto fare un sopralluogo sul terreno di gioco e mi ha spiegato come mi sarei dovuto muovere durante la partita, dandomi delle indicazioni sugli spostamenti. Durante i 90 minuti, il tutor non mi ha mai detto quando fischiare, ma mi ha solo dato consigli sugli spostamenti, quindi il suo è stato un supporto soprattutto tecnico e morale. Un fatto simpatico che ricordo di quel giorno è che i primi fichi non mi uscivano! Nonostante la consapevolezza del fallo commesso, non riuscivo a fischiare e ho lasciato correre in più di un’occasione. Poi, dopo una ventina di minuti, mi sono detto che prima o poi avrei dovuto fischiare e mi sono convinto! Poi fortunatamente è andato tutto bene. Ho dato un solo cartellino giallo per le proteste che un giocatore ha espresso in modo ripetuto e scomposto per aver fischiato un intervento tecnico da lui non accettato. Per il resto è stata una partita tranquilla. Anzi, ad un certo punto, mi stavo divertendo così tanto che non avrei voluto fischiare la fine.

Successivamente ha arbitrato anche partite tra adulti. Come si è sentito a dover giudicare persone più grandi di lei?
Sì, ad oggi ho arbitrato in tutto 50 partite. L’ultima partita della stagione, a maggio 2022, ho fatto un esordio nell’arbitraggio nella Categoria superiore, quella degli Allievi Under 17 (sempre nel Campionato Provinciale Maschile), arbitrando la partita Pedaso – Sangiustese. Successivamente, il 27 Novembre 2022, dopo la visionatura da parte del presidente Narcisi, ho fatto l’esordio nella Categoria Under 19 Juniores, arbitrando la partita Comunanza – Castignano. La prima partita in Terza Categoria, quindi in un Campionato di adulti, è avvenuta il 14 gennaio di quest’anno, a Cossignano, tra la locale squadra Cossinea e l’avversaria Borgo Solestà. Qui avevo davvero un po’ di timore. Prima di entrare in campo, vedevo tutti uomini adulti, anche quarantenni e cinquantenni, e mi sono sentito investito di una grande responsabilità. Uno dei giocatori, prima di iniziare la partita, mi ha chiesto quanti anni avessi e non ricordo neanche bene cosa io gli abbia risposto! La paura era di non riuscire a farmi rispettare, cosa che invece è un requisito essenziale per far si che la partita non sfugga di mano. In realtà, nonostante i timori, è andato tutto bene. Anzi, è andata più che bene, perché, a mia insaputa, quel giorno c’era anche l’osservatore Guerrini che si è complimentato con me per l’ottima prestazione. A distanza di una settimana, quindi, è avvenuto anche l’esordio in Seconda Categoria Regionale Maschile con la partita Mandolesi Calcio e Grotta Azzolina. Questa ora è la Categoria in cui sono inquadrato.

Una regola non scritta dice che “quel che succede in campo deve restare in campo”. Questa massima vale anche per gli arbitri? Quanto può pesare un errore arbitrale e come si rimedia?
Ogni arbitro, a fine partita, sa dove può aver sbagliato. Questo vale anche per me, che sono il critico maggiore di me stesso. Durante la partita, cerco di non farmi influenzare da eventuali episodi dubbi, perché, se lo facessi, rischierei di sbagliare due volte. Niente compensazioni. A fine partita, penso a cosa avrei potuto fare meglio e resto nell’attesa di sapere se c’è o meno l’osservatore. In realtà, quindi, non c’è rimedio per un errore arbitrale. Il vero rimedio è proseguire ad arbitrare con concentrazione e senza il desiderio inconscio di voler compensare. I giocatori, così come i tifosi, sanno che siamo umani e, come succede ad un calciatore di sbagliare un passaggio, può succedere anche ad un arbitro di giudicare male un episodio.

Esiste negli stadi, già da diversi anni, una deriva verso la violenza fisica e verbale, sia da parte dei tifosi sia a volte anche da parte di allenatori e calciatori. Penso al giovane arbitro ventiquattrenne Andrea Felis che lo scorso anno ha ricevuto un pugno da un allenatore che non condivideva una sua scelte arbitrale. Qual è la sua esperienza in merito?
Purtroppo questo problema esiste, ma onestamente io non ho mai avuto esperienze di violenza fisica. È successo, invece, di essere stato oggetto di insulti a seguito di alcune decisioni non accettate non da parte dei calciatori, bensì da parte di alcuni spettatori che, all’esterno del recinto di gioco, mi hanno minacciato. Fortunatamente, quando sono uscito dal campo, non è successo nulla. Nella foga della partita ci può stare che i toni siano caldi, ma in genere dopo la partita gli animi si placano. Mi sento quindi di dire che il vero tifoso non è violento né fisicamente né verbalmente, perché ama il gioco e tifa per lo sport.

Il mondo del calcio, un tempo a completo uso e consumo degli uomini, vede sempre più protagoniste le donne. Pochi mesi fa, ad esempio, la sua coetanea Giulia Dragoni è divenuta la prima calciatrice straniera a entrare nella mitica “Cantera”del club catalano del Barcellona. Lo scorso anno Stéphanie Frappart è stata la prima donna ad arbitrare una gara di Champions League, quella tra Juventus e Dynamo Kyiev. Qual è la sua esperienza in merito presso la sezione AIA di San Benedetto del Tronto?
Io conosco numerose ragazze, che sono anche mie amiche, che hanno intrapreso questo percorso. Alcune hanno difficoltà ad imporsi, soprattutto nei confronti dei giocatori maschili, ma ce ne sono molte altre che non subiscono alcun timore, come ad esempio la nostra associata Alice Gagliardi che, non solo è responsabile del corso arbitri, ma, avendo una forte personalità e una forte intraprendenza comunicativa, ora arbitra in serie D.
Non nascondo che, a volte, da parte dei giocatori, ci sia qualche pregiudizio: la donna, infatti, non è generalmente associata al mondo del calcio, quindi alcuni ragazzi, soprattutto a livello di base, hanno delle perplessità sulla competenza degli arbitri donne. Ma a livello regionale e nazionale, questo problema non esiste assolutamente, perché, nei vari passaggi di organico, l’arbitro – uomo o donna che sia – deve aver dimostrato competenza nel proprio ruolo. Quindi, anche di fronte all’arroganza di un calciatore, a quei livelli, un arbitro donna competente sa come mettere le cose in chiaro fin dall’inizio della partita e sa farsi rispettare per tutti i 90 minuti.

Qual è la sua ambizione in ambito calcistico?
Vorrei arrivare ad arbitrare in serie A, poi la Champions ed infine i Mondiali! Scherzi a parte, vediamo quello che il futuro mi riserverà. Certamente voglio proseguire ancora per molto tempo.

Qual è il suo sogno nella vita?
Per ora non ho un’idea precisa sul mio futuro. Posso solo dire che, al momento, sono molto affascinato da questo tipo di attività.

Che messaggio vuole dare ai lettori?
Vorrei consigliare ai miei coetanei, che amano il calcio, di intraprendere questo percorso perché è un mondo bellissimo. Prima di tutto è un modo diverso di fare sport. Poi, oltre a farti crescere come arbitro, ti fa crescere come uomo, ti fa diventare più sicuro e più intraprendente, sia a livello comunicativo che a livello umano. In definitiva fa diventare più maturi.
Inoltre vorrei dire agli attori del mondo dello sport – giocatori e tifosi – di non vedere l’arbitro come una figura diversa da loro: così come un calciatore può sbagliare un passaggio o un rigore, allo stesso modo un arbitro può prendere una decisione sbagliata. L’importante è rispettare i ruoli e soprattutto le persone, evitando comportamenti che non hanno nulla a che vedere con lo sport. Il vero tifoso ama il bel calcio ed accetta le decisioni arbitrali, sapendo che a volte sono contro la propria squadra, a volte a favore, ma sempre in buona fede. Quando termina una partita, tutti – vincitori e perdenti – dovrebbero uscire dallo stadio con un bel sorriso sui loro volti, ricordandosi che, in fondo, è solo un bellissimo, coinvolgente, meraviglioso, grande gioco.

 

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