SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA – Proseguiamo la serie di interviste ai sacerdoti della nostra Diocesi con don Luigino Scarponi, che proprio ieri ha festeggiato 70 anni. Parroco della Parrocchia di Sant’Egidio Abate, don Luigino è anche responsabile dell’Ufficio Diocesano di Pastorale del Tempo Libero, Turismo, Sport e Pellegrinaggi.

Papa Francesco ha indicato la sinodalità come la più grande ed inevitabile sfida della Chiesa moderna: come la si può realizzare?
Carissima Carla, esimia giornalista de “L’Ancora On Line”, sono un “fan” di Papa Francesco, lo ammiro e sostengo in questa opera rivoluzionaria per una “Chiesa tutta Sinodale”. Son di quelli che, formati alla scuola del Concilio Ecumenico Vaticano II, ho studiato teologia degli anni 70, ho vissuto l’entusiasmo del passaggio evolutivo (reformata reformanda) e non poco burrascoso della Chiesa post conciliare di Paolo VI. Ho avuto la grazia di avere professori come Miola, Canali, Fagiani, Bonifazi, Illuminati … presso il seminario di Fermo, anni speciali di studio e fraternità calorosa, che mi hanno fatto amare la Bibbia e la Chiesa nella sua storicità evolutiva. Ho poi voluto, con insistenza, continuare la formazione all’Università Pontificia Salesiana in “Catechetica e Pastorale Giovanile”, lavorando nella parrocchia di Santa Sinforosa in Bagni di Tivoli, che mi ha aiutato ad affinare gli strumenti dell’entusiasmo giovanile. Ho avuto anche altri maestri come don Milani, don Mazzolari, C. Carretto, La Valle, Martini … che mi hanno donato la “contemplattivitá” (come amava dire don Tonino) che mi ha fatto amare una Chiesa incarnata, con i piedi ben saldi a terra e in dialogo con il mondo. Ho avuto anche “tirocinanti” come don Marino, don Nello, don Gerardo, don Domenico, don Gabriele … che mi hanno introdotto nella Chiesa diocesana nella sua propria spiritualità concretizzata nell’UAC (Unione Apostolica del Clero), cosciente di essere un membro attivo del Presbiterio diocesano, in cui ho sempre dato il benvenuto ai preti novelli nell’abbraccio fraterno e accogliente dopo l’imposizione delle mani e ho supportato monsignor Chiaretti, nei suoi anni, come segretario del Consiglio Presbiterale.

Da quello che mi ha raccontato, la dimensione associativa e comunitaria della Chiesa è stata per lei molto importante. Quali esperienze ha vissuto di quella “contemplattivitá” a cui ha accennava sopra?
Difficile raccontare in poche battute, carissima Carla, i miei 45 anni di Presbitero e 70 anni di vita. Ad ogni modo, anche se in sintesi, ho detto quasi tutto. Mancherebbero solo – almeno come citazione – i miei tre amori.
Lo Scoutismo, con la promessa nel gennaio del 1973, vissuto come “capo clan” in seminario nel Fermo IV, sotto la guida di Don Vittorio Rossi, poi come “Ati” nel Ripatransone I e “Baloo” nel Bagni I.
Il CSI (Centro Sportivo Italiano), fattomi conoscere e introdottovi, prete principiante, da Edio Costantini; l’Associazione, nei vari livelli – parrocchiale, diocesano, regionale e nazionale – nei ricchi convegni, assemblee e feste, mi ha aperto a relazioni feconde nell’ecclesiale e nella cultura e affinato nei processi educativi e formativi che poi mi hanno aperto la strada alla Pastorale del Tempo Libero, Turismo, Sport e pellegrinaggi, sulla scia di don Franco Iaconi, per 25 anni.
L’Azione Cattolica, che, fin da fanciullo, mi ha fatto amare la Parrocchia come luogo dove la Chiesa si fa Comunità nella Fraternità operosa.
Non potrei inoltre tralasciare la mia esperienza nel Cammino Neocatecumenale fin dal 1973 nella 2* Comunità della Santa Famiglia di Porto San Giorgio: dovunque sono stato vice o parroco, ho avuto fratelli con cui camminare e condividere la Parola e l’Eucaristia.
E per essere completo devo ancora ricordare i moltissimi cursillisti/e incontrati nei così tanti Cursillos (Corsi) di Cristianità vissuti fin dal lontano 1977 ai quali mi introdusse prima don Marino Ciarrocchi e poi don Gerardo, che portò i Cursillos in Italia e mi condusse a conoscerne il sapiente incastro di rollos mistici dei preti ed esperienziali dei laici. Devo molto a questa esperienza di primo annuncio, animata da un propellente potente: la fraternità presbiterale e laicale, un mix per una pastorale penetrante nella mente e nel cuore.

Oltre alle esperienze vissute e agli incarichi diocesani che ha già ricordato, quali sono state, in questi lunghi anni, le parrocchie in cui ha svolto il suo servizio pastorale?
Carissima Carla, a questo punto, devo proprio ringraziarti per la benevola e stringente insistenza che mi ha portato a “ricordare”, operazione propria dei vecchi, in cui il passato è più vivido del presente! Ciò che ti ho raccontato é il mio presente! Il vissuto riflesso che mi contraddistingue, e che mi fa essere prete unico e irripetibile che ha profuso le sue migliori energie per e con i Cuprensi in 17 anni, i Castignanesi in 11 anni, i cristiani dell’Annunziata in 6 anni e ora i Santegidiesi nell’evolversi dell’ottavo anno. Mancano all’appello i tre anni vissuti a Bagni di Tivoli per fare 45!

Considerando i suoi lunghi anni di apostolato presbiterale e le numerose esperienze di vita, credo sia la persona più adatta a dare un consiglio ai sacerdoti più giovani, in particolare a coloro che vivono un momento di fragilità.
Carissima Carla, così rispondevo a don Gianluca che diceva: … “Nel favorire questo dialogo vedo il primo compito dei “padri” e dei “nonni” del nostro presbiterio: noi preti un po’ più “giovani” guardiamo a voi come punti di riferimento e preghiamo per voi che Dio vi sostenga nel vostro essere punti di riferimento per noi!”
Carissimo don Gian Luca,  mi sento strattonato per la giacchetta … il mio pensiero ormai è risaputo perché, da quando ero prete giovane, ero esigente, soprattutto con don Gerardo, mio parroco a Cupra Marittima, che intervenisse per essere di esempio a me e agli altri. Così ho fatto e faccio tutt’oggi! Giovedì scorso, mi son permesso di “chiosare” il vescovo chiedendo di continuare in plenaria o in piccoli gruppi, ciò che la dottoressa Daniela, ”psicoterapeuta dei preti”, in punta di piedi e con molto rispetto, chiamandoci “presbiteri”, ci aveva proposto alla meditazione. Le stesse cose avremmo potuto dircele, in assemblea o in piccoli gruppi: come ognuno di noi affronta e porta “gli affanni” nelle giornate sulla breccia, nell’esercizio del ministero …, poiché – come tu dici – “Tanto sono cose che ogni prete vive nel suo apostolato e ognuno di voi sa quello che sta al punto 5), 6), 7) ,…”
Che dirti ancora? Siamo quelli delle occasioni mancate … quelli a cui piace esercitare “lo ius murmurandi”, ma non sanno cogliere le opportunità che ci vengono date … ma anche quelli a cui “è dolce naufragar in questo mare” …

Carissima Carla, sento che mi dici: “Devi completare il periodo iniziale”: … e allora ti dico:
Son di quelli che, formati alla scuola del Concilio Ecumenico Vaticano II, sentono la diocesanitá come ambiente vitale dove la Chiesa di Cristo vive, ama e spera nella concretezza delle persone e situazioni. Son di quelli che amano la Chiesa diocesana, il Vescovo, il Presbiterio sua corona, e soffrono con i confratelli nella prova.
Cara Carla, mi piacerebbe essere come quel vecchio Gufo che: “Più sapeva e più taceva … Più taceva e più sapeva …”, ma non sarei don Luigino!

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