SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Si è svolto sabato 18 marzo, dalle ore 16:00 in poi, presso il convento delle Suore Concezioniste in San Benedetto del Tronto, un incontro rivolto a tutti i papà della parrocchia di San Benedetto Martire, guidata dal parroco don Guido Coccia. Presente all’appuntamento il vescovo Carlo Bresciani che è rimasto con i papà per tutta la durata dell’evento, ascoltando, confessando, celebrando la Messa ed infine condividendo con loro anche la cena.

Il pomeriggio si è aperto alle ore 16:00 con una riflessione offerta da don Roberto Traini, parroco della parrocchia San Basso di Cupra Marittima, il quale, a partire dai discorsi di Gesù durante l’ultima cena raccontati nel Vangelo di Giovanni e soffermandosi anche sulla figura di San Giuseppe, modello di vero educatore, ha detto: “Come Gesù saluta i suoi ed affida loro il compito di portare avanti l’annuncio del Regno, così anche Giuseppe sparisce dal racconto evangelico. La sua grandezza risiede proprio qui. La grandezza di un uomo, la missione di ogni padre ed educatore – come dice don Fabio Rosini – è quella di diventare inutile, non essere inutile, ma diventarlo. È uscire di scena, fare spazio senza deresponsabilizzarsi, senza dire ‘Io ho fatto, adesso facciano loro’; altrimenti non si lascerebbe spazio, ma un peso. Si esce di scena sì, ma per far parlare ancora di sé, facendosi rimpiangere. Il vero educatore, il vero padre si fida di chi viene dopo di lui, come Gesù che ha fiducia dei suoi discepoli pur conoscendo la loro fragilità. La meta di ogni processo educativo è l’autonomia. Non c’è gioia più grande per un padre che vedere il figlio diventare uomo e imparare l’arte di sparire“.

Alle ore 17:30 il vescovo Carlo e don Roberto si sono resi disponibili per le Confessioni. Dopo aver ricevuto il Sacramento del Perdono, alle ore 18:30, i papà hanno partecipato ad una celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Bresciani il quale, durante l’omelia, ha detto: “Prima di tutto lasciatemi dire che è molto bello il fatto che sia stato organizzato un incontro dedicato a tutti i papà. In particolar modo trovarsi a pregare insieme è un atto importante perché significa mettersi davanti a Qualcuno che è più grande di noi, significa che abbiamo insieme una meta da raggiungere. Certamente ci rendiamo conto che non l’abbiamo ancora raggiunta, ma allo stesso tempo scopriamo che non siamo più soli lungo questo cammino, bensì accompagnati da Gesù attraverso la Sua Parola. Approfondiamo dunque su cosa ci fa riflettere questa Parola di oggi. Il libro di Samuele prima di tutto ci dice una frase molto importante: ‘Dio non guarda l’apparenza, ma vede il cuore’. Spesso ci sentiamo inadeguati, anche perché il nostro compito è grande e noi siamo piccoli; ma Dio ci rassicura, ci dice che Egli guarda il cuore, perché tutto parte da lì. Anche nel Salmo che abbiamo letto e nella Seconda Lettura ci viene detto che il frutto della luce di Dio consiste in Bontà, Giustizia e Verità, tutte qualità che non dipendono dalla prestanza, dall’età o da altre doti di questo genere, bensì dal cuore. Ecco allora che ciò che è importante è l’amore di padre: è infatti con il cuore che si vedono le cose importanti della vita. Anche nel Vangelo troviamo un racconto che ci fa riflettere in tal senso, quello del cieco nato. Al di là del fatto che questa storia richiama tutti i riti battesimali, come ad esempio l’unzione degli occhi con il fango, quello che a noi oggi interessa approfondire è che tutti dobbiamo imparare a vedere, perché vedere è il presupposto della Sapienza. Tutti, infatti, abbiamo qualche cecità da cui dobbiamo essere guariti. Qual è dunque la luce che dobbiamo cercare? La prima cosa che dobbiamo capire è che non possiamo guarire all’improvviso. Gesù con il cieco nato non fa così: è vero che lo guarisce dalla cecità degli occhi, ma la cecità a cui si riferisce il Vangelo è ben altra e da questa altra cecità Gesù lo guarisce un po’ alla volta, mettendolo prima in cammino, poi facendolo riflettere ed infine facendolo giungere alla conversione. Ecco come avvengono i fatti nel dettaglio. Subito dopo aver riacquistato la vista, alcuni vicini che hanno visto tutto chiedono al cieco nato: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli risponde: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: ‘Va’ a Sìloe e làvati!’. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Dunque il cieco riconosce in Gesù solo un uomo. Successivamente anche alcuni Farisei gli chiedono come abbia avuto la vista e alle domande «Come può un peccatore compiere segni di questo genere? Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?», egli risponde: «È un profeta. Il cieco, dopo aver riflettuto e meditato, giunge alla conclusione di aver incontrato un profeta. Quindi dall’uomo è passato a riconoscere in Gesù il profeta. Infine, quando incontra nuovamente Gesù e gli viene detto direttamente da Lui che il Signore « è Colui che parla con te», il cieco nato risponde: «Credo, Signore. Dunque il cieco è passato a riconoscere in Gesù prima l’uomo, poi il profeta, infine il Signore. Ora il cieco è arrivato a vedere pienamente, facendo questa professione di Fede“.

“In questo passo – ha proseguito il vescovo Carlo – emerge anche un’altra cecità: quella dei genitori. Si tratta di una cecità che sorprende, perché essi non esercitano la loro genitorialità, hanno paura di vedere e di dire. Noi non vogliamo una genitorialità fallita come la loro, una genitorialità che fugge. È questo il cammino che la Pasqua presenta a tutti noi: aprire gli occhi per arrivare a capire chi è questo Gesù. Tutti abbiamo la tentazione di fare come il protagonista del racconto, ovvero fare un atto inizialmente interessato e pretendere da Gesù qualcosa; dobbiamo arrivare, invece, a fare una professione di fede come il cieco nato, che giunge ad annunciare e a rischiare. Come abbiamo avuto modo di ascoltare, al termine del racconto c’è un’inversione: il cieco, che non vedeva, ora vede, mentre coloro che vedono si rifiutano di vedere, fuggono pur avendo di fronte quello che è avvenuto. Questo è il vero peccato: rifiutarsi di vedere. Chiediamo dunque al Signore che ci aiuti a non fuggire dal vedere, a non avere paura di vedere la sua presenza nella nostra vita, a non avere paura di riconoscerlo. Stiamo celebrando la Santa Messa: questo è già di per sé un atto di Fede, se lo viviamo come un incontro personale con Colui che vuole aprirci alla Luce della Verità e vuole ridarci la Vita. Dunque preghiamo il Signore affinché ci aiuti ad amare con quel cuore di cui si parla nella Prima Lettura, perché alla fine ciò che conta è vedere con la Sapienza del Cuore ed imparare ad amare“.

Al termine della celebrazione eucaristica la serata è proseguita presso i locali della parrocchia di San Benedetto Martire per una cena alla quale ha partecipato, oltre al vescovo Carlo Bresciani, al parroco don Guido Coccia e al diacono Emanuele Imbrescia, anche il Sindaco della città di San Benedetto del Tronto, Antonio Spazzafumo.

 

 

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