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Direttore Pompei: “Nella festa di San Giuseppe rispolveriamo la nostra devozione”

Di Pietro Pompei

DIOCESI – Molte parrocchie della diocesi si apprestano a vivere la Festa di San Giuseppe, tra queste segnaliamo l’evento che vivrà domani la parrocchia di San Benedetto Martire con la celebrazione presieduta dal Vescovo Carlo Bresciani (Il programma completo nella locandina pubblicata).

“Amarcord” titolava un film il regista Fellini, alla mia età si scivola facilmente nei ricordi e trovo una devozione particolare a S.Giuseppe nelle preghiere quotidiane dei miei vecchi che nell’andare degli anni è andata scemando. Che si continui a pregare intensamente la Madonna in questi tempi di violenza e di pandemia è giusto e doveroso, ma ricordarsi dell’uomo che ha permesso la nostra redenzione secondo le Scritture solo all’avvicinarsi della sua festa, è molto limitativo. Rimanemmo meravigliati quando nel 2013, proprio all’inizio del suo pontificato, papa Francesco volle che fosse menzionato durante la santa Messa nelle preghiere eucaristiche come sposo di Maria. Ci fu un breve risveglio, non mi sembra che abbia trovato molto entusiasmo se in questi anni bui ci siano stati momenti di grande fervore. Si continua a presentarlo, specie nei presepi e in molte pitture più come nonno che come padre, eppure sotto la sua guida, l’umanità di Gesù si è conclusa nel tempo dell’avvento del Regno di Dio, come ebbe a dire nella sinagoga di Cafarnao. Se non lo troviamo durante la Passione di Gesù, poteva anche esser morto, ma nel paese tutti ricordavano Gesù come figlio del carpentiere.
A cercare nel Vangelo notizie su S.Giuseppe, si rimane delusi, sono veramente poche disseminate qua e là nelle prime pagine. D’altronde per gli Evangelisti che scrivevano al servizio dell’annuncio contemporaneo del Cristo, le tradizioni precedenti erano importanti e significative solo perché contribuivano a rispondere alla domanda su chi e che cosa era o sarà il bimbo Gesù. Nell’elenco genealogico di alcuni Vangeli, Giuseppe legittima la discendenza e quindi l’eredità del regale antenato David, il germoglio di benedizione a questi promesso ( 2 Salm. 7,11; Is. 11,1). Legittimo sposo di Maria, ha dato al figlio nato da lei il nome di Gesù, riconoscendolo come proprio figlio.
Queste poche notizie che ci sono pervenute, sicuramente non interessate a tramandarci l’aspetto umano e psicologico, ci dicono ugualmente che ci troviamo di fronte ad un uomo interiormente ricco, anche nella povertà del suo mestiere. Tra Maria e lui c’era sicuramente una affinità di sentimenti, se la sceglie come futura sposa, fino a giungere al fidanzamento che, allora, era molto più vincolante di quello odierno. Secondo la legge giudaica, il fidanzamento avvenuto davanti a testimoni valeva già come matrimonio. E quando si accorge che la sua sposa è incinta, rimane perplesso e disorientato, ma non va in escandescenze, non corre subito a ripudiarla come è suo diritto, cerca una soluzione che non faccia male a Maria, perché l’ama e conoscendola non si capacita come ciò sia potuto avvenire. E’ l’uomo giusto che non condanna. E quando Dio gli chiede un atto di fede, non frappone indugi, accetta come Abramo che non chiede spiegazioni, come i grandi giusti dell’antica alleanza che avevano potuto sperimentare la manifestazione di Dio.
Per molto molto meno si sfasciano oggi le famiglie.

Non si ha il coraggio di affrontare le prove, le incomprensioni, di superare gli errori. Eppure il matrimonio cristiano chiama come primo testimone Dio stesso; ma ci si nasconde in certe circostanze pur di dare spazio al proprio egoismo. La giustizia voluta da Dio non è quella del torto vendicato, ma è quella che si lascia condurre da Lui, facendo leva sulla fede che premia l’amore.
Da S. Giuseppe più che l’esempio di un padre educatore, ci viene l’insegnamento dell’uomo innamorato che non si arrende al primo ostacolo, che non si sente offeso, ma vuol capire, affidandosi a Dio.

Nel fidanzamento aveva conosciuto Maria, l’amava, ma ancor più la stimava; ha avuto fiducia ed è stato pienamente ripagato. Solo se si giunge al matrimonio con una preparazione seria, in cui i sentimenti sono certi e corroborati dalla consapevolezza dell’impegno che si va ad assumere davanti agli uomini e , ancor più, davanti a Dio, solo allora si è in grado di superare le incomprensioni, i sacrifici che umanamente sono spiegabili nel corso della vita. Oggi si tende a fare del periodo del fidanzamento una specie di prova del matrimonio in tutte le sue componenti, ignorando che nella vita nulla si ripropone come già avvenuto. La vita è come lo scorrere dell’acqua di un fiume, nessuna goccia bagna per due volte lo stesso sasso. Anche le manifestazioni di amore si costruiscono di volta in volta e non vanno appiattite in una routine che prima o poi avvizzisce. Spesso, già, nel fidanzamento si brucia il matrimonio stesso a cui si giunge stanchi e svogliati. E non sarà il breve periodo di preparazione richiesto a ridare vigore a ciò che si è bruciato, quando solo la passione ha tenuto unite due persone. Necessariamente,allora, il matrimonio diventa un giogo di cui non ci si abituerà mai e di cui , alla prima occasione ci si vorrà disfare.
L’amore va alimentato con tante piccole attenzioni, con tante piccole o grandi rinunce ed anche, purtroppo, con sacrifici, ma non deve mancare mai quella voglia di nuovo cercato con un gesto di affetto, della sorpresa, di confidenza, di rinuncia al proprio egoismo. Ogni giorno, pur tra difficoltà, si deve avere il coraggio di riinnamorarsi. Tutto questo assume valore e si santifica nella consapevolezza di portare avanti il progetto di Dio. Solo così il matrimonio non sarà mai un peso e si potrà giungere a tarda età con l’animo capace di esprimere ancora un’affettuosità e di vivere da innamorati. L’importanza del matrimonio ci viene da una povera famiglia di Nazaret, tanto da far dire in modo dispregiativo rivolto a Gesù: non è egli forse il figlio del carpentiere? (Mt. 13,559; scelta come luogo privilegiato per iniziare il percorso della salvezza dell’umanità.

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