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Ospedale Madonna del Soccorso, il primario Ermanno Ruffini: “Non lasciamo sole le mamme”

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Chissà cosa starà passando quella povera mamma che ha perso suo figlio poche ore dopo il parto, quando era ancora ricoverata all’Ospedale Pertini di Roma. Da qualche giorno penso al dolore immenso di questa madre che è passata, in poche ore, dalla gioia di aver partorito suo figlio al dramma di averlo perso. Penso allo scherzo crudele che il destino le ha riservato. Penso alla vita che le toccherà nei prossimi giorni, mesi, anni. Penso al tempo che impiegherà per perdonare se stessa e il mondo intero. E ogni volta che ci penso avverto una fitta di dolore e tanta compassione, nel senso etimologico del termine di patire insieme: credo che in molti abbiamo provato questo.

Per meglio comprendere cosa succeda alle neomamme nelle corsie di un reparto ospedaliero abbiamo chiesto un commento al dott. Ermanno Ruffini, Primario delle Unità di Ostetricia – Ginecologia e di Pediatria dell’Ospedale Madonna del Soccorso di San Benedetto del Tronto: “Il caso del neonato morto nella notte tra il 7 e l’8  gennaio al Pertini ha riacceso l’attenzione sul fenomeno della violenza ostetrica e sull’assistenza che viene riservata alle neomamme appena dopo il parto. Fermo restando la professionalità e la dedizione delle ostetriche e in genere di tutto il personale che assiste la neomamma, questo tragico evento non deve far dimenticare le conquiste ottenute dalle mamme in questi ultimi anni, in particolare l’istituzione del ‘Rooming in’, espressione che, tradotta, significa ‘In stanza con la mamma’ e le croniche carenze del Sistema Sanitario Nazionale acuite dalla recente pandemia da Covid. Nel nostro paese, a partire dagli anni ’80, sulla base del modello OMS e Unicef, è stata introdotta in numerosi ospedali la procedura del ‘Rooming in’, che è stata pensata per dare l’opportunità alla madre di restare vicino al bambino, favorire il bonding e l’allattamento al seno subito dopo la nascita ed in più aiutare a minimizzare il pianto del bambino e favorire l’istinto di cura materna. Questa tecnica risulta una buona pratica quando alla madre si affianca una figura di supporto: il partner o un’altra persona della famiglia che possa alternarsi nella cura del piccolo e offrire sostegno e riposo. Viceversa può diventare controproducente qualora la madre avesse la necessità di riposare o riprendersi da un parto difficile o da un intervento chirurgico. In questi casi, infatti, il ‘Rooming in’ dovrebbe essere interrotto per garantire alla mamma gli adeguati tempi di recupero.”

“I motivi di una ridotta funzionalità del ‘Rooming in’ negli ultimi anni – prosegue il dott. Ruffini – vanno ricercati nel progressivo depauperamento delle ostetriche che ha provocato una riduzione degli standard qualitativi, tanto che molto spesso un’ostetrica oggi deve accudire anche tre/cinque donne contemporaneamente. Oggi le ostetriche in Italia sono circa 17.000. Considerando l’incidenza ogni 10.000 abitanti, l’Italia si trova al diciassettesimo posto in Europa per numero di ostetriche. A ciò si aggiunga la pandemia da Covid che ha reso le donne ancora più sole nel travaglio, nel parto e anche nel post partum,  per l’assenza di un supporto familiare”.

“Per ridurre il rischio di eventi drammatici – conclude il primario Ruffini – e nell’obiettivo di ricreare un ambiente intimo, sicuro e protettivo, è necessario correggere queste carenze e offrire di nuovo, alle neomamme che lo richiedano, un’assistenza anche diversa, ma che garantisca la sicurezza del neonato. In questo modo le ostetriche potranno tornare ad entrare in relazione, fornire adeguato supporto, aiutare a stare con la paura, con la fatica e le sensazioni dolorose. In poche parole potranno tornare a non lasciare mai sole le mamme“.

Forse è proprio questo il punto: non lasciare sole le mamme di oggi che vanno sempre di corsa, che devono adempiere a mille doveri e scadenze e a cui viene richiesto tanto, tantissimo, a volte anche l’impossibile. Cerchiamo tutti, uomini e donne, di essere benevoli con le madri, comprensivi e collaborativi, riconoscenti del grande dono che fanno all’umanità, quello di donare la vita.

Carletta Di Blasio: