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Myanmar: appello urgente dei vescovi a nome di tutti leader religiosi, “abbiamo sofferto abbastanza”

Chiesa cattolica del villaggio di Chan Thar (foto Sir)

“È la nostra supplica appassionata a tutte le parti interessate in Myanmar, come leader di varie tradizioni di fede: abbiamo sofferto abbastanza come popolo. Lasciamo che tutte le armi tacciano, incontriamoci come fratelli e sorelle e cominciano il sacro pellegrinaggio di pace, uniti come nazione e come popolo. La pace è possibile, la pace è l’unica via”. È l’appello urgente che “a nome di tutti i leader religiosi” del Myanmar, il card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi cattolici, mons. Marco Tin Win, arcivescovo di Mandalay, e mons. Basilio Athai, arcivescovo di Taunggyi, rivolgono alla Nazione. “Come leader delle principali religioni e fedi in Myanmar – scrivono gli arcivescovi –, facciamo un appello urgente di pace chiedendo che ci si incammini in un pellegrinaggio della pace, di cui abbiamo tutti bisogno”. Dal 1° febbraio 2021 le forze armate militari hanno preso con un colpo di stato le redini del Paese rovesciando il governo democratico guidato da Aung San Suu Kyi. Da allora il Myanmar è precipitato in una profonda crisi politica, sociale ed economica e in una spirale di violenza che ad oggi ha causato la morte e l’arresto ingiustificato di migliaia di persone. Il 15 gennaio scorso, le forze “Tatmadaw” hanno incendiato e raso al suolo la storica chiesa cattolica del villaggio di Chan Thar, nel distretto di Shwe Bo (regione di Sagaing). Era “l’orgoglio” della Chiesa cattolica nel Paese. “Nei mesi scorsi – si legge nell’appello dei tre arcivescovi – abbiamo assistito a grandi minacce alla sacralità della vita umana. Vite distrutte, vite sfollate e vite sotto la fame. In un Paese benedetto da così tante risorse, la distruzione delle vite è una tragedia che trafigge il cuore. Sempre più spesso, sono stati oggetto di attacco e carneficina anche luoghi di culto e monasteri dove le comunità cercavano pace e riconciliazione. Strumenti internazionali come la Convenzione dell’Aia richiamano alla protezione dei luoghi di culto, ai luoghi di apprendimento e ai luoghi di assistenza sanitaria. Con dolore e angoscia, chiediamo la ragione per la quale questi luoghi sacri sono attaccati e distrutti. Come Nazione, abbiamo bisogno di guarire ma la guarigione può venire solo attraverso un profondo senso di interrelazione. I luoghi di culto promuovono l’interdipendenza, conducono alla pace. Quando sono bruciati senza pietà diventano una grande minaccia”.
Il card. Bo aveva dedicato il suo messaggio di inizio anno per chiedere a tutte le parti di dichiarare di “comune accordo” il mese di gennaio “come il mese del cessate il fuoco”. L’arcivescovo proponeva anche di “istituire e rispettare corridoi umanitari verso le aree di crisi umanitarie più acute, consentendo il libero accesso alle agenzie nazionali e internazionali”. Ci sono infatti regioni del Paese in cui la popolazione vive in una situazione di crisi umanitaria. Moltissimi, soprattutto donne, bambini e anziani sono fuggiti dai villaggi rifugiandosi nelle giungle, senza però accesso ai beni essenziali, come cibo, acqua potabile e assistenza sanitaria. Nel messaggio, il cardinale chiedeva infine di riprendere il processo di pace che era stato avviato nel 2020 dalla Conferenza di pace di Panglong ed aveva messo attorno allo stesso tavolo i rappresentanti dei gruppi armati delle minoranze etniche, del governo e dell’esercito (Tatmadaw).

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